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Lo Specchio di Waltharia (4)

Pubblicato da chris84 il 14 dicembre 2007

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Purtroppo però, dovremo continuare a correre; ricordati che abbiamo solo sei giorni per attraversare l’intero tunnel, ed il tempo stringe.” Nina, che nel frattempo si era ripresa, rivolse un debole sorriso all’indirizzo del Folletto, e disse: “Spero solo che in questa galleria cresca qualcosa da mangiare: sto morendo di fame!” Dagon si concesse il lusso di una breve risata, dopodichè si allontanò ancora, stavolta però verso l’interno del tunnel; poco dopo fu di ritorno, con le mani colme di strani frutti rosa, simili a mele. Ne porse un paio a Nina, e cominciarono a mangiare con gusto. Quando ebbero terminato, Dagon perlustrò ancora una volta l’ingresso al tunnel, poi disse: “Tra non molto sarà di nuovo giorno; è il nostro primo giorno all’interno del Passaggio sotto il fiume. Dobbiamo metterci in marcia…” Nina raccolse la sua inseparabile sacca, si strinse alla vita il cinturone con attaccata la Lama Scarlatta, e si apprestò a seguire Dagon lungo la galleria. Adesso che l’alba stava cominciando a spuntare, qualche raggio di luce prese a filtrare attraverso lo schermo d’acqua della cascata, fin dentro il passaggio, dove si trovavano, rendendo simili a gemme le gocce d’acqua sparse sulle rocce. Nina e Dagon iniziarono a camminare, mantenendo un’andatura sostenuta. Il terreno era sabbioso e soffice, ed era piacevole camminarci; ma ben presto venne sostituito da un tipo di roccia con una singolare sfumatura bluastra, che costituiva pavimento pareti e soffitto della galleria. L’atmosfera era pervasa da un silenzio privo di qualunque minaccia, e Nina ebbe l’impressione di stare attraversando un paesaggio di sogno. Grazie alla maschera che indossava, riusciva a sentire centinaia di rivoli d’acqua scorrere sopra e sotto di lei, ma oltre a ciò nulla turbava il silenzio e la solitudine di quel luogo maestoso e solenne. Dagon correva spesso avanti, per accertarsi che non ci fossero intralci sul loro cammino, e tutto proseguiva secondo i loro disegni. Trascorsero così i primi quattro giorni all’interno del Passaggio: Nina e Dagon dormivano solo poche ore a testa, montando la guardia a turno, e marciavano dall’alba al tramonto, anche se era estremamente difficile, senza i punti di riferimento del sole e delle stelle, mantenere la percezione del tempo che passava. Il quinto giorno però Nina notò un cambiamento: il silenzio non era più assoluto adesso, ma era spesso spezzato dal suono di deboli lamenti, simile all’ululare del vento. Pur avendo capito che riusciva a sentirli solo grazie alla maschera che indossava, decise di dirlo a Dagon, che replicò: “Questo può voler dire solo una cosa: siamo vicini alla Valle delle Anime Perdute. Stiamo per raggiungere Berenno finalmente!” – “Si avvicina il momento della verità…” aggiunse poi in un sussurro, come parlando tra sè. Nina era impaziente, nonostante le sue paure riguardo i Cavalieri fantasma, la Lama Scarlatta ed i Servi dell’Ombra, di giungere finalmente in aiuto a Berenno, e più volte pregò Dagon di affrettare i loro passi, o di rinunciare alle già brevi ore di riposo che si concedevano. Ma lo Spiritello era irremovibile: “Ricordati che non siamo ancora giunti alla fine di questa missione; non sappiamo se e cosa verrà dopo che avremo superato la Valle, ammesso che ci riusciremo. Non abbiamo idea di quanti e quali nemici troveremo a sbarrarci il cammino…Non dobbiamo abusare delle nostre forze.” Osservando poi lo sguardo rassegnato di Nina ogni volta che udiva queste parole, immancabilmente soggiungeva: “E poi non sono ancora trascorsi i sei giorni che Alana ci aveva detto che sarebbero stati necessari per attraversare tutto il Passaggio: fidati, mia piccola fanciulla-gnomo, è saggio ascoltare i consigli dei Maghi ed affidarsi ai loro calcoli…” A quel punto, Nina si acquietava, per metà convinta dalle parole del Folletto, e per l’altra metà persa in pensieri, che correvano veloci, verso Alana, verso lo gnomo Bodro, verso Zora l’indovina, che spesso le tornavano in mente, simili però a sbiaditi ricordi facenti parte di un remoto passato. Ad ogni modo, il tempo trascorse, anche se lentamente per Nina, ed