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dal romanzo “il grande sogno” primo capitolo

Pubblicato da rossanocrotti il 25 marzo 2007

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IL SOGNO


      


 La villetta  era bassa e delimitata da un giardino ben curato. Era situata in una zona tranquilla della prima periferia della città. Poco distante, il bar gelateria era affollato di gente, come consuetudine nei primi giorni di primavera. E in quei giorni di primavera, Valeriana decise di prendere in affitto quella casa. Era fiera e orgogliosa di ciò che stava facendo, fiera e orgogliosa senza rimorsi né pentimenti, nonostante sia una giovane ragazza madre con parecchie porte chiuse in faccia nel suo passato. Valeriana sapeva essere fredda come una notte d’inverno, pungente e profonda  con i suoi occhi scuri. Con la presunzione e la certezza di chi non deve imparare più niente da nessuno. Perchè ciò che voleva era lei a cercarselo. Ora la sua vita e le sue speranze erano nella sua piccola bambina. Arrivò col camioncino dei traslochi verso mezzogiorno. I mobili in esso contenuti erano veramente pochi per una casa così grande. Scese e respirò profondamente. Era un’ aria densa di tranquillità e lei se la meritava tutta. Si guardò attorno e notò che tutto era pulito . Sembrava strano, ma persino le strade sembrava non fossero usate.


L’autista del camioncino era di colore, parlava con un accento straniero e aveva in testa un cappello da marinaio. Era comunque gentile e sorrideva dopo ogni frase con denti grandi come le pedine del domino. Le disse che andava “a consumare il pasto del mezzogiorno”. E Valeriana rimase sola, a scrutare la sua nuova villetta, in quel alone strano e ovattato in una sensazione di sottile benessere che mai prima aveva provato. Le siepi erano in fiore, i fiori a cui lei era allergica, ma non sentì nessun odore. E nessun rumore. Solo se lei voleva, se ci faceva caso. Udì da lontano delle voci, nella palazzina accanto alla sua villetta. Le voci venivano da dietro di essa, e lei riuscì ad intravedere solo un barbecue davanti alla finestra dell’appartamento pianoterra che dà sul cortile. Erano comunque le voci di una coppia che stava litigando, in tono pacato. Sentì nettamente la voce di lui che diceva di


“lavorare dalla mattina alla sera”. Fu felice di sentire che la zona era abitata da altri esseri umani, oltre a lei. Cosa che non le era parso prima. Valeriana era su un marciapiede di marmo lucido come un specchio e davanti a lei una ragazza che stava mangiando un gelato la guardava negli occhi. Una goccia di gelato le cadde sulla maglietta all’altezza del seno. Con un dito  asciugò la goccia, la leccò e le indicò il locale che era dietro di loro. Quando era arrivata le sembrava più distante. Il camioncino del trasloco era ancora lì e l’uomo coi denti larghi era sparito. Le piante si muovevano senza vento. Come in un ballo esotico per salutarla. Erano piante alte almeno trenta metri. Faceva caldo e la strada di marmo era lucida. Le case erano bianche e tutte con un giardino ben curato. Dalla finestra di una di queste usciva una musica che Valeriana aveva già sentito e il profumo del pranzo le ricordava quando era bambina ed abitava con sua madre in un vecchio condominio in teoria non molto distante da li. I suoi occhi le davano un’ impressione sfocata e contorta del locale davanti a lei, forse per il caldo, ma dopo due passi riuscì a distinguere la porta d’ingresso. O meglio il buco, perché di porte non ne vedeva. L’ ambiente era tranquillo e a fare rumore solo l’elica che pendeva dal soffitto. Le persone anziane sedute nelle sedie contro la parete erano immobili, nella distesa estiva dietro la vetrina giovani scherzavano e una ragazza con una tunica bianca la guardava mentre spazzolava un cavallo. Si sentì osservata, pensò che in un quartiere piccolo e così ben curato è normale squadrare un forestiero. Riconobbe le voci della coppia che stava litigando ma non riuscì a vederli in faccia. Dietro il bancone le sorrise un ragazzo che le sembrò di avere già visto. Ordinò. Aveva caldo ma nessuno sudava. Solo l’elica penzolante a muovere l’aria. Andò verso la porta  con il bicchiere in mano socchiudendo gli occhi, guardò verso il sole. Ma non lo trovò. Si accorse solo ora che tutto era illuminato da un alone attorno ai suoi occhi, le cose erano come le vedeva lei, le sentiva, le toccava, le voleva lei. Si girò verso la porta per rientrare nel bar quando sentì una voce che la chiamava da dietro le sue spalle. Non ebbe neppure il tempo di girarsi che il sogno finì. E Valeriana si svegliò di colpo nel suo letto. Era sudata. Si guardò un attimo attorno nel buio della sua stanza e starnutì.  


 


ENNIO


 


Entrando in quella casa, la prima cosa che si percepiva era la disperazione di chi vi abitava. Ennio si rese conto solo quel giorno di avere buttato via dodici anni della sua vita. Pareva non avesse più senso ciò che aveva costruito: i ricordi, gli odori, le grida dei bambini.


