estamos en fallas
Pubblicato da caterina il 2 gennaio 2008
ESTAMOS EN FALLAS.
Hola! Squisiti Lettori,
Sono sempre piu’ del parere che il bello di un viaggio e’ PRIMA di averlo compiuto.
E’ pensare a come mi vestiro’, cosa mettero’ in valigia (o dovrei dire baule, armadietto, comodino???), come sara’ la stanza dell’hotel prenotato rigorosamente via internet (a volte certi tugurii…), che sapore avra’ la colazione , quel momento unico e tipico solo degli alberghi che se lo ricrei a casa non ci riesci neanche morto!
Sara’ per via delle tazze bianche riversate sul piattino gia’ dalla sera prima che ti lasciano la voglia di latte e cereali ancor prima di andare a letto o forse per via del caffe’, lungo, solubile , talmente inodore, incolore e insapore che quando non ce l’hai, ti manca davvero…
Che profumo avra’ l’aria di quel posto?
E il cielo?
Quale tonalita’ di azzurro?
Sbiadito con nuvolette sparse o vivido e lucente?
Ma soprattutto, chi incontrero’?
Di quanti indirizzi si riempira’ la mia agendina questa volta e quanti di questi nuovi amici mi resteranno appiccicati e lasceranno un segno?
Questo e’ il bello; a questo punto potrei anche non partire mai che il divertimento c’e’ gia’ stato, a priori…
Salgari insegna, santo sandokan!
Sono, di colpo, su di un autobus rosso, alle otto di sera, nel centro di Valencia mentre un autista gentilissimo e in linea con la cortesia generale che aleggia tra la popolazione iberica, mi indica la strada per la Plaza dell’Ayiuntamento, la piazza del municipio, per intenderci, il cuore di tutto.
Un immenso salotto di un liberty sfrenato , a cielo aperto, dove la socialita’ non ha mai fine e i bar che vi si affacciano mi danno l’impressione di non chiudere mai!
Nel darmi l’informazione, il mio uomo-bus sorride anche con gli occhi, nonostante il caos, la gente che sguscia ovunque come invasata , la polizia locale, stravolta, che lo fa deviare ad ogni angolo, i bambini che attraversano a zig zag…un inferno direte voi.
Eh, gia’, Signore e Signori, benvenuti a LAS FALLAS!
Sono le Feste di San Giuseppe, le piu’ importanti dell’anno per la citta’ di Valencia.
Piu’ sentite del Natale, oserei.
Abbiamo organizzato una toccata e fuga di tre giorni ma mi rendo conto solo al ritorno che non ne sarebbero bastati venti per fare tutto, apprezzare tutto, mangiare tutto!
Li’ un certo tipo di cibo la fa da padrone ed e’ l’apoteosi del mangiar per strada, “andando”, come loro puntualizzano.
Scartoccino a cono molto unto di vivanda in mano, da acidita’ di stomaco assicurata e via, tra la folla.
Guardate, meglio che stare davanti alla televisione a gustarsi un bel film d’amore e lacrime.
Per le strade scorre sempre la vita.
Mi viene mente mia mamma che ad ogni occasione di affollamento, esclama puntualmente “ma quanti siamo al mondo! E tutti diversi!”.
Squisiti Lettori, avrei pensavo di non tediarvi con una cronistoria che poco interesserebbe, a che ora ho fatto questo , a che ora ho fatto quello.
Non me lo ricorderei nemmeno io.
Quanto piuttosto vorrei fermare sulla carta alcuni sprazzi iberici, pennellate di “sabor de Espana”, flash di un mondo che crediamo, a torto, molto vicino a noi.
No-ne!
Gli Spagnoli sono unici. Peculiari, a se’.
Il loro modo di servirti a tavola, per esempio.
La Domenica di San Jose’, auguri ai papa’, siamo corsi come delle furie nella piazza del mercado central, anch’esso urlante tutto il modernismo dellAntoni Gaudi’ e ci siamo detti: una paella grossa come una piscina adesso non ce la leva nessuno.
Per prima cosa abbiamo dovuto procacciarci tavolo e sedie, ammucchiati in un angolo e a disposizione anche di chi volesse solo sedersi e riposare.
Sorrido pensando alle spennate di portafoglio del turista in una qualsiasi delle nostre citta’ appena tocchi uno sgabello.
Quando ti sei sistemato, senza tante raffinatezze, eh, s’intende, non c’e’ tovaglia o coperto, un cameriere con gli occhi spiritati ti si avvicina.
Sembra burbero ma appena fatta l’ordinazione gli cala la tensione come se a scegliere fosse stato lui e ti fa un sorrisone di benvenuto che ti riconcilia con tutti i ristoranti e le bettole del mondo.
