Quattro mani per un racconto

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Una mattina da dimenticare

Pubblicato da quattromani il 13 ottobre 2006

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Luca si era svegliato con un mal di testa pazzesco quella mattina. Magari era colpa del tempo. Magari della sbronza della sera prima. Comunque si prese un paio di aspirine, e si preparo’ per andare al lavoro.
Lavorava al Comune, come impiegato all’anagrafe, ma a giudicare dall’ora indicata dalla sveglia (e dalla pioggia che, come al solito, avrebbe sicuramente fatto impazzire il traffico), probabilmente quella mattina qualcuno avrebbe sentito la sua mancanza in ufficio.
Dopo una doccia ed un’abbondante colazione si decise finalmente ad uscire. Sotto la pioggia. “Ma che mi sono asciugato a fare?”.
Ando’ di corsa verso la macchina. Si ricordava di averla parcheggiata vicino casa, quindi non aveva neanche preso l’ombrello. La macchina non c’era. “Pero’, il buon giorno si vede dal mattino…”. Non era certo la prima volta che non si ricordava dove aveva parcheggiato la macchina, e come al solito era proprio sicuro di averla messa li’. Stavolta pero’ pioveva, e di andarsene in giro per il quartiere sotto la pioggia cercando la macchina proprio non gli andava. Senza considerare che era mostruosamente in ritardo per il lavoro. Decise di andare con l’autobus: c’era una fermata proprio dietro l’angolo, di quelle coperte, e con un viaggio di una ventina di minuti sarebbe arrivato a destinazione.
Mentre aspettava l’autobus, un tipo che non aveva mai visto, che camminava sul marciapiede dall’altro lato della strada si volto’ a guardarlo, gli sorrise, e, agitando la mano: “Ehila’, Giovanni, visto che tempaccio?”. Evidentemente ce l’aveva con il tipo che gli era appena passato alle spalle. Dopo un’attesa di soli quaranta minuti l’autobus passo’, anche se in realta’ sembrava spazioso e accogliente come una scatola di sardine. Luca pero’ non si lasciava scoraggiare facilmente, e con una sapiente combinazione di gentilezza (“Scusi, mi dispiace, se solo potesse farsi un po’ piu’ in la’…”) e spintoni riusci’ ad entrare.
Piu’ che un viaggio fu un’odissea, complice il traffico, la pioggia, i finestrini che non si aprivano, e le altre persone con le quali doveva litigarsi quel po’ d’aria che occupava il pochissimo spazio che non era riempito da carne umana.
Ad ogni modo alla fine riusci’ a scendere, ancora vivo e vegeto, e decise di fermarsi al solito bar per bere qualcosa, tanto per rimettersi un po’ in sesto. Entro’ e saluto’ il barista: “Ciao, il solito per favore”.
“Prego?”
“IL SOLITO, PER FAVORE”. Ci mancava pure il barista sordo.
“Ah, ok, il solito”, fece il barista col tono di voce che avrebbe riservato ad un pazzo. Gli preparo’ un cappuccino, e glielo mise davanti con uno sguardo interrogativo.
“Grazie, mi ci voleva proprio, con questa pioggia”.
Provo’ ad aspettare qualche minuto, nel caso avesse improvvisamente smesso di piovere, ma non c’era proprio verso. Alla fine, rassegnato, usci’ e fece di corsa i due isolati che lo separavano dall’ingresso riservato al personale.
Ovviamente sulla porta non c’era nessuna pensilina che lo riparasse dalla pioggia, cosi’ mentre cercava la carta magnetica che gli avrebbe aperto la porta si prese un’altra bella dose di acqua piovana.
Alla fine, trovo’ la carta e la passo’ rapidamente nel lettore.
Niente.
“Deve essersi bagnata”. Se l’asciugo’ addosso come meglio pote’, e la ripasso’.
Niente.
“Ok, ora chiamo Marco e mi faccio aprire”, penso’, andando di corsa verso una cabina telefonica: ovviamente il cellulare era in macchina…
Fece il numero dell’ufficio, e gli rispose Marco in persona.
“Ehi Marco, meno male che ci sei. Mi e’ successo un casino, una mattinata allucinante. Poi ti racconto. Come se non bastasse, la mia carta ha deciso proprio oggi di non funzionare. Non e’ che mi verresti ad aprire?”
“Chi parla?”
“Dai, piantala di fare lo scemo, sono Luca, sono bagnato fradicio e se mi ammalo ti tocca sbrigare le mie pratiche per i prossimi dieci giorni…”
“Chi e’?” chiese una seconda nell’ufficio.
“Uno che dice di essere te. Ma che razza di scherzi…” lo senti’ mormorare, mentre allontanava la cornetta.
Click.
A questo punto Luca, che non e’ che fosse esattamente in idiota, si stava cominciando a preoccupare seriamente…
“Mi devo dare un rinfrescata” e si diresse verso il bar di prima.
Solito saluto al barista. Solito sguardo perplesso in risposta.
Ando’ di corsa al bagno e si sciacquo’ la faccia. Poi se la asciugo’, e si guardo’ allo specchio per darsi una sistemata ai capelli, gia’ che c’era.
La faccia che lo stava guardando non era la sua.

