arredi e corredi
Pubblicato da caterina il 6 agosto 2008
ARREDI E CORREDI.
Squisiti Lettori,
Mentre apro la posta indirizzata alla presidente dello Zeta Club ( siamo tutte zingles e non tutte felici di esserlo ma senz’altro tutte in transito matrimoniale…), ho appena visto sfrecciare una rondine…
La Primavera, che incanto.
Tutto questo “verde insalatina” che spunta, e con l’aria che fa fatica a tornare gelida, ormai la macchina delle stagioni si e’ rimessa in moto.
Con poco senso romantico mi accorgo che siamo ormai prossimi all’equinozio del Ventuno di Marzo da certi tipi di piantine e fiori messi in bella mostra sullo scaffale del mio supermercato di fiducia, un immenso punto vendita nel Sambonifacese, dove approdo solo dalle otto alle nove di sera e le signorine dell’ufficio informazioni mi salutano per nome!
La forza di un marketing intelligente e ben congegnato, devo ammettere!
Loro mi apostrofano con un fragoroso “ciao Titta!” e io improvvisamente non mi sento piu’ un numero tra uno shampoo e una scatoletta di tonno; non mi svilisco piu’ tra le zucche in superofferta e i surgelati in mega- promozione.
Mi spingo a guardare con simpatia anche la iper-stratosferica svendita delle frittelle di carnevale, unitamente al regalone finale da scena apocalittica del fustino del mio detersivo preferito.
Un segno di riconoscimento da parte delle “Supermercatine” e divento di colpo una principessa degli acquisti ben fatti, felice di essere in un luogo che mi rilassa, sara’ per via delle luci, dei colori o della musica in sottofondo, quasi sempre di grandi nomi italiani.
Sara’.
Ti ritrovi a canticchiare Laura Pausini e l’occhio vola al single di turno che fa slalom tra le corsie tentando di mettere insieme una specie di spesa.
E io che son zitella, appunto, aguzzo l’ingegno, mi avvicino con fare innocente e candido al mercatino della frutta e verdura e con voce angelica, chiedo: “mi scusi, peperoni rossi o gialli?”.
Una sera c’era un ometto niente male che reggeva un cestino colmo all’inverosimile; tutto abbronzato, sufficientemente alto da risvegliare il mio atavico bisogno di protezione , capello giusto, portato all’indietro e abbigliamento da finto uomo di mare, tutto panno blu e bottoni alla marinara.
Sempre con vocetta soave, gli rivolgo la parola: “Tocca a lei alla cassa dei pezzi veloci? “
Pensando tra me e me che aveva molto piu’ di dieci pezzi nel cestino di cappuccetto.
Pero’ mi sono anche detta: non ci vorremo far riconoscere anche qui, vero?
Teniamo basso il tasso di acidita’, santa promozione!
E con il mio miglior sorriso, aggiungo : “ma Prego, prego, c’era prima lei!”
E lui, cavaliere da morire, poverino, mi invita :”No, no, Vadi lei!”.
VADIIIII????!!!!!
Mi pareva di aver visto che nel reparto scuola svendessero i vocabolari…
Eh, ma di questo passo non mi sposero’mai, se vado a vedere il pelo nell’uovo, santo Dante Alighieri!
Il supermercato , dunque.
Mi rammento in un tempo non molto lontano il negozietto sotto casa, che poi non era vero che era proprio li’ sotto, ma insomma, ci siamo capiti.
I miei nonni ma prima ancora la mia superbisnonna materna, Domenica, avevano un emporio e i miei ricordi di quando giocavo a far la spesa nel negozio pieno di gente, intralciando il loro lavoro non poco, sono ancora molto vivi.
Pendevano sfilze di puzzolentissimi baccala’ dal soffitto, tanto che mia mamma si accorgeva sempre se avevo frequentato la loro bottega ma a me affascinava in un modo straordinario quel mondo di commercio e di monetine date come resto.
Le scope di saggina in piedi in un angolo come tanti soldatini, i sacchi di farina e di zucchero, con le loro sessole lucenti, infilzate e pronte a far da cucchiaione all’acquirente.
Scatole e scatoline, barattoli e barattolini, di tutto.
Che incubi notturni mi procurava il capitone insieme alle anguille marinate, tutte arrotolate, belle viscide e brillanti, nelle latte rosso- pomodoro, ricoperte di olio.
Ma cio’ che piu’ mi attirava come un’immensa calamita e faceva si’ che scegliessi di spendere quasi tutto il mio tempo di bambina in vacanza dai nonni nel “negozio della Fontana”, erano i tabacchi.
“LA PRIVATIVA” come veniva chiamato un delizioso angolo bar adiacente all’emporio, e’ stato uno dei primi locali pubblici della zona e rimasto l’unico per molti anni, quindi storico, direi.