Non esagero a dire che saranno passati venti o trenta minuti come minimo prima che l’altro responsabile al servizio , un piccolo signore anziano, con il cavallo dei pantaloni alle ginocchia e una dimestichezza nel rimestare e spiattare la paella in bella vista fuori ad un passo da noi, da far invidia a Vissani, ci allungasse nei piatti di carta una montagna di paella con pollo y conejo, la vera valenciana. Facevo prima a servirmi da sola, credo e con il timore sempre in aumento che prima o poi finisse e per me nn ce ne fosse dell’altra nella cucina minuscola che intravvedevo da fuori.
Mi ero guardata intorno ancora prima di sedermi e mi era parso che gli altri avventori avessero tutti finito, ma niente.
Il cliente deve pagare lo scotto dell’attesa, di una certa latente lentezza andalusa, quasi come se nel servizio fossero compresi i litri di acquolina che intanto mandi giu’!
La paella, assaporata cosi’, e’ gran buona.
Li’, al sole, gruppi affamati ti passano da tutti i lati e si organizzano una mensa in un vicolo o quasi in mezzo alla strada e tu continui a fare riferimenti all’Italia e pensi che stanno infrangendo una dietro l ‘altra. le molte regole nelle quali a volte ci ingabbiamo noi.
Il risultato e’ che la paella e’ sopraffina, cosi’ duramente conquistata.
Vi accenno alla “mascleta’” delle ore 14.00 dell’ultimo giorno di festeggiamenti; abbiamo nelle orecchie i fischi e i rumori di questa loro tradizione probabilmente arrivata direttamente dagli arabi, che li invasero per molti secoli per poi capitolare nella superba e maestosa Granada (Claudio Villa docet).
Sono file e file di petardi appesi al sole con delle mollette come panni stesi e ad un segnale parte il primo che contagia tutti gli altri come un domino.
Ne viene fuori un fracasso che ti rimbomba nelle viscere ma se ti scappa lo sguardo sul volto rapito di uno dei cinquecentomila stipati insieme a te in una via o dovunque ti trovi alle due del pomeriggio per 19 pomeriggi del mese di marzo in questi due minuti di bombardamento apocalittico, non ti viene da ridere. Anzi.
In un istante comprendo la sacralita’ di questo rito di piazza.
Loro ci credono e finisco per farlo anch’io.
Sara’ questa la chiave che mi attira la’da loro?
Lasciarsi pervadere dal loro senso di fiesta?
Oh, si’ e ti verra’ tutto ampiamente restituito!
Il caldo primaverile, il cibo salato e saporito, le famosissime “tapas”, assaggini fantasiosi e gustosissimi di ogni genere, ti fanno bere come un dannato. Fiumi di birra anche in Spagna e allora prendi d’assalto il bagno di un qualsiasi bar, gia’ pronto con i soldi in mano per consumare qualcosa.
Macche’, nessuno si cura di te a meno che sia tu a nn voler ordinare.
Colto il tuo viso un po’ teso che probabilmente fa trasparire la tua assoluta intenzione a far pipi’, discreti, deviano subito lo sguardo e magari sperano che poi ti fermerai a “tapeare” da loro ma se nn lo fai, nulla importa.
La strada verso i servizi e’ liscia come l’olio, a costo zero.
Mi sembra una cosa di grande educazione e rispetto verso il turista che se cede a tutte le bevande, dalla spremuta d’arancio dei chioschetti fino all’”agua de valencia”, una magica pozione a base di champagne e cointreau, allora avra’ bisogno di piu’ tappe e mica puo’ ogni volta bere un caffe’!
Santa torrefazione!
Percorro le vie a fatica , ci impiego minuti interi per fare dieci metri di strada e mi lascio trasportare dal fiume di gente; mi pare di sentire stralci di tante lingue diverse.
Siamo davvero tutti qui oggi, a spagnoleggiare con furore.Ole’. Vamos.
Ogni quartiere offre uno di questi immensi e raffinatissimi monumenti di cartapesta da visitare, la falla, appunto. Alcune sono architettate da veri e propri maestri d’arte di fama nazionale.
Ma piu’ di tutto, se dovessi stilare un indice di gradimento tra le attrazioni che offre questa meravigliosa citta’ durante las fallas, punterei il mio patos sulla offerta dei fiori alla Vergine degli Abbandonati, piu’ familiarmente da loro chiamata “ofrenda” .
A mio parere un vero fenomeno di costume.
PER tre giorni consecutivi, nei viali spaziosi gremiti di persone, centomila falleras, le valenciane vestite con gli abiti della festa di un tempo, sfilano ordinatamente coi loro mazzi di garofani rossi , bianchi e rosa, tenuti rigorosamente sul braccio sinistro.
Signore Lettrici, andreste via di testa anche voi come me: SONO STRAORDINARIE!
Gli abiti ricchissimi, di broccati pesanti, ognuno unico anche se tutti entro i canoni e i dettami della moda dell’Ottocento.