3 Commenti a “Una mattina da dimenticare”

  1. Gael dice:

    Atterrito si allontanò dallo specchio, dove il suo viso, attorniato da bruni capelli, era ora divenuto il volto di un uomo dall’aspetto curato, con cortissimi capelli a spazzola, e occhi molto più giovani dei suoi. ripreso dall’orrore si rispecchio, osservando sempre quel volto che non gli apparteneva. Eppure lui sapeva di essere Luce, ricordava la sua vita, ricordava che il giorno prima era stato al parco con quella ragazza che aveva incontrato pochi giori fa, e che alla fine erano finiti al ristorante, quindi solita notte a casa di lei…mollato due ore dopo…come sempre d’altronde…non era forse per quello che aveva desiderato di non essere più se setsso, di divenire come qualche ricco imprenditore, come qualche celebrità, e non come il solito Luca, banalissimo impiegato dell’ufficio sette barra bis…per una volta che desiderava qualcosa senza davvero volerlo, ecco che qualche Santo o misterioso ascoltatore lo aveva accontentato. La solita sfortuna…doveva immaginarselo! Correndo fuori dal bagno, quindi chiusa dietro di se la porta del bar, sotto la pioggia incessante. Vide a qual punto il suo riflesso in una pozzanghera…e non era il suo, ma nemmeno quello di prima…ora vedeva un vecchio, capelli grigi e baffi affusolati, pizzetto curato e completo da ballo, sembrava un vero Lord settecentesco. E una sottile figura traspariva nella pioggia, la figura di quell’uomo che era prima, quel Luca che era nato, e che in teroia avrebbe dovuto essere fino alla sua fine. “Ma cosa diavolo succede? Sono ubriaco? No…non ho bevuto…forse sono pazzo, ma allora non sarei qui a chiedermelo…” disse ad alta voce, attirando l’attenzione di una donna che passava. “Avete bisogno d’aiuto, vi sentite male per caso?” domandò cortesemente a quello che ai suoi occhi era un ottuagenario con un attacco di panico. Ma nello specchiarsi negli occhiali da vista della donna, vide ora un uomo di colore, alto e forte, con vesti colorate e sgargianti, un sorriso evidentissimo, quando lui non stava affatto sorridendo! “No…stò benissimo…benissimo…davvero…” rispose alla donna, per poi allontanarsi di gran carriera, verso il suo ufficio. Le scale le salì a tre a tre, fino al suo ufficio, controllo dell’affidabilità e manutenzione dei piccoli componenti tecnici dell’azienda nella quale operava. Marco non c’era, solo un uomo assiso in poltrona, la sua poltrona preferita, quella che la sua ex moglie gli aveva donato per un compleanno oramai troppo lontano. E Stava bevendo caffè dalla sua tazza, la sua tazza preferita. “Chi sei…chi sei tu…cosa ci fai qui?” chiese, quasi urlando a quello, che di scattò si volto, mostrando il volto che un tempo gli apparteneva. “Io sono Luca…tu lo sei? Io sono Luca…tu lo sei?” ripeteva insistentemente, mentre lui continuava a dire spasmodicamente: “Sì, lo sono, io lo sono, io lo sono, io, Io, IO!”, quindi quell’alro afferrò uno specchio posando la sua tazza, e lo mise di fronte all’uomo. “No, io sono Luca…tu sei neinte…”. E così era, poichè nello specchio non vi era volto, ed egli non vide il suo volto, vide solo una nuca voltata, quella che non era di certo la sua…
    “NO, IO SONO LUCA!”
    “Buongiorno, benritrovati sul radioworld music, la radio che vi dà la carica di primo mattino, qui è il vostro dj preferito con gli ultimi successi della stagione…”
    Era nel suo letto. Sudato, molto sudato. Fuori pioveva, ed erano le sei e mezza, l’ora in cui si alzava abitualmente. Spense la aveglia, qul suono ora lo inquietava. Si alzò, e prima di raccomandarsi che fosse ben sveglio, si precipitò allo specchio, quindi una volta visto il suo volto, si tranquillizzò. “Uff…sì…sono Luca…sono sempre Luca…” quindi si voltò per tornare a letto. Quel giorno non sarebbe andato al lavoro. Ancora una volta lo avrebbero atteso inutilmente. Decise però di farsi un buon caffè per sentire il suo forte aroma in bocca, e assicurarsi che tutto fosse stato solo frutto di sette bicchieri di tequila la sera prima. Arrivato presso la cucina avvertì un ottimo odore, il caffè era già pronto. Probabilmente ieri sera aveva programmato la macchinetta con il timer proprio per l’ora abituale. Strano, non era mai riuscito a farla funzionare. Poi udì una voce, che lo chiamava dalla cucina. “Luca…Luca…vieni…c’è un problema…”. Udendo quella voce corse, e arrivato sulla soglia vide una figura, uguale a lui, ma senza alcun volto, solo una rosea e liscia parete carnosa dalla parte opposta della nuca. “Luca…tu sei Luca…ma io chi sono…”