infine, quando l’alba del settimo giorno stava per sorgere, lei e Dagon giunsero all’altro capo del Passaggio sotto il Fiume Bianco. Nina fu sorpresa e delusa allo stesso tempo: il passaggio sbucava circa a metà di una collina brulla e polverosa, ed il paesaggio che si poteva abbracciare da quell’altezza non mostrava altro che grigiore, polvere, sterpi e arbusti contorti, per miglia e miglia. Inoltre, un vento feroce, che mordeva le carni come uno sciame di locuste voraci, spazzava a tratti l’intera pianura, con folate rapide e rabbiose, e fondeva il suo suono cupo a quello, ora perfettamente udibile anche senza maschera, delle anime perdute che davano il nome alla valle in cui dimoravano da un tempo immemorabile. La valle stessa però era perfettamente visibile in lontananza, ed altrettanto visibile era un minuscolo puntino luminoso, che Dagon riconobbe come un fuoco di legna. Nina chiese a Dagon se potevano partire subito verso la valle, e visto che il sole era sorto da poco più di qualche minuto, rendendo impossibile il nascondersi in un territorio così inospitale, il folletto assentì; prima di scendere verso la pianura si guardò attorno con fare circospetto e disse piano: “Spero proprio che nessuna delle spie al servizio dell’Ombra sia di guardia alla Valle: non avremmo alcuna possibilità di farcela se venissimo attaccati qui…” Alle parole di Dagon, anche Nina prese a guardarsi intorno preoccupata, con la paura di veder spuntare centinaia di Demoni armati fino ai denti che li inseguivano. Le ore trascorrevano, e presto il sole si sollevò alto nel cielo; la sua luce però riusciva a filtrare a malapena attraverso la densa cortina di bruma e caligine che aleggiava tutt’intorno alla valle. Gli unici suoni che spezzavano il silenzio erano il mugghiare discontinuo del vento, e gli agghiaccianti lamenti degli spettri, che si facevano sentire anche in pieno giorno. Nina e Dagon marciarono per l’intera giornata, e l’atmosfera rarefatta, greve e maligna, rendeva ogni passo simile ad un agonia; nonostante ciò, non riuscirono a raggiungere l’imboccatura della Valle prima che facesse buio, e quindi si apprestarono a trascorrere la notte lì, nel bel mezzo della pianura eternamente spazzata dal vento. Visto che Dagon preferì non accendere un fuoco per non attirare i nemici o le bestie, se mai ci fossero animali che osassero calcare quelle terre sperdute, si videro costretti ad utilizzare nuovamente le fiammelle verdi, che il Folletto aveva già usato in precedenza. Alla loro tenue luce, Nina e Dagon consumarono un pasto frugale, e ben presto Nina si addormentò spossata dalla stanchezza e dall’atmosfera che regnava sulla Valle e tutt’intorno. Iniziò a sognare quasi subito: non era un sogno vero e proprio, ma più che altro una rapida sequenza di scene che, Nina ne era sicura, non appartenevano ai suoi ricordi, e che non sembravano nemmeno invenzioni della sua mente assonnata e dormiente. Dapprima Nina vide la Valle delle Anime Perdute, ma era molto diversa da come appariva adesso: il sole brillava radioso, alberi, fiori e piante crescavano rigogliosi dappertutto, e animali e uccelli dimoravano nei pressi della Valle stessa. Nina si stava chiedendo cosa potesse mai avere ridotto la Valle nello stato in cui lei e Dagon l’avevano trovata, ma non ebbe modo di rispondersi, perchè venne distratta da una nuova sequenza di immagini: un cavaliere, splendente nella sua fulgida armatura, in groppa ad un magnifico stallone bianco, cavalcava a spron battuto nella pianura, dritto verso la Valle. “Riuscirò a trovare la Verità, e la conquisterò!” In un primo momento Nina non capì da dove provenissero le parole che aveva udito, ma poi si rese conto che doveva essere stato il cavaliere che ancora galoppava verso la valle a pronunciarle. La fanciulla cominciò a credere che le immagini che stava vedendo fossero prive di significato, perchè vide più e più volte l’immagine di un cavaliere, vestito ogni volta diversamente ed in groppa a un destriero sempre diverso, che galoppava verso la Valle, deciso a conquistare la Verità, qualunque cosa ciò significasse. Però, dopo un pò Nina si accorse che ogni volta che un cavaliere si dirigeva verso la Valle, il paesaggio circostante si modificava leggermente: gli alberi cominciavano a contorcersi ed a