Dalle pendici dei Marsi

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Non so cosa mi spingesse quel giorno ad uscire per funghi, non aveva piovuto di recente e l’aria era fresca e mossa da una brezza leggera.

Mi allontanai dal paese camminando veloce lungo il tratturo che dalle pendici del Gran Sasso si avviava solenne verso il mare, quell’Adriatico “selvaggio” sembrava “domestico” nel lontano orizzonte che si intravedeva ogni tanto tra le selle delle colline.

Una macchia di querce accompagnava per un tratto l’antica via, ne scese fino a me un odore intenso di funghi che mi trattenne, scelsi così di seguirlo nel folto di quel che sembrava un piccolo bosco fuori luogo, intorno infatti le colline erano coperte di campi arati, solo ogni tanto un appezzamento di ulivi o una piccola vigna segnavano di grigio e di verde il bruno rossiccio della terra nuda.

Il profumo di funghi mi arrivava da ogni direzione, lo seguivo eccitato e non mi accorsi che così facendo avevo preso una diramazione della macchia che mi aveva portato, oltre il dorso della collina, a scendere in una stretta valle muschiosa e scura, sentivo un mormorio di ruscello alla mia destra, le querce erano scomparse, al loro posto ontani e salici, dai cui rami bassi e secchi pendevano licheni, come festoni polverosi.

L’odore di funghi era sempre più intenso, ma io non riuscivo a vederne neppure uno.

Camminavo seguendo quella che forse era stata una pista di cinghiali, ogni tanto infatti scompariva passando sotto un intrico di rovi, che io dovevo aggirare, ma in generale il sottobosco non era tanto fitto da essere di grave intralcio, ero stupito, quella lunga gola mi era del tutto sconosciuta, non ne avevo neppure mai sentito parlare dai vecchi del paese.

Funghi ancora non se ne vedevano, ma oramai ero deciso a seguire quella gola fino al suo sbocco, così seguitai a camminare a qualche decina di metri dal ruscello che sentivo chioccolare, ma non riuscivo a raggiungere; quando mi spingevo a destra, sentendolo da quella parte, dopo qualche passo mi accorgevo che il suono si era allontanato e ora proveniva da sinistra, così proseguii zigzagando per qualche ora, quando, davanti ai mei occhi si aprì una radura intorno a un piccolissimo laghetto che terminava in quelli che sembravano i resti di un antico muraglione di pietra tra cui si era scavata una via.

Costeggiai la riva e mi accorsi così che due corsi d’acqua si riversavano in quel piccolo bacino, io avevo continuato a camminare, probabilmente, oscillando come un pendolo da uno all’altro senza mai raggiungerne nessuno; uno era rossigno e torbido come se portasse argille sospese, l’altro sembrava limpido, ma le sue acque erano scure e in pochi centimetri la luce si perdeva oscurando il suo fondo.

A fianco della diga si riuscivano a riconoscere le tracce di un canale, che ora le acque non percorrevano più, essendosi scavata una via tra le pietre della diga e avendone scalzata più d’una ora esse scrosciavano sommessamente lungo la diga, cadendo nella pozza alla sua base.

Percorsi il vecchio canale per un centinaio di metri fino ad un edificio in cui il canale sembrava entrare, doveva essersi trattato di un vecchio mulino o di un’officina di fabbro, qualcuno doveva avere costruito la diga per sfruttare la forza delle acque.

Tutto sembrava abbandonato da almeno un secolo, solo qualche scheggia di legno attaccata i cardini testimoniava la passata esistenza di una porta .

Il bosco, che aveva fatto spazio al laghetto ora lungo il canale e il corso del torrentello, aveva ricominciato prepotentemente a conquistare il cielo e ora sembrava quasi chiudersi sopra la casa da ogni lato.

La giornata volgeva al termine e io non avrei potuto ripercorrere la strada fatta fino a quel punto prima della notte, avrei dovuto affrettarmi a seguire il corso del torrente che da qualche parte mi avrebbe ricondotto all’umano consorzio, qualcuno che mi desse un passaggio lo avrei trovato.

Stavo per volgermi verso il ruscello per seguirlo, ma in quel momento l’odore di funghi si fece fortissimo e io percepii che era scaturito proprio da quel vecchio edificio.