Era gestito prevalentemente da mia zia Graziella, praticamente la mia seconda mamma, quella che non mi sgridava mai e che mi concedeva di tutto.
Lei era il mio paradiso nel quale rifugiarmi e scappare dai divieti e dai doveri e ancora adesso ha per me questo ruolo dolcissimo.
Ebbene, questa Zia con “la Zeta grande” spesso schiacciava sonori pisolini dietro il bancone dei tabacchi e mi lasciava a far da sentinella nel caso entrasse qualcuno, mi nominava commessa –capo e otteneva da me tutta l’attenzione possibile mentre lei ronf ronf…
E pensate, squisiti Lettori, che sono cresciuta NON FUMATRICE, nonostante abbia maneggiato per anni tutti quei pacchettini colorati di sigarette.
Malboro, Ms, le Diana!!
Ma ci sono ancora in vendita questi marchi?
Mah.
Sul fumo ( e su molto altro) mi trovate davvero impreparata.
Ho sempre preferito un bel panino con la mortadella ad una pausa in compagnia di amici fumatori.
Il negozietto resta nei miei sogni anche se non vorrei cadere nel melodrammatico dicendo “che tempi!”.
Ogni stagione produce i suoi frutti e temo che ormai da molto tempo siamo costretti un po’ tutti a soccombere alle rigide regole dell’acquisto nei grossi centri di distribuzione.
A me, in ogni caso, piace anche il supermercato.
Mi adatto.
Passeggiare tra la merce in vendita , con il carrello mi fa riflettere.
Intanto che guardo e confronto i prezzi, penso e ricordo.
In primis, ogni volta ringrazio Dio per avere la possibilita’ di accedere ad un punto vendita e farlo da acquirente, con il mio potere d’acquisto.
Ci sono posti nel mondo e sono sempre di piu’, Santo Cielo, dove fare la spesa e’ un lusso.
Quando ci sono le collette del Banco Alimentare, mi commuovo nel vedere come avventori generosi mettano nei cestelli appositi di tutto. Qualcuno pensera’ che accederanno a questo gesto d’amore i bambini e allora vai coi biscotti e le merendine.
Un altro invece vuole offrire anche il caffe’ che per molti e’ una necessita’, non uno sfizio.
Invece sara’ stata sicuramente qualche mamma pragmatica e di buon senso ad aver comprato e offerto scatole di pelati, piselli e tonno.
Non scadono mai e aiutano a sentirsi sazi.
Saggia decisione.
Dovrebbero farne piu’ spesso di iniziative cosi’. Sono le benvenute.
E magari con qualche attenzione anche per i nostri amici animali, quelli abbandonati per strada e non fortunati come le nostre bestiole che hanno la pappa griffata.
Ma i pensieri corrono veloci, si sa e intanto che mi rilasso tra una corsia e l’altra dopo una giornata di lavoro, torno serena e lo sguardo accarezza scansie intere di prodotti , molti dei quali c’erano gia’ quando ero piccola (ed e’ perfettamente inutile adesso tirar fuori la calcolatrice!).
Prendiamo i formaggini Susanna.
Susanna era una bambina in plastica gonfiabile, con un faccione rotondo e i capelli biondi che veniva in omaggio dopo averne mangiati una camionata, schiacciati nelle molteplici minestrine che ancora oggi mi fanno venire l’acquolina in bocca!
Tutti i pomeriggi, tornavo dall’odiato asilo infantile dove mia mamma mi cacciava “obtorto collo” dal lunedi’ al venerdi’ e io pensavo “ma perche’ mi porta qui se la sento dire alle sue amiche che io sono la sua gioia e le faccio tanta compagnia?”
“Cosa fara’ mai quando io sono prigioniera qui all’asilo, circondata da tutti ‘sti bambini che mi mangiano sempre la merenda?”
Arrivata finalmente a casa, dove mi piaceva un mondo stare, aprivo con aria trionfale un armadietto in formica con le maniglie in acciaio, che era stato fatto appositamente per me; dalle sue mensoline tutti i santi giorni crollava giu’ l’impossibile.
Giocattoli di ogni dimensione, tutti stipati nel mobiletto.
E saltava fuori appunto la superba Susanna, tutta appallottolata e sgonfia che in quelle condizioni stava in una mano ma non mi era permesso comunque di portarla all’asilo.
Mia mamma era in attesa, terrorizzata dalla domanda giornaliera “me la gonfi, per piacere?”.
Tutti i pomeriggi cosi’.
Dare aria al mobiletto all’ora della merenda era come entrare nel mio ufficio privato, nella mia fabbrica della fantasia.
Spalancare il mobile era il segnale che da li’ in poi, fino a sera avrei giocato, giocato e solo giocato e non ce n’era piu’ per nessuno.