perdere le foglie, animali ed uccelli abbandonavano le loro tane ed i loro nidi e scappavano, il terreno si inaridiva e si spaccava, riducendosi in polvere. Alla fine la Valle apparva agli occhi di Nina esattamente com’era quando la vide per la prima volta; e mentre contemplava lo spettacolo deprimente offerto dal paesaggio, udì una voce, stavolta di donna, che con un tono caldo eppure triste sussurrava: “La Natura è stata consumata dall’avidità e dalla stoltezza dell’Uomo, che si crede capace di poter asservire al suo volere Poteri molto al di là della sua comprensione…” Sembrò che il sogno fosse terminato, perchè tutto diventò buio, ma poi Nina si rese conto che sulla Valle era calata una notte senza luna. Vide una figura solitaria avanzare all’interno della Valle: dopo averla osservata per qualche minuto, Nina riconobbe Berenno; sembrava spaventato, e si guardava nervosamente attorno. Nonostante ciò, nel suo sguardo era possibile cogliere una sfumatura di disperata risolutezza. Berenno impugnava una spada che emanava un fioco bagliore rossastro nell’oscurità, e Nina la riconobbe per la Lama Scarlatta. Si chiese come potesse averla Berenno se lei non lo aveva ancora incontrato…che esistessero due Lame Scarlatte? Ma poi si disse che una cosa del genere non aveva senso, altrimenti che bisogno ci sarebbe stato di dover evocare un’altra spada perfettamente identica a quella che Berenno aveva già? Essendo una maga, Alana avrebbe saputo che Berenno era già in possesso della Lama Scarlatta, e dunque non avrebbe evocato lo Spirito della Notte per riceverne un’altra. Nina continuò ad osservare l’avanzata di Berenno, che ora si trovava a dover lottare contro gli Spettri ad ogni passo: riusciva ad avanzare solo menando ininterrottamente poderosi fendenti con la Lama Scarlatta, di cui gli Spettri sembravano temere i colpi. Nina era semplicemente sconcertata, ed anche se una piccola parte della sua mente era consapevole che si trattava di un sogno, c’era una voce che ripeteva insistentemente dentro di lei “Tutto questo potrebbe accadere…” Ma il suo stupore toccò l’apice quando vide un altra figura più piccola, avanzare verso il centro della Valle: quella figura a malapena visibile nell’oscurità era identica a lei. Vide se stessa avanzare in mezzo agli Spettri che sembravano ignorarla, fluttuandole accanto. Ad un tratto, la Nina del sogno lanciò un richiamo e, scoprendosi la spalla, mostrò agli spettri il Segno che aveva sulla spalla, proprio come Alana le aveva detto di fare. Quando l’ebbero visto e riconosciuto, gli Spettri cessarono istantaneamente di combattere, e caddero in ginocchio di fronte a Nina, come in attesa di ordini…A questo punto Nina si svegliò di soprassalto, emettendo un singulto soffocato; aveva la fronte imperlata di sudore. Dagon, che scrutava ansiosamente verso l’imboccatura della valle, fu subito accanto a lei. “Tutto bene?” le chiese, osservandola accigliato. Nina annuì lentamente. “Ho solo avuto un incubo…” Per qualche motivo che nemmeno lei riusciva a spiegarsi, era riluttante a raccontare ciò che aveva visto a Dagon. Era come se dovesse tenere la visione segreta, come se lei dovesse essere l’unica a sapere cosa fare, e perchè. Dopo aver respirato a fondo un paio di volte, ed essersi così calmata, Nina si accorse che l’alba era vicina: una luce grigiastra si faceva penosamente strada attraverso la nebbia notturna, che accennava appena a diradarsi. Dagon aveva già raccolto tutte le loro cose, dividendole in due fagotti. Issatosene uno in spalla, si rivolse a Nina, facendole segno di seguirlo. “In marcia: se gli Dei lo vorranno, questo sarà l’ultimo giorno che trascorreremo in questo luogo oscuro e dimenticato!” Nina raccolse la sua sacca, la Lama Scarlatta e poi fu pronta per seguire Dagon. Il secondo giorno di marcia verso la Valle delle Anime Perdute fu in tutto e per tutto simile al primo: l’aria era gravida di un senso di minaccia, l’aria era soffocante, e la luce faceva fatica a penetrare. Trascorsero un’altra giornata immersi nella solitudine e nel silenzio. Ma quando anche il secondo giorno stava per morire, ed il sole tramontava in mezzo ad una strana nebbia color del sangue, finalmente giunsero all’ingresso della Valle; e lì trovarono Berenno. Sembrava molto cambiato dall’ultima volta che