Le Storie del Cinghiale

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La gabbia – Parte 1

Pubblicato da diego il 16 novembre 2007

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La signora Bei era una cicciona, teneva sempre in
mano un odioso ventaglio (un aggeggio che senz’altro pensava le desse un tocco
di classe d’altri tempi), e quel giorno indossava un abito a fiori che doveva
aver ricavato da un’ampia sfrondatura delle tende di casa sua. Questo era
quanto di più utile Loris Croveri avrebbe potuto riferire sul suo conto, ed era
superfluo aggiungere che non gli andasse molto a genio.

-L’edificio è stato ultimato il mese scorso- stava
dicendo in quel momento, conducendolo lungo il corridoio. -Tutta la struttura è
di cemento armato, anche i muri interni, e ogni piano ha il suo impianto
antincendio.

Loris si guardava intorno. La sensazione dell’aria
fresca soffiata dai condizionatori era meravigliosa, considerando il torrido
sole di agosto che stava mandando arrosto la città.

-L’impianto antincendio e gli estintori vengono
revisionati ogni sei mesi, e una volta l’anno c’è l’ispezione dei vigili del
fuoco. Come saprà, le leggi sono molto severe a riguardo.

Raggiunsero gli ascensori e la signora Bei premette
un tasto. Entrarono.

-L’appartamento è il 12 F. Si trova al dodicesimo
piano, e la vista è meravigliosa.

Loris ne era certo. Si era accigliato mentre
cercava di tradurre l’altezza del suo appartamento. Dodici piani quanto faceva?
Trentacinque metri? Quaranta? Troppo per le sue vertigini. Pensava che si
sarebbe affacciato ben poche volte per godere di quella splendida vista.

Un campanellino elettronico trillò sopra le loro
teste, e l’ascensore si fermò.

Il corridoio del dodicesimo piano era tappezzato da
una moquette blu oltremare.

-Bello.

-Certo- disse la signora Bei. -Signor Loris, non mi
creda un’ingenua. So benissimo che gli appartamenti di questo palazzo sono
cari, ma c’è una spiegazione. Non sono soldi buttati al vento, come può vedere.
È un posto molto esclusivo.

Gli scoccò un’occhiata complice, come a dire benvenuto
nella top-claz, amico mio.

-Non ci abita ancora nessuno?

-Solo qualche famiglia, tra il primo ed il terzo
piano. Gli appartamenti sono già tutti prenotati, ma la maggior parte degli
inquilini arriverà solo dopo le ferie. Come le ho accennato per telefono, anche
il 12 F era stato venduto, ma il cliente lo ha lasciato dopo una settimana. Non
aveva nemmeno finito di traslocare. Lei è stato molto fortunato a trovarlo libero,
signor Loris.

-Davvero?

-Il 12 F è un bell’appartamento. Ottima posizione,
soleggiato, e, mi creda, non è affatto tra i più cari. Sono sicura che le
piacerà. Ecco, siamo arrivati.

La signora Bei si mise a frugare nella borsetta.

-Ehi, ma vi siete dimenticati la maniglia!- le fece
notare Loris con una punta di divertimento.

-Niente maniglie- disse lei asciutta. -Sono le
porte più sicure al mondo, signor Loris. Nuova concezione. Le abbiamo fatte
montare apposta in tutto l’edificio. Le assicuro che chiunque non sia in
possesso della chiave non entrerà mai in casa sua.

-Non ci sono mai stati furti?

-Mai,  e non
ce ne saranno in futuro- disse. -Vede, gli stipiti hanno un rivestimento in
legno di noce, ma l’interno è di acciaio pressofuso. Sono ancorati alle pareti
con barre d’acciaio lunghe venti centimetri. La porta è anch’essa in noce, ma
con un’anima d’acciaio temprato. Resiste agli urti, al calore, e a qualsiasi
diavoleria che possa inventarsi un malintenzionato- tirò fuori la chiave dalla
borsetta e gliela sventolò sotto il naso. -Quando questa sarà sua, signor
Loris, dovrà farci molta attenzione. Persa la chiave, potrà rientrare in casa
solo con una bomba.

La cosa lo lasciò perplesso. -Era proprio
necessario?

-Abbiamo avuto lamentele in altri palazzi, signor
Loris. Addirittura denunce, perché non erano installati sistemi antiintrusione.
Ci siamo dovuti cautelare.