Sulla porta c’era scrito “NO ENTRY”.
Incurante di tutti i richiami di mia mamma che , devo ammettere, a volte mi creava momenti stressogeni non indifferenti, adesso che ci penso.
E piu’ mi rimbeccava, piu’ mi inferocivo su bambole, fornellini e pentolini.
Una domenica mattina aleggiava gia’ dalle prime ore (e non era da mia mamma!) un profumino di cibo domenicale tradizionale, brodo di carne, agnolini e quant’altro e io avevo in mano la Poldina, una bambola mitica, sparita, credo, dalla circolazione.
La facevo roteare tenendola per un braccio, nonostante dalla cucina arrivasse puntuale il suggerimento di mia mamma “attenta, Titta, che la rompi e poi piangi.”
“Si spacca, se la tratti cosi’, perche’ non capisci?”
“Mettila giu’, gioca con qualcos’altro!
Fa’ la brava. Guarda che oggi non ti facciamo vedere il “Braccobaldo show, se continui!”
Macche’. Presa da furia satanica nei confronti della mia bambola.
In quei momenti devo aver avuto il mio senso di sfida che sfociava prorompente e tanto va la gatta al lardo che…la Poldina mi sfuggi’ di mano andando a sbattere contro il soffitto della sala e a me resto’ il braccio in mano.
Ma non piansi.
…Perche’ ero fiduciosa che la colla avrebbe aggiustato tutto!
Colla e nastro adesivo, lo scotch, come lo chiamiamo solo noi italiani.
Fedeli alleati di tutti i bambini del mondo.
Mentre scorro i corridoi dell’iper, mi ricordo di quando mi spalmavo su mani e polsi il vinavil nella sua boccetta di plastica bianca, che sembrava un biberon, aspettavo che si seccasse per staccarlo a piccoli pezzi.
Sembrava pelle e io mi divertivo un mondo.
Ma roba da matti. Che se solo oggi mi arriva una macchiolina di qualcosa sui vestiti… apritevi porte della lavasecco.
Ci sarebbe una tesi di laurea sulla Nutella, se vogliamo guardare ma sono arrivata alla cassa e la festa, in un certo senso, e’ finita.
Solo fino alla prossima volta, quando, con la scusa che mi manca il sale, rifaro’ un tuffo nel mio passato, senza malinconia e con il piacere di constatare che i miei genitori, non solo mi hanno dato il mondo che potevano, ma me lo hanno anche arredato e corredato!
Fare la spesa mi permette di mantenere memoria di cio’ che mi ha fatta arrivare fin qui e, tra le altre, ci sono giunta anche come scarsa cuoca e pure zitella…
Beh, squisiti Lettori, devo aver avuto un’infanzia tremenda!
Alla prossima,
Vostra Affezionata.
7 agosto 2008 alle 6:30 am
“Una sera c’era un ometto niente male che reggeva un cestino colmo all’inverosimile; tutto abbronzato, sufficientemente alto da risvegliare il mio atavico bisogno di protezione, capello giusto, portato all’indietro e abbigliamento da finto uomo di mare, tutto panno blu e bottoni alla marinara”
Splendida descrizione. Senza cadere nella banalità, evochi benissimo l’immagine di questo tizio, incuriosendo e non annoiando. Bravissima.
In questo tuo, ci sono al solito gli apostrofi al posto degli accenti (ahi, ahi, ahi…) ma evidentemente è il tuo pc a fare di testa sua…dai, diamo la colpa a lui…
Comunque, molto bello questo tuo componimento. 5 stelline meritate
Ciao!
7 agosto 2008 alle 7:34 am
muchissimas gracias, Manu!
sai quanto tenga al tuo commento che sa essere giusto, amable e severo quando serve.
spero non serva mai!:)
per accenti e apostrofi, hai ragione.
questo racconto e’ stato scritto parecchio tempo fa, quando tutto per me era uguale!!!
w l’ortografia del mio pc
7 agosto 2008 alle 9:07 am
Meno male che precisi che il racconto l’hai scritto molto tempo fa, mi stavo preoccupando per la tua vista; dato il corpo con cui è scritto pensavo fossi entrata anzitempo nel club dei presbiti.
Molto godibile nel complesso anche se su due registri diversi quello autoironico e spumeggiante e quello del caffelatte intimista dei tempi della Susanna. Ma allora non sono così vecchio anch’io ricordo la Susanna. :-))
7 agosto 2008 alle 9:51 am
I formaggini susannaaaaaaa!!!!!
Ma che buoni che eranoooooooo!!!!
8 agosto 2008 alle 8:12 am
ringrazio Bernardo e l’Admin!
ricevere un commento fa sempre piacere.
specie quando si trasforma in un complimento.