  2. fabio dice:

    Studiò i suoi lineamenti, erano quelli di un uomo sulla cinquantina, leggermente fuori forma, barba incolta e calvo.
    “Ma nel mio ufficio…chi c’è al mio posto?” Non ne aveva idea.
    Ripensò alla mattinata, a quello che aveva fatto.
    “Mi sono alzato, preparato ed uscito di casa, la mia casa! E poi?
    Ok, andiamo a ritroso. In ufficio c’è già un Luca, pazzesco! Ah, si…alla fermata mi hanno scambiato per un certo Giovanni, questo deve essere il nome…”
    Luca si toccò la tasca posteriore dei pantaloni, estrasse il portafoglio. Controllò rapidamente il contenuto, sbirciò all’interno alla ricerca di un documento. Lo trovò.
    “Giovanni Righi, nato a…”
    Poi fermo li, davanti allo specchio, fissò il riflesso della sua faccia, o per meglio dire, quella di Giovanni.
    “Ho aspettato l’autobus alla fermata, mah…un attimo…questa mattina la macchina non c’era.” Luca capì che qualcosa doveva essere avvenuto poco dopo essere uscito di casa. Ma cosa?
    Uscì dal bagno visibilmente agitato, il cuore gli batteva nel petto così forte che gli faceva male.
    Uscì dal locale e si fermò davanti all’ingresso sotto la tenda rossa, protetto dalla pioggia che cadeva ancora abbondante. Si guardò intorno, non si accorse subito dei due uomini che lo fissavano dall’altro lato della strada. Luca era agitato e non sospettava minimamente che qualcuno aveva intenzione di catturarlo.
    I due uomini indossavano un trench sopra ad un vestito elegante, non avevano un ombrello ed erano visibilmente bagnati. Aspettavano già da qualche minuto che Luca uscisse dal locale, quando lo videro, attraversarono la strada fermando il traffico, una macchina inchiodò.
    Luca sentì quel rumore e si accorse dei due uomini che con tutta fretta si dirigevano verso di lui.
    “E quelli? Forse è meglio squagliarsela!”
    Luca scappò da i suoi inseguitori. Corse via, si rese conto che quel corpo non era leggermente fuori forma, lo era del tutto. Il primo a raggiungerlo fu l’uomo più basso, ma evidentemente più atletico dei due, lo raggiunse e lo bloccò contro il muro.
    “Dove credevi di andare!”
    “Chi siete? Che volete?”
    Poco dopo il secondo uomo li raggiunse, estrasse qualcosa da una tasca che gli poggiò sulla bocca. Luca respirò, poi…
    …il buio.