Nina lo aveva visto, allo “Sbuffo di Nebbia”: non aveva più quello sguardo tronfio e tracotante; sembrava in qualche modo più vecchio, e forse più saggio, e accolse i due viandanti pronunciando appena qualche parola. I combattimenti che certamente doveva aver sostenuto contro gli Spettri sembravano averlo segnato profondamente. Nina però era stupita: era come se Berenno si aspettasse il suo arrivo. Probabilmente lui capì quali pensieri le attraversassero la mente, e quindi disse: “Sapevo che sareste arrivati, perchè ieri notte vi ho visti giungere a me in sogno…” Nina fece appena in tempo a stupirsi per l’intuito di Berenno, quando fu colta dall’idea che forse entrambi avevano avuto le stesse visioni durante la notte. Ad ogni modo, la notte incombeva e Dagon era sempre più impaziente: si aggirava nervosamente davanti all’ingresso della Valle, borbottando tra sè, e incitava Nina e Berenno ad agire. Anche Nina sentiva di non avere molto tempo, e quindi, slacciato il cinturone che la conteneva, porse la Lama Scarlatta a Berenno, che la prese senza estrarla dal fodero, sussurrando: “Dunque è questa la spada che può ferire gli Spettri….” dopo averne contemplato l’elsa finemente cesellata per alcuni istanti, Berenno scattò in piedi, sfoderando la lama. Per un attimo, tutta la sua figura venne ammantata da un sinistro bagliore cremisi; subito dopo, Berenno cadde in ginocchio, appoggiandosi alla spada. Nina gli fu subito accanto, e lo sentì mentre diceva: “Mi sta risucchiando l’anima, mi artiglia il cuore! Mi sta trascinando verso l’Inferno…” Nina scoppiò in singhiozzi, cercando di allentare la presa di Berenno sulla Lama Scarlatta, ma senza successo. Poi, all’improvviso, udì la voce di Dagon che si rivolgeva a Berenno, gentilmente: “Devi riuscire a controllare la Spada. Il tuo spirito è abbastanza forte per riuscirci. Devi entrare in contatto con lo Spirito che alberga nella Spada…concentrati…Tu e la Spada avete lo stesso compito da portare a termine, e le vostre essenze coincidono…Siete una cosa sola: mente, corpo e spirito!” Berenno fece ricorso ad ogni stilla di energia mentale di cui poteva disporre, e si accinse lentamente ad asservire la Lama Scarlatta al suo volere…si concentrò, e cominciò a pensare: la spada era fatta di lucido acciaio, era stata lavorata da mani abili, ma nella sua più intima essenza, essa apparteneva alla Natura, come il minerale di cui era composta; ed anche Berenno appartenva alla Natura…Dunque era come se fossero la stessa cosa, un tutt’uno. Quando riuscì a rendere stabile questo legame, Berenno riuscì a rimettersi in piedi senza troppa fatica: era ancora un pò malfermo sulle gambe, ma dietro i suoi occhi risplendevano due fuochi perpetui. Trascorsi alcuni minuti, Berenno sembrò pronto per entrare nella Valle, per affrontare ancora una volta gli Spettri. Ma stavolta le cose sarebbero andate diversamente; anche gli Spettri sembravano essersi accorti di un qualche cambiamento, perchè avevano smesso di lanciare i loro gemiti terrificanti. Il silenzio era spezzato unicamente dall’ululare cupo del vento…Prima di fare il primo passo dentro la Valle, Berenno lanciò uno sguardo verso Nina, che annuì senza dire una parola: aveva capito che avrebbe dovuto seguirlo, e penetrare anche lei all’interno della Valle. Non appena Berenno varcò gli imponenti bastioni di roccia scura che delimitavano la Valle, fu subito circondato da centinaia di figure spettrali, alcune a cavallo, altre a piedi, tutte armate fino ai denti, che si scagliavano contro di lui senza emettere alcun suono, nel più assoluto silenzio. Berenno cominciò a mulinare la spada con forza, come Nina l’aveva visto fare in sogno: Berenno menava fendenti, affondi e parate, e ad ogni colpo andato a segno un gemito straziante riempiva l’aria ed il cuore di Nina d’angoscia. Dopo alcuni minuti, che a Nina parvero ore, lei stessa si ritrovò ad avanzare nella Valle, sorretta da Dagon. Parte degli Spettri si diresse verso di lei, cominciando a circondarla. Quando ormai non potè più avanzare, si arrestò e mostrò agli Spettri il simbolo a forma di rosa che aveva sulla spalla, urlando al cielo qualcosa di incomprensibile. Alla vista del Segno, gli Spettri sembrarono in qualche modo farsi più traslucidi, e quelli che ancora stavano combattendo contro