Rimaneva soltanto un desolante senso di vuoto. E la cosa peggiore per lui è che non aveva intenzione di ricominciare. Sperava solo di agganciare il passato felice con un futuro migliore. Ignorando il presente. Comunque, non avrebbe mai ammesso le sue colpe: Ennio era l’incoerenza e la cocciutaggine messe assieme. Rimaneva seduto quarti  d’ora sul divano senza nemmeno la forza di accendere il televisore, con lo sguardo perso nel vuoto, le scarpe ancora ai piedi come se dovesse uscire da un momento all’ altro. In quella stanza semibuia, a sinistra c’era una pila di roba sporca  e il tanfo dei calzini fetidi si spargeva  per parecchi decimetri cubi. Il frigo era vuoto e dai piatti sporchi si poteva capire cosa il nostro amico avesse mangiato nell’ultima settimana. Tutto questo a chi entrasse in quella casa poteva dare l’impressione fosse abitata da un disordinato single, se non fosse per la foto sulla credenza che testimoniava il suo passato felice: la foto delle sue due bambine. Un particolare  quello, che dava un tocco di inspiegabile tristezza all’ambiente e metteva subito Ennio sotto un’altra luce. Io non lo conoscevo di persona, fu un amico comune a presentarci , proprio quella sera che si pensò tentasse il suicidio.


Più che da prove concrete, da sensazioni sottili che aleggiavano nell’ aria. Ma data la monotonia  degli argomenti trattati quella sera fummo noi a pensare al suicidio, dopo cinque ore di tentativi per confortarlo. Era ermetico. O solo di una noia mortale. Ci parlò dei suoi sogni, ed in modo particolare di un sogno faceva spesso: una grande piazza, in un tempo irreale, dove anche nei giorni lavorativi si faceva festa. E c’erano giocolieri sui trampoli, donne che ricamavano……e in un angolo, in fondo, un uomo anziano che strillava le notizie. Proprio come quelli di tanti anni fa. Annunciava la fine del mondo. E tutte le notizie che erano riportate sul giornale, Ennio non le sapeva: LUI che sapeva tutto di tutti. Si sentiva raggirato, preso in giro, non gli avevano detto la verità. Si sentiva solo. Da quando sua moglie lo aveva lasciato per un barista di origini slovacche, questo sogno lo faceva spesso. Giunta la tal ora ci congedammo  e mi incamminai con Giovanni .


Così, in quel frenetico venerdì sera era metropolitano era rimasta solo l’auto di Ennio nel cortile della piccola palazzina a tre piani, e man mano che la gente usciva e le luci degli appartamenti si spegnevano, quella debole luce fioca che risaltava ora dalle persiane socchiuse, mi  faceva pensare ad un uomo seduto su un divano per quarti d’ ora, senza la forza di accendere il televisore, ad annusare il tanfo dei suoi calzini  accatastati. Non sapevo se ridere o piangere, ma comunque mi ritenevo fortunato. Mi aspettava un Venerdì sera all’insegna del divertirsi per forza, ossia la  ricerca spasmodica e capillare del posto dove trascorrere la serata nonostante la totale mancanza di entusiasmo. E ci incamminammo nella notte. Notte magica, notte densa e falsa , notte notte, buonanotte Ennio, noi andiamo a recitare la nostra parte. Io e Giovanni eravamo ben consapevoli di aver vissuto ancora quel tragico susseguirsi di semafori, sulla strada che curva leggermente a sinistra, in colonna con le altre auto sino ad arrivare a chiedersi come si spenderà la serata. Sarà senza dolore. Sarà diversa da come la immaginavamo qualche tempo prima, quando pensavamo di diventare grandi. Diversa sì ma prevedibile. Questa l’avevamo già vissuta. E la passeremo senza dolore. Sarà una notte preconfezionata fra insegne luminose o meno luminose per chi é controcorrente o più luminose di quelle luminose per chi va contro quelli che vanno controcorrente. Sarà una notte sottotono, controllata nelle emozioni di chi sa che tanto non ci si diverte e vorrebbe gridare al mondo che Ennio é a casa ( e un po’ dispiace ) ma é il mondo che lascia a casa Ennio. Sarà una notte dove farà la differenza quella poca umanità che si può trovare anche in un paracarro stonato con le geometrie dell’entrata del locale alla moda, mentre un po’ mi fa tenerezza e invidia un signore stempiato con videocassetta in mano , tuta e pantofole con destinazione casa. “Siamo dubbiosi sul futuro ? Ripetiamo il passato e cerchiamo di capirlo o al massimo di farcelo piacere”. Con questa banale scusa, io e Giovanni finimmo nello stesso posto della scorsa settimana, senza gioia ne’ dolore.


 

2 Commenti a “dal romanzo “il grande sogno” primo capitolo”

  1. Andrea dice:

    Ciao Rossano,

    e grazie mille per l’estratto che ci hai fatto leggere.
    Molto interessante la fine della seconda parte, quella del divertirsi per forza.

  2. fabio dice:

    Mi è piacito molto di più il primo spezzone, quello del sogno di Valeriana, dove descrivi il quartiere con i suoi rumori.

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