-Capisco.

-Entriamo, le mostro l’appartamento.

Fece scattare la serratura, e Loris entrò per la
prima volta in quella che sarebbe divenuta casa sua.

Gli fece un certo effetto vederla così. La signora
Bei, durante i loro due colloqui telefonici, si era premunita di avvisarlo che
l’appartamento non era arredato. Tuttavia non arredato non rendeva
esattamente l’idea. Nudo sarebbe stato alquanto più preciso.

L’ingresso era spoglio, e luminoso per le pareti
imbiancate di fresco.

-Questo è il disimpegno. Come vede è molto ampio, e
può essere diviso in due anticamere separate, se preferisce. Ora le faccio
vedere il resto.

 

-Ecco, quello è il soggiorno.

-Molto spazioso.

-Sono poco meno di venticinque metri quadri. Venga,
lo…

La signora Bei entrò nel soggiorno e rimase
impalata, fissando un punto alla sua sinistra.

-Oh, e quello che accidenti …

-Cosa c’è?

Loris fece capolino da dietro la mole della donna.
C’era una grossa gabbia a campana posata a terra, contro il muro. Sul fondo
della gabbia se ne stava accucciato un canarino bianco, talmente immobile che,
sulle prime, Loris pensò che fosse morto. Ma si reggeva sulle zampette, sepolte
sotto una massa di piume arruffate.

-Che ci fa qui quella… cosa?

Quando si riebbe dalla sorpresa si girò verso Loris
con le braccia spalancate. -Mi spiace, signor Loris, sono mortificata. Non
capisco come sia potuto accadere. Alzani… voglio dire, il signore che aveva
preso l’appartamento, mi aveva assicurato che lo avrebbe liberato entro l’altro
ieri. Proprio non capisco.

-Non deve scusarsi. Molta gente abbandona gli
animali, in questa stagione.

-Ma non sarà così semplice, gliel’assicuro.

Afferrò il grosso anello che sormontava la gabbia e
la sollevò da terra.

-Gliela farò riavere, dovessi cercarlo in capo al
mondo. E gliene canterò quattro, com’è vero…

-Ha detto che ha liberato l’appartamento venerdì?

-Venerdì mattina. Se avessi immaginato uno scherzo
del genere, sarei venuta a controllare di persona.

Ma Loris stava pensando al canarino, non al vecchio
inquilino. -Due giorni sono tanti, povera bestiola. Starà morendo di fame.

-Bè, non stia a preoccuparsi troppo, signor Loris,
non è certo un problema suo. Lo porto via immediatamente.

-Vorrei tenerlo io.

La signora Bei gli elargì uno sguardo dubbioso. -E’
sicuro? A me sembra malridotto. Magari ha qualche malattia.

-Non credo. Avrà solo fame e sete. Vorrei tenerlo,
se lei è d’accordo.

La signora Bei congedò la questione con un’alzata
di spalle, e posò la gabbia dove l’aveva trovata. -Come vuole. Non credo che
Alzani lo verrà a reclamare, comunque.

-Già, credo anch’io.

-Rimane solo più da vedere la cucina, allora.

 

Quando ebbero terminato il giro, la signora Bei
aveva ricominciato ad agitare il suo ventaglio.

-Cosa ne dice?

-Direi che mi piace.

-Si potrebbe rendere discretamente agibile in due o
tre giorni, e potrebbe venire ad abitarci entro una settimana. Ci sono già i
collegamenti per l’elettricità e l’acqua corrente, basta aprire le valvole
nello scantinato. Un’altra volta le mostrerò dove sono.

Spostò il peso da un piede all’altro, come se
avesse urgenza di andare in bagno. -Signor Loris, mi spiace metterle fretta, ma
come le avevo accennato ho un altro appuntamento tra pochi minuti.

-Già. È vero.

-Vuole pensarci sopra? Potremmo sentirci tra un
paio di giorni.

-Non è necessario. Lo prendo.

La cosa sembrò stupirla, ma fu lesta a riprendersi.
-Bene. Sono contenta. Le farò avere le copie del contratto venerdì. Il tempo di
farle compilare.

-D’accordo. Io posso versarle i primi dodici mesi
in anticipo, già oggi pomeriggio.

La signora Bei allontanò il viso di qualche
centimetro. Sembrava avesse avvertito odore di fumo. Allarme fregatura
si leggeva nei suoi occhi stretti.