Berenno, cessarono immediatamente di tempestarlo di colpi, per inginocchiarsi come gli altri. Per diversi minuti sulla Valle regnò il silenzio più completo. Poi una voce remota e cupa, simile al rombo del tuono durante la tempesta, domandò con tono solenne: “Quali sono i tuoi ordini?” Nina non ebbe bisogno di pensare: era come se per tutta la vita si fosse preparata per quel momento. Con voce chiara e squillante, apostrofò i fantasmi dei cavalieri e disse: “Vi ordino di custodire l’ingresso di questa Valle, e difenderla contro gli indegni che oseranno avventurarvisi!” Non appena l’eco delle parole di Nina si spense, gli Spettri scomparvero, ma Nina sapeva che i suoi ordini sarebbero stati rispettati. Adesso che non erano più incalzati dagli Spettri, Nina, Berenno e Dagon poterono vedere che la Valle si estendeva ancora per pochi metri, e che da essa si dipartiva un sentiero lastricato, lungo e sinuoso, che conduceva ad un castello arroccato su uno strapiombo e seminascosto dalla foschia. “Il Castello di Waltharia,” mormorò Dagon. “Sembra di vivere un sogno!” Nina annuì, poi mormorò a sua volta: “E’ lì che siamo diretti…e lì finalmente avrà fine la nostra missione…” Berenno taceva, scrutando il cielo. Ad un tratto lanciò un’esclamazione soffocata, e chiamò gli altri, sussurrando: “Vedete anche voi quell’essere che vola lassù, alto tra le nuvole? Possibile che sia…” – “Waltharia!” esclamò Dagon. “Pensate che dovremo affrontare anche lui?” Le parole del Folletto rimasero senza risposta, ma lo sguardo che albergava in ciascuno dei tre viandanti, lasciava intendere che ognuno di loro stava considerando questa eventualità, senza trarne peraltro, alcun buon auspicio. Nonostante ciò, i tre si affrettarono a lasciarsi la Valle alle spalle, e si incamminarono per il sentiero che portava al Castello, nella luce splendente del mattino. Non appena furono fuori dalla Valle, tutti e tre notarono che il paesaggio era mutato visibilmente: non erano più circondati da una landa desolata in cui la vita stentava a penetrare; ora attorno a loro sorgevano boschi, fiumi e laghi. C’erano colline e vallate, interamente sepolte da una coltre di verde. Gli animali e gli uccelli prosperavano, e cosa ancora più strana. sembravano non aver mai visto un essere umano. Infatti non pochi animali si arrestavano al loro passaggio, guardandoli con un misto di timore e curiosità. Su tutta la scena però aleggiava una strana atmosfera: era come se piante, animali, alberi e uccelli stessero agonizzando lentamente; la Natura sembrava moribonda. Dagon si aggirava qua e là, e scuoteva la testa, pensieroso. “La Principessa sta davvero morendo,” mormorò “e così muore tutto ciò che la circonda e che ha conosciuto la magia del suo Tocco.” Il sole era ormai alto nel cielo, e Nina, Berenno e Dagon stavano ancora inerpicandosi lungo la strada che conduceva al Castello. Erano saliti di parecchio, e spesso capitava loro di dover attraversare qualche banco di nuvole basse. Le ore trascorrevano, e loro tre erano ancora in marcia, instancabili. Fu solo quando ormai il tramonto era vicino, che Nina si accorse che solo pochi metri li separavano dagli imponenti portoni di quercia che costituivano l’unico ingresso al Castello di Waltharia. Mentre i tre si dirigevano alla sua volta, vennero investiti da un potente ruggito e da violente folate di vento, causate dallo sbattere di ali gigantesche: erano stati visti. In effetti, si disse Nina, era impossibile eludere chiunque fosse a guardia del Castello: lungo il sentiero che conduceva ad esso non c’era nessun possibile nascondiglio. Nina, spaventata, guardò i suoi due compagni che si accingevano a mettere mano alle armi, e si rese conto che non avrebbero avuto alcuna speranza contro Waltharia, il Drago. Dopo aver volteggiato un paio di volte in alto sopra le loro teste, l’immensa creatura planò, ed infine atterrò esattamente di fronte a loro. Berenno aveva già la mano sull’elsa della spada, ma qualcosa nel contegno del Drago, lo lasciò immobile, come paralizzato. La stessa cosa sembrava essere successa a Dagon, che contemplava Waltharia come se finalmente fosse riuscito a squarciare i veli della Conoscenza. Il Drago era immenso: era alto dodici metri, e lungo almeno il doppio. Era interamente ricoperto, dalla testa alla