CONSIDERAZIONI SUL FUTURO
Pubblicato da rossanocrotti il 9 giugno 2007
IL FUTURO
“Se l’America l’ha scoperta Colombo, perchè là parlano inglese?” .
Con questa acuta e spassionata riflessione, Ruggero quel mattino entrò in ditta con l’alito pesante, il vestito uguale da una settimana e
Prendevo nota per uno svogliato titolare per caso che alle otto e mezzo di mattino lasciava tutti i suoi unici problemi in una cartella rossa sopra la scrivania e ciondolando andava al bar di fronte. Immaginavo e pensavo il mio futuro. Fra cinque, dieci anni . Magari in quello stesso giorno dell’anno. Ruggero mi aveva proposto di entrare nella società. Suo padre era d accordo perchè non si fidava del figlio e perchè aveva ormai settant’anni. Immaginavo un futuro degno di me, come io di lui. Dove il momento più bello della giornata era la sera, quando io e la mia donna ci saremmo seduti su un divano di pelle bianca. Guardandoci in faccia stanchi della giornata appena conclusa , grati e soddisfatti l’uno dell’altra, partecipi di una complicità indefinibile ma forte e indistruttibile nel tempo. La sincerità sarebbe stata la base di tutto. Sincerità con gli altri e con se stessi. Non avevo mai pensato che ciò che stavo facendo anche quella mattina, poteva avere riflesso nel mio futuro, come del resto ciò che facevo nel mio presente era il riflesso di scelte passate. Vedevo tutto ciò come una linea storta, che in parte si può piegare e in parte no. Vedevo la vita come una barca sballottata dalle onde. Onde alle quali solo in parte puoi tener testa. Mantenere la rotta non è facile. Già, al destino non ci si può ribellare. Ma ci si può creare attorno una buona corazza per farci trovare meno deboli. Una corazza di valori e di affetti che erano diventati molto importanti , in un mondo che mi circondava sempre più superficiale. Era tremendo. Pensavo al Roberto di dieci anni avanti che guardava me seduto in quel piccolo ufficio. Chissà se sto dando un senso alla mia esistenza. Chissà se sto facendo la cosa giusta . Chissà se il Roberto di trent’ anni è contento di me. Il me stesso medesimo che guardandosi indietro di dieci anni vede proprio me. Vorrei tanto sapere se da lui sto prendendo del coglione, oppure sto andando per la strada giusta. Il futuro, il futuro, cazzo. Era diventata un’ossessione, nessun pensiero era più importante per me. Ero circondato da gente più grande di me, io non facevo testo. Ero caduto in un grosso equivoco. Non c’erano parametri di confronto, ragazzi, io devo ancora fare tutto. Non potete sottintendere niente con me, niente. Mi trovo dove non devo essere. Ho saltato delle tappe importanti, troppo importanti. Almeno per gli altri lo sono state. Ecco, io ho ventitré anni. E molte cose da fare. Ho paura, ho dei dubbi. E voi non me li potete risolvere perchè non ve li ricordate. Siete sposati, avete divorziato, avete la ditta e tutto quel cazzo che vi pare, io non ho niente. La sera torno a casa e mia madre mi fa da mangiare, niente è intestato a me, neppure
“Tutto a posto”, dissi, “ho preso nota di tutto, niente di importante rispetto al solito”. A parte il mio futuro, pensai, che da quel giorno mi pareva in bilico ad ogni passo facessi. Sentivo delle urla che mi venivano da dentro, un improvviso bisogno di chiarezza psicologica da parte del mio sistema nervoso che mi garantisse sugli sforzi che oggi sto facendo per diventare grande. Che vadano a buon fine. Che Roberto fra dieci anni, pensandomi, accenni un malinconico e grato sorriso. Che possa essere fiero di me, nel futuro. Futuro.
