Un tramonto,
un telegiornale,
un amore finito male,
un bicchiere di vino,
una poesia, una frase,
che differenza c’è?
Da una parola ne germoglia un’altra
e non si fà scudo della prima,
gli cresce accanto
e forse le somiglia,
ha foglie anch’essa
e alla luce aspira,
fiorisca o muoia
le porterò rispetto,
che portulaca sia o rosa,
figlia bastarda
o varietà pregiata.
Ungaretti rifece
di Shakespeare i sonetti
e me li fece amare,
e senza traduzione
quante emozioni mi sarebbero negate:
cinesi, giapponesi o russe
ungheresi, arabe o swahili,
certo non posso dire di averne scienza
forse una foto, un’ombra,
un tradimento, un’emozione riflessa.
Ma, niente, tu mi dici,
è l’opera sacra e inviolabile,
ad essa mi devo accostare
con il timore e il rispetto
di un altare…
ma politeista sono
o panteista, meglio,
ateo meglio ancora.
Milano 14 ottobre 2004
La versione originale utilizzava il termine “pantateista” per enfatizzare la distanza dal “panteismo” biblico e semmai, per assonanza, ricollegarsi alla sintesi del pensiero di Eraclito fatta dai posteri in “Panta rei os potamòs” , l’ho ritenuta ridondante.
Che bella questa poesia… Così moderna eppure così evocatrice di antiche “terre”…!
Non so se ne afferro bene il senso che tu vi hai espresso, ma ciò non è importante: ha un’armonia che seduce come musica, e le parole come suoni muovono emozioni. Emozioni forti eppure pacate. Mi piace molto.
Bernardo, ti ringrazio per ciò che mi hai scritto in commento: il tuo apprezzamento ha grande valore. Lo avevo letto nella notifica via mail e spesso mi è tornato alla mente (a farmi far la coda di pavone).
Scusa il mio ritardo, aspettavo di avere più tempo, per sostare a mio piacimento qui. Purtroppo da alcuni mesi non ne ho che poco, troppo poco.