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W IL 25 APRILE

Pubblicato da rossanocrotti il 18 giugno 2007

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W  IL  25  APRILE


 


Il venticinque Aprile di quell’anno, cadeva nella settimana di esposizione alla zona fiera. Ruggero era agitato come un ragazzino mentre cercava di organizzare il tutto con falsa competenza. Il trasporto era la cosa più facile. Gli accordi per il posto stand pure. Il difficile era trovare la persona che, agli occhi del pubblico potesse dare una bella impressione nonché un briciolo di credibilità dell’azienda. E Ruggero non aveva voglia di affaticarsi più di tanto .


Sopralluogo nel campo della zona fiera. Le bandiere sventolavano mosse da un deciso vento di inizio primavera, e quelle bandiere, pensa, avevano un significato molto più importante cinquant’anni prima, quando questa strada non era percorsa da me e Ruggero col Mercedes CE mentre trillava il telefonino. Ora sventolano ignorate solo per fare da cornice ad una bella giornata di sole in modo che la gente possa uscire e comprare, fare il ponte ed andare due o tre giorni in vacanza. Magari andare al mare per il primo sole dell’ anno col canotto attaccato dietro la macchina, il cane, la nonna, i figli, i thermos e i panini fatti in casa da mangiare sulla corsia di emergenza dell’ autostrada mentre il cane fa pipì. Allora tutte quelle foto di gente che urlava con la gioia che gli sprizzava dagli occhi sfilando per strada e abbracciandosi cosa significavano? Quelle case distrutte e quegli ammassi di macerie che si vedevano ritratti, certo non erano fonte di felicità,  ma era finita la guerra, pensai, ed era un motivo ben più che sufficiente per vedere ritratta gente allegra. Erano foto che mia nonna mi faceva vedere da bambino e in un qualche modo mi insegnarono un profondo rispetto per la generazione di quel tempo. E mi fecero riflettere . Più di ogni cosa. Il Gero di fianco a me stava parlando al cellulare mentre guidava e il suo modo di parlare mentre pensavo a queste cose, mi dava fastidio. Mi dava fastidio essere in quella macchina,  il modo in cui guidava, come prendeva le curve, in sottosterzo, come se la strada fosse sua. Sotto quelle bandiere. Con lui non potevo imbastire nessun discorso di quel tipo, ma il desiderio di capire il vero significato di quella ricorrenza (non solo dal punto di vista storico) si faceva in me sempre più grande. Credevo fosse stata un’ingiustizia, ero convinto che celebrazioni di quel tipo erano diventate solo delle scuse, come ormai il Natale, cosicché la gente che si credeva furba se ne potesse approfittare. E tutti noi eravamo diventati sempre più  inconsapevoli del vero significato di quella data. Buona solo per stare a casa dal lavoro. E la felicità di quei sorrisi nelle foto si riduceva a tristi bandiere penzolanti dai fili elettrici e alla banda che suonava in piazza, sfilando davanti a qualche vecchio signore vestito a festa che senz’altro di ricordi ne aveva,  ma non sapeva a chi raccontarli .  


Io e la mia guida spirituale del  “come non diventare” incarnata in Ruggero, arrivammo sul posto. La pioggia dei giorni precedenti aveva lasciato parecchio pantano per terra. Questo oltre a rallentare i lavori, mi fece ricordare quelle vecchie foto. La campagna, vasta e spoglia, disseminata di buche. La zona fiera sarebbe stata ripristinata in poco tempo per permettere l’afflusso degli espositori che già dal giorno successivo dovevano prendere posto. Ci mettemmo in prima fila per parlare con gli organizzatori. Vicino all’entrata già sorgevano i primi stand. E a due giorni dal venticinque Aprile, i camion scaricavano instancabili tubi di ferro e assi di legno, gli uomini della sicurezza sbracciavano e davano indicazioni e sulla facciata dello stabile sede degli uffici, a fianco della bandiera italiana, sventolava presuntuosa la bandiera dello sponsor. Le due bandiere si toccavano, si strusciavano l’una contro l’altra, si coprivano sbattute dal vento. Pareva che ognuna volesse il proprio spazio. E immaginavo cosa poteva importare tutto questo a quel  signore che guardava sfilare la banda. Con lo sguardo profondo e orgoglioso  di chi non parla perchè le sue parole sono nella storia, la saggezza nei suoi anni, il suo spirito nel giusto. 


Il sole pareva volesse esplodere da dietro le nubi ed un’aria calda spettinò le piante che delimitavano il grande cortile. Mi trovavo al centro fra gente in giacca e cravatta che rideva e rispondeva al cellulare e operai che sudavano e scaricavano. Mi sentivo al centro dell’universo. Le cose giuste (dice mia nonna ), stanno sempre nel mezzo. Passai un’ora in compagnia di un palo della luce e quando il sole spense i riflessi e le ombre pian piano si allungarono, la Mercedes CE partì velocemente sotto un tramonto che prometteva per l’ indomani una buona giornata . Mentre Ruggero si lisciava i capelli  e spingeva sull’acceleratore, con una fretta inspiegabile  ci dirigemmo  verso il mobilificio.