Nel presente di stasera c’erano le prove col Giò, Marino, l’ubriaco e forse le vicine di casa di quest’ultimo che portavano le paste. I miei pensieri si sgonfiarono e diventarono a poco a poco insignificanti. Ora erano tutti sulle prove e sulle vicine di casa del tastierista. Dovevo sfogarmi, e suonando ci riuscivo bene e divertendomi. Aprendo la porta antincendio che divide gli uffici dalla segheria – laboratorio, il rumore delle macchine diventava forte, la polvere fastidiosa e gli sguardi dei miei colleghi erano strani e pieni di domande. Nella ditta vigeva un sottile senso di anarchia. Ruggero si dava un tono solo quando rispondeva per telefono al Maresciallo Catania. Il padre, in convalescenza ma ormai cosciente e senz’altro più sveglio di suo figlio, aveva già programmato il futuro della ditta. Trillo di campana, pausa pranzo. E
Ennio quel giorno lasciò per un attimo l’ eremitaggio della sua casa in affitto per andare da una chiromante . Il futuro, secondo lui si poteva leggere. Non prevedere, ma almeno intuire. Il bello è che il ragazzo (per modo di dire) non pensava minimamente di sforzarsi per cambiare il suo presente (di merda), ma affidava tutto alle magie occulte di loschi tragattini che operavano come maghi in scantinati con odori di muffa e aceto andato a male. Naturalmente, l’ingenuo Ennio, non si affidava almeno ai maghi che pubblicizzavano il loro operato sui giornali. Al contrario chiedeva ad amici di amici se conoscevano cartomanti, sensitivi , ecc.. . Da qui, qualcuno, aguzzando le orecchie ed improvvisando una cantinetta con candele e teli colorati si improvvisava cartomante e medium. E il buon Ennio era servito. Il suo futuro, chiaramente, era rosa come un maialino. Anzi, come una scrofa, visto che ad organizzare la truffa era stata Cristina, la sua amante e padrona di casa, che giorno dopo giorno gli succhiava soldi senza che quel povero ebete se ne accorgesse. Ennio era troppo debole per riuscire a prendere le redini della sua vita e svoltare di scatto dalla brutta strada che aveva preso la sua esistenza. Era un perdente, aveva bisogno di una compagna a fianco più forte di lui. E per lui era importante sentirsi dire da qualcuno che per il suo futuro non doveva fare niente, che aveva gli astri a suo favore e che senza batter ciglio da parte sua le cose si aggiusteranno come voleva lui. Comodo. E questo Cristina lo sapeva ed aveva preparato con due suoi amici la truffa del medium. Ennio era contento perchè aveva sentito ciò che voleva sentire e la sua furba amante aveva arrotondato la sua unica fonte di guadagno, ossia l’affitto che pagava lui e le girava la zia.
Ennio quella sera era nel salotto. Sfogliando un album di vecchie foto, aspettava Cristina. Dal cielo, un rimbombo annunciava pioggia al più presto. Erano foto in bianco e nero, alcune della guerra. Erano foto dei suoi genitori, famiglia solida e tuttavia ancora disposta ad aiutare il figliolo nonostante le sue stronzate. Ennio non aveva amici. Solo il Giò che era stato il suo vicino di casa. Ed io che lo conoscevo di rimbalzo. Pioveva. Ennio doveva mettere degli stracci alle finestre, che erano di legno marcio e con lo stucco secco parzialmente sgretolato.
Un tuono rimbombò e fece vibrare i vetri e le padelle messe nello scolapiatti nell’ appartamento del Giovanni. Lui rimase indifferente con la cuffia in testa ascoltando musica, steso sul divano, mangiando la cena comprata nella rosticceria cinese e appoggiata sul tavolino stracolmo di giornali e riviste. Il sacco del pattume era appeso alla maniglia della porta. Alle pareti, sulle mensole nere, cassette, libri e oggetti vari, parlavano di lui. Erano lo specchio della sua vita.
La casa di Carlo, con i nuovi mobili “ Tozzi Arredamenti” era finalmente finita, ed erano finite anche le discussioni fra lui e sua moglie, dopo che il medico gli aveva detto che i neonati sin dal quinto mese di gravidanza, percepiscono ciò che succede nell’ambiente esterno. Ora i due se ne stavano tranquilli a casa, giocando al gioco dell’ oca con la figlia a spolverare e lustrare i nuovi mobili montati da una settimana.
In ditta, l’allarme si mise a suonare da solo; e un improvvisato Indiana Jones – Ruggero si arrampicò su una montagna di telai per divani (con danni irreparabili) per raggiungere la centralina. Il tutto sotto gli occhi attenti, preoccupati, stanchi della madre che era uscita di casa ed era corsa verso il magazzino con una borsa di plastica in testa.
Giovanni era immerso nel suo sport preferito (catalogare francobolli) e quando mancò la corrente non ebbe problemi continuando alla luce di una candela.
Ennio sfogliava l’album e aspettava Cristina.
Carlo tirava i dadi.
Ruggero salendo sui telai si strappò la camicia. Pioveva. (Era Aprile )
Giovanni aspettava me. (Le prove).
E quella sera di fine Aprile fu solo il temporale ad accomunare queste quattro persone di trent’ anni, con vite completamente diverse, e comunque da esse tutti e quattro assorbiti, mentre io cercavo un ombrello in cantina per uscire dal portone del palazzo e raggiungere il parcheggio. Quattro case, quattro famiglie, quattro modi di vivere, di essere. Quattro modi di essere felici. O di cercare la felicità. Chissà a chi avrebbe assomigliato l’io trentenne che ora saluta la mamma per andare a suonare e zompa come un folletto fra le pozzanghere sotto la pioggia battente per raggiungere
11 giugno 2007 alle 9:08 am
Molto belle le quattro storie che verso la fine convergono… sei riuscito benissimo a descrivere gli eventi che accadono contemporaneamente. ^_^
11 giugno 2007 alle 1:33 pm
storie come tante, ma sono le nostre vite, descritte nei loro intrecci predestinati. N.