lunga coda, di scaglie adamantine di un ipnotica sfumatura di turchese. Volute di fumo uscivano dalle sue narici, contornando la sua figura, e rendendone indistinguibili i dettagli del volto, in cui spiccavano soltanto gli occhi: due frammenti di cristallo, rossi come il sangue, in cui si aprivano due pupille, verticali come quelle dei gatti. In quegli occhi, pensò Nina, brillano una Saggezza ed una Conoscenza quali l’Uomo non potrà mai possedere. Mentre ciascuno di loro contemplava la massiccia figura del Drago, questo, inaspettatamente iniziò a parlare. “Non abbiate timore, viandanti,” disse “Non ho intenzione di nuocervi. Attendevo il vostro arrivo con ansia.” La sua voce era lenta e musicale, simile allo scorrere di un fiume di montagna. “Questo è il Castello di Waltharia, in cui dimora la mia Signora e Padrona, che ho giurato di servire finchè avrò vita: la Principessa Aletheia. Prima di poter essere ammessi al Suo cospetto, però, dovrete ascoltare la mia storia. Solo così potrete capire, ed assolvere il vostro compito. Seguite la rampa di scale che scende, laggiù,” e così dicendo, indicò con la coda a sinistra, dove degli scalini conducevano verso il basso. “Io vi raggiungerò, e vi narrerò dello Specchio…Il sole sta tramontando, il giorno sta per morire…non ho più molto tempo…” Il Drago si rialzò in volo, con dei poderosi colpi d’ala, e poi scese giù in picchiata, verso una parete rocciosa, costellate di ampie caverne. Senza dire una sola parola, Nina, Berenno e Dagon lo seguirono, scendendo lungo la scalinata. Il sole si apprestava ormai a concludere il suo quotidiano percorso, inondando con raggi obliqui di luce rossastra le caverne che costellavano la rupe a picco sulla quale poggiava il Castello della Principessa Aletheia. Quando la lunga scalinata ebbe fine, Dagon, Berenno e Nina videro il gigantesco Drago blu accoccolato all’ingresso di una delle grotte. “Sedete e ascoltate ciò che non è mai stato rivelato…” disse, invitandoli ad entrare. I tre sedettero presso il Drago, e quest’ultimo iniziò a raccontare loro la storia dello Specchio, di come e quando venne creato, all’alba dei tempi, in cui l’Uomo era ancora giovane. Raccontò di come venne custodito lo Specchio nel corso dei secoli, ed il perchè veniva tanto gelosamente nascosto. Waltharia spiegò che lo Specchio concede a chi vi guarda dentro il dono della Conoscenza e della Verità. “Potreste immaginare, anche senza le mie spiegazioni, quale sventura sarebbe se chiunque potesse impossessarsi arbitrariamente e senza alcuno sforzo di Conoscenza e Verità…Ecco perchè la dinastia cui la Principessa Aletheia appartiene ha giurato di vegliare sullo Specchio, proteggendolo da tutti coloro che sono indegni di carpirne i segreti, e da coloro che non potrebbero sopportare la vista di ciò che lo Specchi potrebbe mostrare…” Poi continuò, mentre la notte giungeva con i suoi passi di velluto, e nell’oscurità crescente, il crepuscolo si trasformava lentamente nella sera., e la sera in notte. Il Drago proseguì nel suo racconto, spiegando come fosse giunto al cospetto della Principessa e dello Specchio, di come vi avesse guardato dentro, e di come prese la decisione di ergersi a paladino e difensore della Verità in esso custodita. Parlò a lungo del regno da cui era partito alla ricerca di quella che credeva una leggenda, e dei lunghi secoli trascorsi sotto le sembianze di un enorme Drago, capace di solcare i cieli, e di vomitare fuoco e fiamme. Nina, Berenno e Dagon bevevano le sue parole, come un assetato beve alla fonte, e pian piano capivano, ed acquistavano saggezza e consapevolezza. Quando ormai restavano solo poche ore prima che l’alba giungesse nuovamente ad illuminare il mondo, Waltharia prese a parlare loro dell’Ombra che stava tentando di dominare tutto ciò che sulla terra esisteva. Dopo un lungo silenzio, il Drago sussurrò: “La mia Signora e Padrona non è più in grado di affrontare l’Ombra; non ne ha più la forza. Il suo tempo qui è finito. Ella sta morendo, ed io con lei. Non possiamo assolutamente permettere che lo Specchio cada nelle mani sbagliate, ed è per questo che siete stati chiamati qui, al suo cospetto…” Nina, Berenno e Dagon rimasero assolutamente sconcertati da quest’ultima affermazione, ma quando cercarono di replicare qualcosa, videro che