Una strana decorazione era scolpita sull’architrave di pietra, come tre cerchi accentati, di solito da quelle parti avevo visto che si usava incidere l’anno di costruzione, ma volevo vedere da dove venisse quell’odore che mescolava il profumo del porcino con quello del piopparello, così non ci feci troppo caso ed entrai.

La porta dava su una scala di pietra che scendeva a spirale intorno a una grande colonna scesi con attenzione i primi gradini vedendoli a malapena, ma appena gli occhi si furono un poco abituati mi accorsi che le pareti emanavano una leggera luminescenza che mi permise di distinguere i gradini mentre li scendevo, immaginavo di dover scendere quattro o cinque metri, quindi di dover fare al massimo quattro o cinque giri di quei gradini bassi e larghi, i meccanismi dei mulini non sono, di solito, sotto al livello del fiume in cui si scarica l’acqua che li ha mossi, invece la scala continuava a scendere senza porte o uscite e, stranamente, la colonna al suo centro sembrava sempre più sottile e la scala sempre più larga, intanto il profumo di funghi diventava talmente inebriante che quasi ne ero stordito.

La scala finiva senza dare accesso ad altri locali, semplicemente la colonna al centro si era ridotta allo spessore di un ferro da calza e l’ultimo gradino dava su uno spiazzo quasi circolare che sembrava terminare, completandone il giro, sotto la scala stessa, tutte le pareti di pietra emanavano quella luminescenza pallidamente ocra, con venature violette, che mi aveva accompagnato fino ad allora, solo il pavimento rimaneva oscuro e si intuiva appena, percorsi, tastando le mura con le mani e saggiando il suolo con il piede prima di calcarlo tutto il perimetro, quando fui sotto la scala mi dovetti chinare e fu allora che trovai una vecchia madia che sembrava l’origine di tutto quel profumo di funghi.

Mi chinai e, tastandola con attenzione, riuscii ad aprirne gli sportelli: di fronte a me avevo una massa chiara e ancor più luminescente delle pareti. Una folla di funghi, che sembravano assomigliare a delle vesce allungate, era cresciuta evidentemente stipate nella madia, essi sembravano quasi gonfiarsi per uscire sotto i miei occhi, tutti rivolti verso di me: sembravano chiedere coglimi.

Sorpreso da quell’abbondanza, cominciai a prendere esemplari diversi per dimensioni mettendoli nel cestino, avrei cercato di classificarli più tardi alla luce, eventualmente avrei potuto forse tornare in un secondo tempo per fare una raccolta massiccia, quando la madia, a cui mi ero appena appoggiato, crollò a terra, aprendosi a pezzi e dietro a essa si rivelò, nella parete di roccia, una nicchia in cui giaceva una strana forma che, nel pallido lucore, pareva quasi un teschio di pipistrello, o meglio una sua parodia, un abbozzo, una maschera, la toccai con cautela e mi sembrò che fosse di pergamena, dietro a questa, distesa sulla superfice della nicchia, riuscii a distinguere un drappo che pareva di velluto irrigidito dal tempo.

Ma avevo fretta, tra poco avrebbe fatto notte e la luna non sarebbe sorta che poco prima dell’alba, se non volevo passare la notte in quell’umido bosco dovevo affrettarmi, posai la maschera, o quel che era, tra i funghi ma il cesto era pieno, temevo di perdere una parte del contenuto al minimo sobbalzo, presi allora qulla specie di tessuto e lo spiegai, era molto largo, ed era peloso e un po’ consistente solo nella parte centrale, ai lati era solo una sottile membrana, sembrava la pelle di un qualche animale, con un brivido pensai che potesse essere una pelle di pipistrello, ma, accidenti, dovevo sbrigarmi, lo ripiegai e lo incastrai sotto il manico, rincalzandolo intorno ai funghi, avrebbe forse potuto impedire ai funghi di cadere, nel caso fossi inciampato nel buio incipiente.