    Riaprì gli occhi, ma fu soltanto un tentativo. Nella stanza c’era troppa luce, fu costretto a richiuderli immediatamente. Aveva l’impressione di aver dormito per lungo tempo, la testa gli pesava come un mattone. Sentì delle voci.
    “Ma come sarà successo?”
    “Questa volta abbiamo fatto proprio un bel casino. Non me lo so spiegare, eppure abbiamo seguito la procedura di sempre.”
    “Senti, vediamo di rimettere in ordine la situazione. Iniziamo. Togli il chip dal paziente uno.”
    “Ok, avvio la sequenza.”
    Luca sentì una voce artificiale:
    ESPORTAZIONE CHIP CEREBRALE AVVIATA.
    Riprovò ad alzare le palpebre, sforzandosi. Le sue pupille dimezzarono il loro diametro, gli occhi misero a fuoco il campo visivo. La stanza in cui si trovava sembrava una sala operatoria. Era sdraiato su un lettino a pancia in su, braccia e gambe bloccate con dei lacci in cuoio, sopra di lui quattro grosse lampade era puntate proprio sulla sua testa. Indossava un qualche tipo di casco dal quale fuoriuscivano dei grossi cavi. Vide poi un uomo in camice bianco interagire con una consolle. Girò lo sguardo verso l’altro lato della stanza. C’era un altro lettino con sopra un corpo nella sua stessa condizione, evidentemente quello era il paziente uno. Sotto al letto c’erano altre apparecchiature elettroniche a cui era connesso un braccio meccanico. Il braccio si mosse verso la nuca del paziente ed operò.
    ESPORTAZIONE CHIP CEREBRALE TERMINATA.
    Il corpo del paziente si mosse come attraversato da corrente elettrica. Poi si fermò.
    “Ora trasferiamo la mappa mentale del due nell’altro corpo.”
    Evidentemente avevano usato lui e Giovanni come cavie, per qualche tipo di esperimento. Luca sentì un ronzio, poi un mal di testa. La voce elettronica parlò ancora.
    SEQUENZA DI INVERSIONE CEREBRALE INIZIATA.
    Luca si domandò cosa gli stavano facendo. Guardò il corpo steso affianco a lui. Lo riconobbe, era il suo.
    L’emicrania aumentò. Ascoltò ancora quella voce così fredda.
    SEQUENZA DI INVERSIONE CEREBRALE COMPLETATA AL 25 %
    “Vediamo di sbrigarci, abbiamo dell’altro lavoro da fare.”
    Luca perse i sensi.
    SEQUENZA DI INVERSIONE CEREBRALE COMPLETATA AL 50 %. CONDIZIONI VITALI PAZIENTE NUMERO DUE NELLA NORMA.
    “Questa volta il simulatore è stato perfetto, nessuno si è accorto di nulla.”
    “Si, però non capisco come abbiamo fatto a copiare la mappa cerebrale del paziente uno in quella del due, invece di installare anche li il simulatore.”
    “Beh, per fortuna abbiamo un backup. Certo che anche i ragazzi, insomma, portarlo nella casa sbagliata… Anche loro potevano stare più attenti, potevano rischiare di farli incontrare, sarebbe stato un disastro!”
    SEQUENZA DI INVERSIONE CEREBRALE COMPLETATA CON SUCCESSO.
    “Inseriamo la mappa cerebrale originaria del paziente due… mi è venuta fame, pizza questa sera?”
    INIZIO RIPRISTINO BACKUP CEREBRALE PAZIENTE NUMERO DUE.
    “Si, per me va bene, prenoto al solito posto.
    PARAMETRI VITALI NELLA NORMA. RIPRISTINO BACKUP CEREBRALE ESEGUITO CON SUCCESSO.
    “Ora facciamo in modo che non ricordino nulla delle ultime otto ore.”

    Luca si svegliò ancora una volta con dei dolori nella testa, si alzò e andò in bagno.
    “Cavolo, ma che mi è successo, mi è passato sopra una macchina!”
    Si sciacquò il viso.
    La mia vecchia faccia, che sollievo! Pensò, poi prese l’asciugamano e se lo passò sul viso, quando ebbe di nuovo gli occhi aperti vide su i suoi polsi dei graffi, controllò le caviglie, presentavano gli stessi segni.
    E questi? Come me li sono fatti? Si chiese.
    Si sforzò di ricordare, ma quel tentativo gli fece soltanto aumentare l’emicrania.