il Drago si era sollevato sulle massicce zampe posteriori, e che scrutava attentamente il cielo. Quando tornò a volgere lo sguardo verso di loro, disse: “La Principessa Aletheia, vi attende…Non abbiamo più molto tempo….” E spiccò nuovamente il volo, dirigendosi verso il castello. Nina e i suoi compagni, risalirono velocemente le scale, col cuore in gola al pensiero di ciò che avrebbero visto e sentito al Castello, mentre i primi raggi del sole facevano capolino attraverso le nuvole. In poco meno di mezz’ora si trovarono davanti all’ingresso. I portoni si schiusero lentamente, permettendo a Berenno, Nina e Dagon di entrare. Non fecero in tempo a stupirsi per la magnificenza degli arredi e la vastità delle sale, che il Drago li richiamò a sè, pregandoli di seguirlo. Percorsero sale e corridoi, salirono ampie scalinate di marmo, ed infine giunsero in una specie di gazebo, dalla volta altissima. Era una stanza circolare, in cui si aprivano dodici archi, sostenuti da colonne scolpite a forma di draghi rampanti, e da ciascuna delle finestre era possibile osservare il territorio circostante per miglia e miglia. Al centro, stava un enorme letto a baldacchino, e su di esso giaceva la Principessa Aletheia, profondamente addormentata. Accanto al letto, su un piccolo treppiede dorato, stava lo Specchio, coperto da un sottile velo di organza. Waltharia si avvicinò al letto e mormorò: “Mia Signora…” Le ciglia della Principessa ebbero un tremito, e poi si svegliò, volgendo lo sguardo tutt’intorno a sè. Quando vide Berenno, Dagon e soprattuto quando vide Nina, un lieve sorriso spuntò sulle sue pallide labbra. “Finalmente, siete arrivati!” disse in un sussurro appena udibile. Nina guardò attentamente il volto della Principessa: i tratti del suo volto erano stranamente familiari; era come se Nina l’avesse già incontrata, ma era certa che una cosa del genere non era mai accaduta. Aletheia le rivolse un sorriso prima di cominciare a parlare: “Sono felice che siate arrivati…Io sto per andarmene, e bisogna che qualcuno protegga lo Specchio…Ma prima dovete sapere alcune cose…” Sembrava che la Principessa facesse sempre più fatica a parlare, e Nina ebbe l’impressione che stesse diventando evanescente, come se stesse scomparendo. Nonostante la sua voce si fosse ridotta a poco più di un sussurro i suoi occhi erano sereni e splendenti come la superficie perfettamente liscia di un lago di montagna. “Come vi avrà sicuramente detto Waltharia, la mia stirpe ha giurato di vegliare sullo specchio fino alla fine del mondo…Di generazione in generazione ci siamo tramandati questo sacro compito, ed ora che sto per andarmene, è giunto il momento di rivelare un segreto: anni fa, ebbi la percezione del sorgere dell’Ombra, la stessa Ombra che adesso attenta a tutto ciò che di bello esiste a questo mondo. Anche se a quell’epoca non avrei potuto prevedere che sarebbe divenuta tanto potente, mi resi conto che l’Ombra avrebbe pur sempre costituito una minaccia per la mia stirpe. Così, decisi di ricorrere ad una soluzione drastica: presi la mia unica figlia, e la affidai ad una creatura gentile e degna di fede, spiegandogli che da lei sarebbe dipeso un giorno il Destino di tutto il mondo. Mia figlia crebbe così lontana da me, ma finchè sapevo che non correva alcun rischio lì dov’era, sopportavo la sua lontananza. Anchè perchè una volta l’anno mi era concesso di vederla: l’ho vista crescere e diventare la più splendida delle Principesse. Ero felice, e speravo che non sarebbe mai dovuto essere necessario per lei dover affrontare l’Ombra…Pensavo che avrei potuto resistere al Suo malefico potere. Ma mi sbagliavo. L’Ombra cresceva ed acquistava potere oltre ogni mia immaginazione, mentre io mi indebolivo sempre più…Quando mi resi conto che avrei dovuto lasciare il compito di combattere l’Ombra alla mia unica figlia piansi tutte le lacrime che avevo da piangere, ma niente avrebbe potuto mutare il Destino. Così lanciai un richiamo a mia figlia, chiedendole di venire qui da me, in modo da potersi sostituire a me nella custodia dello Specchio…E finalmente oggi sei arrivata!” Aletheia guardò Nina, ed i suoi occhi si inumidirono di pianto. Quando Nina udì quelle parole, fu come se un velo le fosse caduto dagli occhi: Zora! Ecco a chi somigliava tanto la Principessa