Il giorno dopo la festa stava passo passo diventando reale, la struttura della mostra era ormai comprensibile ed il sole aveva asciugato le pozzanghere. Ai lati del perimetro erano comparsi gli immancabili pensionati  che puntualmente, ogni costruzione, davano il loro ausilio tecnico. Erano persone di ogni ceto sociale e di età sommaria comunque non inferiore ai sessanta, sessantacinque anni. Raggiungevano la zona fiera  a piedi o in bicicletta e con una sicurezza che non tradiva la totale estraneità al palinsesto, arrivavano persino dai manovali che stavano preparando i prefabbricati dando istruzioni su come era meglio fare. Loro, divertiti, stavano al gioco rispettosi per l’età e garantivano la messa in opera dei suggerimenti. E così, viva il venticinque Aprile, passato fra l’odore di salsiccia ai ferri, gnocco fritto e salumi a volontà. Assaggi, depliant, chi più ne ha più ne metta. Fra tanta gente che passava in rassegna i vari stand (fra i quali anche il mio), la maggior parte aveva le rughe pesanti in faccia, il maglione tinta unita sulle spalle ed un sorriso garbatamente perplesso, fra tanta abbondanza . Ruggero aveva noleggiato per quel giorno due ragazze pon-pon mezze nude che distribuivano volantini con su stampati mobili che parevano sin troppo belli. In mezzo al prato, splendevano le auto in esposizione della concessionaria, nello stand di fianco al mio si svendevano i capi invernali e i bambini giocavano rotolandosi per terra. I nonni passavano in rassegna. I papà compravano i gelati nello stand del bar. Le mamme rincorrevano i bambini. L’odore pesante composto da salsiccia, strutto, carne, patatine, avvolgeva tutti e tutto. E questo  rimarrà l’ unico ricordo della mostra per chi, a casa, si toglierà i vestiti e li metterà nell’armadio . Era mezzanotte e la baraonda di gente (fra cui una signora che si era seduta sul divano in esposizione perchè era stanca), cedette il passo al silenzio. Piano piano le insegne si spegnevano. Gli addetti ripulivano per terra con grossi spazzoloni. Il fresco della sera si faceva intenso. E anche la solitudine che aleggiava intorno a me. Ero rimasto solo (mi doveva passare a prendere  il Gero). Solo, incravattato come un pinguino, a far da guardia ad una cucina, tre mobili e un divano. Mi incamminai verso lo stand del bar, con le mani in tasca, calciando bicchieri di carta e pacchetti di sigarette vuoti . Attraversai il campo davanti a me, con l’ erba tagliata di fresco bagnata dalla brina. Presi un caffé. Le poche anime rimaste mi guardavano in modo strano, ma io mi sentivo fra il pirla e il padrone del mondo. Avevo la bocca impastata. Nessuno sapeva che stavo aspettando da due ore quello stronzo del mio principale. Alzando gli occhi al cielo vidi le stelle al loro posto. Andai in paranoia e mi chiesi se qualsiasi altro essere umano al mondo vedeva quello che stavo vedendo io. Se qualche altra persona in quel preciso momento vedeva quelle stelle così brillanti. Due persone a migliaia di chilometri di distanza ai quali occhi si presentava lo stesso spettacolo. Magari non solo due, ma tre, dieci, cento, mille… chiunque guardasse il cielo, e solo quello in quel preciso istante. Altro che Internet.  Possiamo essere così tutti uguali. Sotto lo stesso cielo. Vedere le stesse stelle, io qui sul prato come chi alza gli occhi dalla sua fattoria nel Texas, sentendo lontano l’ urlo del coyote. Io sentii due colpi di clacson. Lo stronzo era arrivato.


Ore una e trentacinque.


Ennio era sdraiato al buio nel suo letto e non riusciva a dormire. Doveva decidere quando troncare con Cristina. Sapeva che era una doppiogiochista e che era già separata dal marito, ma non immaginava che quella sera era andata a letto con Tozzi Ruggero, titolare dell’omonimo mobilificio e che per colpa sua un cretino aveva aspettato tre ore davanti ad uno stand. I due si erano conosciuti al bar dove il Gero passava le sue mattine.

2 Commenti a “W IL 25 APRILE”

  1. oroboros dice:

    Bello lo spirito che l’ha motivata, geniale tua nonna che ha ragione, non perché il grigio è meglio del nero e del bianco, ma perché nel mezzo si ferma, per un attimo, l’equilibrio che tende a fuggire. Tu scrivi bene e hai un’intelligenza che passeggia con la sensibilità, e questa è una bella premessa che ti consente di parlare di valori. Solo un appunto… fatto da chi non ama criticare negativamente ma quì, in questo speciale caso, vale la pena farlo: troppa descrizione. Hai, in ogni caso, tutto il mio apprezzamento. Ciao e a rileggerti presto.

  2. oroboros dice:

    Ahh… sei uno scrittore ;-)… ho visitato il tuo sito. Bene, non mi ero sbagliato, il talento lo so riconoscere al volo. Perdona allora il mio appunto, ma io non adoro particolarmente il dilungarsi della descrizione perché sono un lettore frettoloso che vuole arrivare a capire subito il centro del racconto e, che è poi lo stesso, il suo significato. Ti saluto augurandoti il meglio che la vita già avrà dietro la schiena pronta a dartelo, ma non prima di avere strizzato l’occhio anche a tua moglie. Ciao.

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