  3. oroboros dice:

    Si risciacquò un’altra volta per esserne certo, contando sull’effetto dell’acqua che, da sempre, un po’ gli avrebbe cambiato i connotati. Ma niente, quel viso e quello sguardo non erano più i suoi… Istintivamente lasciò passare qualche secondo, si stropicciò gli occhi e, riaprendoli pian piano, in una messa a fuoco accurata dei suoi occhi cercò di penetrarli e lì il disappunto, che era stato sostituito dallo sconcerto divenne incubo: non era proprio più lui!
    Un’ondata di adrenalina gli percorse le tempie e gli esplose nel petto e le sue mani, con quei peletti neri che non aveva mai avuto, spingendo contro il lavabo lo allontanarono dallo specchio che gli dava la nausea. Temette di guardarsi ancora e ricordò dei pensieri che lo afflissero da bambino: perché io sono io e non un altro? Per quale ragione non posso essere qualcun altro?
    In fondo tutto cambiava continuamente, le sue cellule di oggi non erano le stesse di qualche anno prima e tutto il suo corpo si sfarfugliava perdendosi per strada in un ricambio incessante. A cosa si uniformavano tutti i suoi componenti quando i turni naturali che sostituivano le nascite alle morti delle cellule, compivano il loro ciclo? Qual’era il principio che manteneva la stessa identità con la somiglianza a se stessa che questa si porta dietro? Lo stesso termine “identità” riportava all’unicità del suo essere identico a se stesso e adesso, che non lo era più, cosa si era perso? Uscì confuso e agitato dal bar e spinse i suoi passi fra la gente, che non gli pareva più così lontana e diversa. Chi sarebbe diventato, quell’agglomerato di componenti intercambiabili, domani e dopodomani? Ricordò che tutte le religioni affermavano che il vero uomo è universale e non individuale e che il Principio di cui l’uomo è l’irradiamento è unico e, nel contempo, molteplice nella diversità che, in quel modo, affermava… be’… lui ora non sapeva se quell’Unico si era dimenticato di Sé, o se il suo sé interiore l’aveva abbandonato e, di conseguenza, non sapeva se gioirne o disperarsi. Una rapida occhiata alle sue mani gli riconfermò che i componenti acquosi e grassi del suo essere ancora erano stabilmente fermi in quello sconosciuto in cui si trovava prigioniero. “Cazzo!”… si disse, “Devo fare qualcosa!” E si mise a correre, con quello di fianco, nò anzi… dentro, che lo irrideva paziente e quasi divertito nel suggerirgli, silenziosamente che, in fondo, se fosse stata schizofrenia la solitudine non lo avrebbe più tormentato. Si fermò, dopo poco, affannato e stanco e capì che anche quest’altro non era allenato, come non lo era quello che c’era prima di lui, e questo pensiero lo sollevò un poco: aveva già trovato un punto in comune tra i due… Una superfiga che pareva averlo puntato ma che, con un impercettibile scarto, lo evitò senza sfiorarlo, gli rivelò che i punti di contatto ora erano due. Se andava avanti così, da quì a sera sarebbe stato ancora quello di prima…
    Uno strano buon umore lo pervase ingiustificatamente e gli suggerì che, forse, avrebbe potuto approfittare di quella situazione imprevista nella sua assurdità: poteva vincere la sua timidezza e abbordare le ragazze e… ma quale timidezza? Erano tre i punti in comune adesso! “Ricapitoliamo!”, si disse, e il problema si stagliò netto, nella sua magnificenza paradossale: “Io sono sempre lo stesso pirla, ma la pelle è cambiata… “Evviva!”, urlò dentro di sé, “Io sono due pirla sfigati che, qualsiasi cazzata facciano, sempre lo stesso destino dovranno condividere!” e entrò, dopo un largo girovagare e sperando sempre di essere riconosciuto, ancora nel suo solito bar, e ordinò: “I soliti!”, disse ad alta voce, e non si meravigliò quando il barista gli porse due capuccini, che lui sorseggiò con ostentazione perversa. “Eh sì!” urlò spazientito… “Stavolta nessuno mi può più fregare… adesso siamo in due a curarvi! Maledetti!”…I suoi occhi ormai roteavano palpeggiando le diverse individualità nella loro ormai scoperta profondità, “Eh sì! Maledetti! Vi ho scoperto per sempre!”… Nemmeno la sirena dell’ambulanza riuscì a coprire quel “Maledetti” e, a quasi tutti gli avventori di quel locale, parve sentirne ancora l’eco in lontananza, ma non tutti colpì allo stesso modo quell’imprecazione di dolore scomposto. Tra due, apparentemente normali ed eleganti impiegati seduti al bancone, uno strano e inconsueto dialogo si diversificò dai commenti impietositi di chi aveva assistito alla scena: “Cazzo Mario, te l’avevo detto che ci voleva la lampadina a infrarossi per sintetizzare la Clavices Purpurea… adesso lo dovremo buttare tutto quell’LSD… hai visto che effetto assurdo che fa?”…

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