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IL GRUPPO

Pubblicato da rossanocrotti il 27 maggio 2007

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IL GRUPPO


 


La serata pareva presa in prestito dal set di  “Blade Runner ” e la pioggia tamburellava sui vetri del furgoncino preso in prestito. Alla guida, Marino, un collega di lavoro del Giovanni, rappresentante di salse e condimenti vari nonché chitarrista dilettante. Al seguito, un suo vicino di casa che suona per hobby la tastiera e l’estate prima era stato in vacanza in Romania. Aveva i capelli dritti, i pantaloni stretti e una bottiglia di birra in mano. Il locale era vicino al centro, ma il parcheggio stretto e pieno di buche.


Grazie alle amicizie del Giò, quella sera il palco di quella piccola birreria aveva noi come protagonisti. Da fuori, quel posto pareva una baita svizzera e nell’entrata alcuni manifesti di Hugh Masekela, Ronnie Jordan e Jamiroquai, tentavano di motivare il locale. All’ interno la luce era fioca, lo spazio modesto a causa dei tavoli disposti male e il palco piccolo e sotto gli occhi di tutti. Il piano dei tavolini era piastrellato con gli avanzi delle mattonelle del pavimento. Dalle finestre pendevano tende  di velluto bourdeau scure. Dai punti del locale illuminati con la debole luce, si vedeva passare l’ enorme quantità di fumo espirata dalla giovane clientela. (Troppo giovane) .


Ci accolse qualcuno di età indefinita col pizzetto da capra e i capelli tutti tirati in avanti. Ancora oggi mi chiedo se era il barista, il titolare o chissà chi. Con gli occhi pallati non si sa da che cosa, ci indicò il palco e le prese della corrente, sempre senza guardarci in faccia. Iniziò l’opera di scarico degli strumenti sotto un vento caldo che soffiava acqua da tutte le parti. Di lì a pochi metri suonavano clacson nel traffico della circonvallazione. I semafori erano andati in tilt. Le custodie degli strumenti erano bagnate e le raggruppammo in un angolino del locale, visto che stava suonando un gruppo di ragazzini  senza colpa. Ci sedemmo e ordinammo. Mi arrivò un panino con i bordi bruciati e la mollica al centro, strabordante di salsa tanto da doverla assorbire con diversi fazzolettini, birra calda con la ruggine sotto il tappo che consumammo sul tavolo dove si notavano ancora chiaramente le passate di straccio con la schiumina del detergente. L’essere che ci aveva accolto era accovacciato sul bancone con un braccio che gli raccoglieva la faccia e una nuvoletta di fumo che gli usciva dalla mano sinistra. Le urla della giovane clientela erano acute e assai fastidiose. Ci si mise d’accordo per la scaletta dei pezzi: nell’ ordine  “ Champagne Jam” degli Atlanta R.S., “ Separate Wais” di Gary Moore , “ One of these nights” degli Eagles , molto presuntuosamente “ Free bird” dei Lynyrd Skynyrd , una a caso da  “ Picture This” di Huey Lewis  perchè avevo insistito io; poi qualcosa di Robben Ford tanto per stare in tema, poi si improvvisa, poi se ne vale la pena si continua, magari si è già a casa ….. Saliamo sul palco e il pubblico si fa i cazzi suoi  Fischio del microfono.  Una chitarra non va. Vicino alla finestra il rumore della pioggia è chiaro e in lontananza si distinguono anche tuoni. Buon per la campagna. L’età media sul palco è salita notevolmente ( grazie ai trenta del Giò e ai ventinove del Marino) rispetto ai ragazzetti che ci avevano preceduto, magri e sbarbati che urlavano i Metallica. Dò un’occhiata alla scaletta e mi chiedo se ne vale la pena. Si inizia. Il divertimento è tutto nostro, suonare è bello, ci piace,  la musica esce bene e per dieci minuti sino alla prima pausa suono la mia batteria con gusto. Pausa tattica. Un tuono rimbomba ed è nitido. Si riattacca e a parte il vicino di casa di Marino che è mezzo ubriaco, si suona bene. Giò con un piede gli stacca il filo della corrente alla tastiera ma lui non se ne accorge.


Tromba, chitarra, batteria, tastiera spenta e il bassista in prestito dal locale. Un tipo alto due metri che non parlava ma suonava benino. Andiamo alla grande, davanti ad un pubblico ingrato ed indifferente.  Preciso col finale del terzo brano ,  …TAC …la luce va via. E ci si ritrova come quattro idioti a far luce con gli accendini. Il più contento è il bassista che ha finito di rompersi le palle (si vedeva dalla faccia). Il tastierista dorme sdraiato sulla tastiera spenta e il faccia da pirla dietro il bancone ci porta due candele . Da come ci guarda  si capisce che se ce ne andiamo è meglio. Il locale (che come avevo sospettato era di fresca ristrutturazione) non aveva neppure le luci di emergenza. Il guasto non era circoscritto al locale. Dalla finestra dietro la pesante tenda di velluto bordeaux, le luci dei lampioni in strada erano spente. Giò ci aveva preavvisato che la retribuzione per la serata era una consumazione, quindi senza nulla pretendere ce ne andammo. La pioggia era fitta e una volta caricati gli aggeggi musicali  abbastanza velocemente (fortunatamente la batteria era del locale) partimmo alla volta del piccolo paese in provincia di Reggio Emilia. Il Marino scaricò me e il Giò, gli demmo ventimila lire per il gasolio (il furgoncino era del fratello) e dopo i saluti di rito, io e Giovanni percorremmo a piedi un pezzo di strada in un buio pesto, sotto una pioggia battente e con un ombrello in comune che il vento mandava da tutte le parti .  


 

Un commento a “IL GRUPPO”

  1. nihil dice:

    Deliziosa cronaca di un gruppo pieno di sogni. L’importante è stare insieme ed insieme fare ciò che piace.
    Ricordo la camera da letto di un mio amico che provava alla batteria insieme ad un altro che aveva la chitarra. Sua madre che discretamente ci riforniva di marmellata fatta in casa mentre io registravo con un aggeggino appoggiato sul comodino e li riempivo di complimenti. Loro non seppero mai che io sono stonata e non riconosco una tromba da una campana, ma era belloo anche così. Sogni, sogni, sogni.
    Sergio riusci a suonare in un complesso e morì tossico d’infarto a 40 anni.
    Adriano si mise a vendere pesce. Sogni alle spalle, ma almeno una volta avevano sognato. N.

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