GIU’ LE MANICHE
Pubblicato da rossanocrotti il 30 luglio 2007
GIU’ LE MANICHE
Nell’ultima pagina di quel giornale, sotto la grande foto della pubblicità, si leggevano i soliti annunci economici. Più o meno seri. Dalle proposte di lavoro agli annunci personali. Ennio era stato licenziato da due mesi e cercava in qualsiasi cosa il momento buono per una svolta. Si era risentito con sua moglie, ma tutti e due erano troppo orgogliosi per fare il primo passo. Ennio di sicuro non l’avrebbe fatto da disoccupato. I pensieri gli rimuginavano in testa e Cristina non lo cagava più. (La troia).
“ A.A.A. IMPORTANTE AZIENDA SELEZIONA PERSONALE
AUTOMUNITI, MILITESENTI PER ASSUNZIONE .
INCARICO DI RESPONSABILITA’ POSS. GUADAGNI FINO A 5.000.000 .
ASTENERSI PERDITEMPO PER COLLOQUIO TEL ………”
Questo fu l’allettante annuncio su cui cadde l’occhio di Ennio in quella mattina di maggio mentre dopo l’ennnesima notte sul divano cadde per terra e si rese conto di avere la stessa faccia dello zerbino. Il nostro amico già si vedeva: sbarbato, in giacca e cravatta a salire e scendere le lucidissime scale di chissà quale palazzo, mentre tutti lo cercavano e gli davano la mano. Sognava una scrivania tutta per sé . Il telefono a cinque linee. E la colazione in ufficio, portata dal ragazzo del bar. Proprio il ragazzo che in quel momento lo stava guardando da dietro il bancone aspettando che quel fesso ordinasse qualcosa. “Una pasta e un cappuccio, grazie”. Ennio era avvolto nel suo misero giubbottino di jeans, gli occhialini rotondi da intellettuale su una barba di tre giorni, i pantaloni sdruciti e i mocassini pieni di fango . Un cesso d’uomo . Chi mai l’avrebbe preso? Quella domanda appena appena critica non se la fece mai. Inserì le monete nel telefono del bar e chiese informazioni sull’annuncio.
“ Barista …. carta e penna per favore!”
Carlo e Carmela in cantina stavano rispolverando i vecchi giochi della primogenita preparandoli per il momento del lieto evento. Carmela era china ad aprire i cassetti del mobile basso e così goffa con quel pancione fece ridere il marito, che le promise di comprare mobiletti più alti. Ora che aveva venduto il suo camion alla ditta per cui lavorava e ne aveva acquistato uno più piccolo in leasing, la liquidità (dopo anni) non mancava . I due scherzavano e ridevano, in quella cantinetta umida e buia illuminata solamente da una lampadina che pendeva dal soffitto, mentre a fianco a loro il maresciallo in pensione prendeva la bicicletta per andare a visitare qualche cantiere.
Ennio si faceva la barba e si vestì come un damerino per l’appuntamento. Era anche troppo elegante, non conosceva la via di mezzo fra il grembiule da ortolano che usava nel negozio di suo padre e il doppiopetto che metteva ai matrimoni. E si mise quello. Col fazzoletto nel taschino imbevuto di mezzo flacone di profumo. La sua macchina (a cui doveva ancora pagare il bollo), parcheggiò di fianco alla mia Uno color oliva sbiadito. L’idea di quella trappola per polli d’inserzione era del mio “maestro del come non diventare” – Gero. Mise quell’annuncio su consiglio di un tragattino che si spacciava per un esperto in public relation, management, tecniche di mercato ecc. ecc….