Affrontai la scala deciso, ma qualcosa cambiava ad ogni gradino, qualcosa nella luce dalle pareti, qualcosa nella consistenza dei gradini, la stessa consistenza dell’aria cambiava a ogni passo, già dopo una decina di passi mi sembrava di muovermi nell’acqua fino alla vita, e la luce che emanava dalle pareti virò lentamente verso il giallo, poi questa sensazione di pastoie alle membra si fece ancora più intensa, saliva fino alle ascelle, anche le braccia si muovevano a fatica, ebbi un momento di panico, la cantina si era forse silenziosamente allagata d’acqua a temperatura corporea per cui la percepivo solo come ostacolo? Ma non avvertivo i turbini che un movimento nell’acqua crea, solo il suo impedimento, forse si trattava di una intossicazione da sostanze psicotrope prodotte dai funghi e dai batteri che ricoprivano quella strana cantina.

Feci a fatica qualche altro gradino, a questo punto i miei piedi erano come affondati nel miele, un denso sciroppo mi stava avvolgendo, lottai contro il panico che mi faceva temere di essere sul punto di affogare in quel fluido denso, ma non capivo neppure dove arrivasse, mi sembrava di respirare normalmente eppure facevo fatica anche a volgere la testa, mi accorsi che ero in apnea, cercavo di tenere la bocca chiusa e dopo un momento il panico mi fece anche chiudere gli occhi.

Aspettai di morire per un tempo immenso, fermo sulla scala in questo miele denso che cristallizzava intorno a me, compenetrandomi, sapevo che sarei diventato come un insetto nell’ambra.

Mi tornò la sensazione della vita quando sentii la mia urina scendere lungo la gamba destra, calda, come una mano appassionata mi carezzò fino alle scarpe e qui si perse.

Qualcosa sciolse il miele in cui ero incastonato, qualcosa poi lo diluì, qualcosa fece evaporare l’acqua mentre io ero fermo sulla scala con un piede su un gradino e l’altro su quello successivo, solo quando tutto questo processo finì io ripresi a respirare e aprii di nuovo gli occhi, la scala di pietra non saliva di fronte a me che di quattro gradini, mi volsi e vidi che dietro ne aveva forse altri sette, fuori era buio fondo, dentro perdurava quella leggera luminescenza che avevo visto entrando, il cestino però era vuoto.

Trovai il cellulare nelle tasche e cercai il numero di Robin, putroppo non c’era campo, dovevo sbrigarmi a tornare in albergo per avvertirlo che i funghi che aveva raccolto ieri erano allucinogeni, quella vacanza in Abruzzo si stava rivelando più divertente del previsto, altro che Gotham!

Milano 15 Settembre 2009

Milano 15 Settembre 2009

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6 Commenti a Dalle pendici dei Marsi

  1. annaerredesantis dice:

    I funghi eh…? Che ti eri fumato quando hai scritto questo racconto? ;)
    Mi ha colpito particolarmente una frase, aspetta che la prendo… “Mi tornò la sensazione della vita quando sentii la mia urina scendere lungo la gamba”: la trovo efficacissima e spunto per riflessioni. Ad esempio rifletto su come un’azione contraria ad ogni eleganza della civiltà, come il pisciarsi sotto, abbia il potere di ridare la sensazione della vita. E’ fantastico!!

  2. bernardodaleppo dice:

    Grazie Anna, spero che il tuo gran da fare, che citi nell’altro commento, sia un “gran da fare” costruttivo e interessante e spero di leggere presto altre cose tue.
    Ciao

  3. janblazer dice:

    Ti ho seguito per tutto l’itinerario e mi sembrava di percepire i profumi e riconoscere i rumori del bosco..
    Poi la scala mi ha portato in quel luogo quasi fiabesco metafora di nostalgia e ricordi.. sogni e incubi..
    Il finale splatter è geniale..

  4. bernardodaleppo dice:

    Troppo buono Jan. Bello passeggiare nei boschi, se taci e ti fermi ti accorgi che non sei mai solo. Bello seguire una pista, bello lasciare una pista che forse qualcuno seguirà.

  5. lindas dice:

    Bernardo, spettacolo!!! Tra boschi e profumi crei un’atmosfera idilliaca, poi ci tiri ‘sta stoccata dei funghetti allucinogeni… ihihih… bello!

  6. bernardodaleppo dice:

    Grazie Lindas, purtroppo la stagione dei funghi si è conclusa!

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