Aletheia! Come aveva fatto a non accorgersene subito? Ma se quello che la Principessa aveva detto era vero, ciò significava che lei, Nina, era sua figlia, e che avrebbe dovuto proteggere lo Specchio ed affrontare l’Ombra. Nonostante il terrore che quest’ultima considerazione le mise in corpo, Nina non potè fare a meno di tornare ad un punto: si trovava a posare lo sguardo su sua madre per la prima volta, proprio mentre questa stava ormai morendo. Nina si inginocchiò accanto al letto, singhiozzando in un mare di lacrime. “Madre…” mormorava. Aletheia le posò una mano scarna sui capelli. “Combatterai al posto mio? Proteggerai lo Specchio?” Nina continuava a singhiozzare irrefrenabilmente, ma ad un tratto si sentì stringere la mano da quella della Principessa. Quest’ultima disse: “Non ho più tempo, figlia mia! Promettimi che farai ciò che ti ho chiesto…” Nina, non riusciva a parlare, ma annuì col capo, il volto rigato dalle lacrime. La Principessa sorrise un’ultima volta, e prima di scomparire nel nulla disse: “Sono fiera di te, figlia mia…Ti ho sempre amata…” E si dissolse nel vento. Nina stava ancora paingendo, mentre Berenno e Dagon stavano immobili, impietriti presso lo Specchio. Tutti e tre sobbalzarono quando videro il Drago, che stava lentamente scomparendo anche lui, rivolgersi a loro, dicendo: “Berenno, tu prenderai il mio posto…ne sei degno…sei anche tu un Guerriero senza macchia…” Berenno fece uno sformza immane per parlare, e chiese al Drago: “Ma come potrò…io…io non ho nemmeno mai guardato nello Specchio! Come fai a sapere che sono adatto…” Waltharia lo interruppe e disse semplicemente: “Solo un Guerriero senza macchia avrebbe potuto affrontare gli Spettri e sopravvivere…Non temere: anche tu verrai iniziato ai misteri dello Specchio!” Dopo una breve pausa, Waltharia si rivolse a Dagon, e disse: “Mio buon Folletto, per tutto l’aiuto che hai dato a Nina, ti nomino Custode delle Foreste: d’ora in poi il tuo regno si estenderà su tutte le terre conosciute, e piante e animali ti obbediranno. Sono sicuro che governerai il tuo regno saggiamente…” Lo Spiritello si inchinò profondamente ma non profferì verbo: il suo cuore era colmo d’angoscia e di dolore. Infine Waltharia si rivolse a Nina: “La Profezia si è compiuta! Il mio tempo in questo mondo è scaduto, ed ora posso raggiungere la mia Signora…” e sparì in una voluta di fumo turchese. Nina si alzò in piedi, e raggiunse una delle finestre, da cui si scorgevano il sentiero che portava al Castello e, più in lontananza, la Valle delle Anime Perdute. Ad un tratto, capì che il suo Destino era quello di vegliare sullo Specchio, ed in quel momento si sentì attraversare da un’energia simile ad una scossa elettrica. “Combatterò…combatterò e proteggerò lo Specchio…” mormorò piano. Berenno le si avvicinò e disse: “Non sarai sola…” Dagon osservò la figura di Berenno mutare lentamente il suo contorno, fino ad assumere l’aspetto di un imponente Drago nero, con un segno a forma di spada sul petto. Finalmente lo Spiritello parlò: “Hai cercato la Verità per tanto tempo, e non ti sei mai accorto di averla sempre avuta sotto il tuo sguardo…” – “Si,” rispose Berenno, con la sua profonda voce di Drago, che destò echi dalla volta della sala e dalle montagne che circondavano il Castello, “e adesso potrò custodirla per tutti coloro che vorranno cercarla!”

2 Commenti a “Lo Specchio di Waltharia (4)”

  1. Andrea dice:

    Ok, ora che sono arrivato alla fine confermo quello che già ti avevo detto. Hai inventato una storia molto ricca ed elaborata, e hai cercato di costringerla in uno spazio troppo esiguo. Il risultato (secondo me) non rende giustizia alla storia, e rende meno godibile il racconto. Perché non ci scrivi su un bel romanzo?
    Grazie per avercelo fatto leggere :)

  2. Chris84 dice:

    Ciao Andrea! Prima di tutto grazie per essere stato l’unico (almeno finora) a leggere questo mio racconto! Ti ringrazio per i consogli che mi hai dato: ho provato tante volte a scrivere qualcosa che si avvicinasse più al romanzo che al racconto più o meno breve, ma evidentemente sbaglio qualcosa, perchè non riesco ad organizzarmi il lavoro in modo da riuscire a superare la 50 pagine di scritto…Non è che hai qualche dritta da darmi?

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