Aveva la carnagione color cacao pallido, l’accento bolognese e ogni volta che si passava la mano fra i capelli appena lunghi, quelli ritornavano perfettamente come prima. Come nella pubblicità degli shampoo. Aveva una valigetta in pelle nero lucido con solamente un blok notes bianco e l’agenda. Avrei giurato che a chiamarlo ogni cinque minuti al telefonino era sua madre d’accordo con lui, perchè pensavo che nessuno potesse aver bisogno di una persona così inutile. Si rifece col buon Ruggero. Lo stava ad ascoltare come un bambino che ascolta la favola prima di addormentarsi. (E di favole si trattava). Fu proprio quel viscido individuo a fare il colloquio con Ennio. Fui io a ripulire parte della segheria e a trasformarla in un tentativo di mini aula scolastica. Ennio fece una buona prima impressione e venne convocato per la prima lezione. Di cosa si trattasse, quella gente che cercava lavoro, non l’ aveva capito. Pian piano venne scoperto. Funzionava così: le persone che avevano risposto all’annuncio, dopo un mese di prova, per guadagnarsi un’assunzione (a parole) dovevano setacciare i clienti già esistenti o trovarne dei nuovi. Se il cliente acquistava minimo per cinquanta milioni il dieci per cento andava al procacciatore che veniva assunto in magazzino a periodo limitato con la prospettiva di possibili incarichi di responsabilità. Era la quarta volta dopo il suo matrimonio che Ennio metteva quel vestito. Capì che forse non ne valeva la pena. Ma tentò. La prima lezione tenuta da Big Jim aveva lo scopo di istruire i poveri avventizi in cerca di lavoro sul come intortare i clienti. Sul dover umiliarsi a decantare pregi di una cosa di cui non sapevano niente. Di dover convincere gente a cambiare i mobili, vestiti da pinguino, senza contratto di lavoro e per una ditta di cui si dovevano dichiarare fidi paladini pur conoscendola da due ore. Non bastando, per accrescere il livello culturale dell’intervento all’interno dell’ azienda, Big tirò fuori dalla valigetta un libro chiamato “Come si diventa un venditore magnifico” e lesse alcuni passi a quei sette sfigati seduti in un angolo di una segheria. Sette sfigati che da ex muratori, cassintegrati, neodiplomati, licenziati, figli di papà con voglia di non fare un cazzo, speravano di diventare qualcuno in quella ditta. Una settimana dopo, così ben vestito e con una borsa di cataloghi che gli allungarono il braccio di dieci centimetri, Ennio si fermò davanti ad una palazzina di otto appartamenti, con dietro un pratino sul quale l’irrigatore stava spruzzando piccoli getti d’acqua. Era madido di sudore e vestito in quel modo si sentiva veramente stupido. Il sole di maggio era forte e a picco su di lui. In quella palazzina, una signora stava passando lo straccio nell’androne, le chiese informazioni sul primo cliente della lista e salì le scale. L’odore di cloroformio era forte e sotto le ascelle aveva due chiazze perfettamente visibili (e alquanto imbarazzanti) . Suonò. Alla porta gli aprì una bambina. Subito dopo, arrivò la madre, in pigiama extra large dovuto all’ormai sesto mese di gravidanza. Carlo era in cucina vestito in maglietta e pantaloni corti. Ennio sudava.
“Lei è della Tozzi Arredamenti ? Bravo, già che è qui faccio presente a lei di come è stata montata la cucina, ho telefonato più di due settimane fa per …….bla … bla ….
Ennio era a corto di zuccheri, non sapeva come spiegare che lavorava, anzi no, stava facendo …. facendo cosa ? Stava tentando di vendergli qualcos’altro? Carlo da dieci minuti non stava facendo altro che parlare male di qualunque cosa riguardasse i mobili che aveva comprato da Tozzi Arredamenti. Carmela offrì ad Ennio un bicchiere di limonata che buttò giù come lo scarico di un lavandino. Appena potè, il nostro amico tagliò corto, ringraziò e scappò via. Stava per essere inghiottito da responsabilità più grosse di lui. In un lavoro che non era il suo, di fronte a gente che gli suscitavano anche un po’ di invidia. Come tanta gente nelle case, quelle belle case, con quelle famiglie normali, così normali ……con i bambini, il barbecue …..proprio come la sua qualche anno fa.
Il giorno dopo avrebbe riportato i cataloghi in ditta. Scese le scale sino all’androne e sotto gli occhi della signora delle pulizie, si arrotolò le maniche della camicia, si slacciò la cravatta e assorto nei suoi pensieri, s’incamminò a piedi verso la macchina in quell’angolo di periferia del piccolo paese in provincia di Reggio Emilia.