Grembiulini luccicanti e super ricamati, orecchini pendenti e una serie di pettinini dorati tra i capelli raccolti in tre chignons, due ai lati e uno dietro piu’ grande e la mantiglia spagnola, icona delle donne iberiche, appoggiata sul pettine simbolo anch’esso del costume nazionale.
So essere cosi’ precisa nei particolari perche’ un anno decisi che sarei stata anch’io una fallera come per acquisire una sorta di lasciapassare perpetuo ogni volta che sarei tornata a far loro visita.
Infatti lo dico a tutti, perfino alle hostess: “buenas dias, sono fallera, sa?”
Iniziai al mattino presto con una seduta fiume dalla parrucchiera.
Mi creo’ con i miei stessi capelli queste tre polpettine che mi portai in testa fino al giorno dopo, dormendoci sopra…
Quella notte riposai piu’ che dormire, appoggiata allo schienale del letto, con un fazzoletto in testa per non smuovere l’impalcatura.
Che se me lo ordinasse il medico…vabbe’.
Ma il particolare che ricordero’ sempre fu il sadismo con cui la signora “peluchera” mi infilo’ gli ultimi due spilloni incrociati nello chignon dietro.
Sembrava un torero con gli occhi iniettati di sangue.
La vedevo dallo specchio, addirittura con la lingua mezza fuori nello sforzo di trafiggermi.
Zac e zac e la mia testa era belle che sistemata.
Colpo finale, mi disse: “adesso chica, no mirar, por favor”.
Non guardare????
Ma cosa mi sta facendo??
Da un sacchettino estrae un pettine dorato che al momento mi e’ sembrato un rastrello da giardino tanto era grande e me lo pianta in mezzo a tutto quel groviglio di ferraglia che avevo gia’ .
Le altre clienti, dopo aver trattenuto il respiro per un attimo che a me e’ parso un’eternita’, hanno applaudito!!!!!!
Ho preso due antidolorifici e mi dava come l’impressione che mi si staccassero le orecchie quando, tutta insalamata nel mio vestito luccicante, mi sono messa in fila con le altre contadine elegantissime e sono giunta nella piazza della Vergine.
Dopo aver camminato lungo il percorso prestabilito con gli incitamenti dei passanti ad ogni metro sempre piu’ intensi: “guapa, adelante, chica guapissima!” il mal di testa mi e’ passato o forse non ci ho piu’ pensato, distratta e completamente conquistata da cio’ che vidi.
Una piazza colma all’inverosimile di visitatori, agli spagnoli piace sentirsi tutti schiacciati e appiccicati e star ore ad attendere questo o quell’evento.
E tutte noi falleras a ruotare intorno ad una statua altissima della Vergine Maria con il Bambino retto sul braccio sinistro.
La dolcezza dell’espressione di quel viso materno che vegliava su di noi tutti mi ha strappato una lacrima.
Sparita tutta l’euforia e la preoccupazione di essere anch’io impeccabile, anche se allora un po’ troppo fiorente nell’abito valenciano, scomparsa ogni tensione, mi ricordo di aver sentito un gran senso di pace unito alla sensazione di aver compiuto qualcosa di ben fatto.
Anche miei fiorellini furono usati per terminare la decorazione del mantello della Madonna, il piu’ bello di tutti per questa Regina.
Bello, bello, bello davvero.
Mi ricredo sull’idea del viaggio, e’ meglio compierlo, alla fine.
Se non mi fossi lasciata prendere per mano da questo lmare di cultura popolare adesso ne sarei dispiaciuta e intuirei che mi mancherebbe qualcosa.
Ma sapete, pazienti e attentissimi Lettori?
La sera del diciannove di marzo ‘sti spagnoli bruciano tutto!
Dànno fuoco ai loro colorati monumenti di carta, le loro tanto coccolate fallas, per purificare tutto quanto e per innalzare il loro ringraziamento a Dio e il giorno dopo… òle, le strade sono tirate a lucido, sparisce ogni piu’ piccolo segno dei festeggiamenti e si ricomincia, con l’immancabile sorriso sulle labbra.
Nessun segno di cio’ che e’ stato come se un imbuto aspirasse tutto.
L’unico invito che non manca mai e’: vamos de paella esta noche?
Vostra affezionata
4 gennaio 2008 alle 7:08 pm
Come di consueto, ci proponi il resoconto di uno dei tuoi tanti viaggi, riempiendoci di sensazioni: colori, sapori, odori, sprazzi d’immagini che si fissano nella mente. Hai pure migliorato per quel che riguarda gli errorini di stampa o gli accenti (ce ne sono pochi, brava!), quindi, che altro dire? Bello! Si legge volentieri, e questo è importante! Ciao, al prossimo viaggio!
5 gennaio 2008 alle 9:32 am
e come di consueto, ti ringrazio ma sai per cosa piu’ di tutto, Emmy?
per la tua attenzione, per la tua classe nel non lasciare niente di intentato, nello spronare a scrivere e a migliorarsi. per questo, un fragoroso grazie a questa nostra intesa di penna. Titta
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