-Molto premuroso da parte sua, signor Loris, ma non
è il caso che lo faccia oggi stesso.

-Non c’è problema, ma vorrei un piccolo favore in
cambio.

Ah-ah. Beccato.

-Sarebbe
a dire?

-Vorrei che mi lasciasse le chiavi. Oggi.

-Oh, signor Loris, vorrà scherzare.

-Ne ho bisogno, signora. Vede, la mia fidanzata
parte domani mattina e starà via un paio di mesi. Volevo mostrarle
l’appartamento prima che se ne andasse, capisce?

La signora Bei continuava a scuotere la testa. -E’
un procedimento del tutto irregolare, signor Loris. Lei sta cercando di farmi
fare qualcosa che potrebbe costarmi il posto. Non abbiamo l’abitudine di
consegnare le chiavi di una casa prima che ci sia un regolare contratto. Capirà
da sé le ragioni, sono sicura.

-Immagino di si, signora. Ma è un’emergenza. Cerchi
di comprendere la situazione.

-Potrei finire nei guai, signor Loris, se le
accadesse qualcosa.

-Non succederà niente, glielo prometto.

-D’accordo- disse lei sconsolata.

-Grazie.

-Mi sembra un bravo giovanotto, signor Loris, e
spero di non sbagliarmi. È solo per questo che faccio un’eccezione.

-Non so davvero come ringraziarla.

-Faccia semplicemente in modo che non accada nulla
a lei né alla casa, fin quando non avrà firmato il contratto, e se possibile
anche oltre. Mi accontenterò di questo.

Gli depose sul palmo della mano la piccola chiave
metallica.

-Ora devo proprio andare. È stato un piacere,
signor Loris. E la prego ancora una volta di non combinare guai, mi raccomando.

-Certo. Arrivederci.

La signora Bei uscì, e Loris rimase solo. Sorrise.
Il piccolo piano che si era studiato aveva cominciato a rotolare lungo la
discesa. Rimaneva un’altra cosa da fare.

 

Uscito in strada, Loris si era precipitato in una
cabina telefonica. Infilò la scheda magnetica, compose un numero e attese,
battendo un dito sul vetro.

Chiamava sempre da una cabina, perché nel
malaugurato caso avesse risposto una voce di uomo, avrebbe potuto riappendere
senza pericolo che qualcuno riconoscesse il numero. Ma in quel giorno niente
sembrava andare storto, e infatti rispose una voce di donna.

-Sono io- disse Loris.

-Ciao- disse la voce di donna. -Come mai hai
chiamato?

Loris si avvide del brusco calo di tono, chiaro
segno che non era a casa da sola.

-Questa sera dobbiamo vederci.

-Non posso.

-Non pensarci nemmeno a dire di no. L’ho preso.

Seguì un silenzio lungo un’eternità.

-Sul serio?

-Sul serio. Ci vediamo stasera, non posso lasciarti
andare via così.

-Loris, non posso. Ho una montagna di cose da fare.
Parto domani, lo sai.

-Proprio per questo.

-Oddio… come accidenti faccio?

-Inventati qualcosa.

La donna sospirò. -Non lo so. Vedrò cosa posso
fare, ma non ti garantisco niente.

-Ci vediamo alle nove al solito posto.

-Non te lo posso promettere. Senti, adesso devo
andare.

-D’accordo. Alle nove.

Loris udì lo schiocco delle sue labbra che gli mandavano
un bacio, poi posò la cornetta.

Appoggiò la schiena alla parete della cabina. Ogni
tanto a Valeria piaceva farsi pregare, ma non aveva dubbi che sarebbe venuta.
Un invito del genere era come offrire un piatto di sardine ad una gattona
affamata.

 

Salì in macchina e la baciò con energia,
strappandole un sorriso e un gridolino estasiato.

-Ehi… calma.

-Non ti ho mai vista così elegante.

Valeria indossava un sobrio tailleur blu scuro,
senz’altro troppo pesante per quell’afosa giornata.

-Copertura.

-Cosa?

Valeria sollevò le spalle. -Adesso sono in ufficio
a discutere gli ultimi dettagli del viaggio con il mio capo.

-Oh, mio Dio. Non dirmi che l’ha bevuta.

-Come acqua fresca.

Loris non aveva mai conosciuto il marito di
persona, ma cominciava a pensare che non fosse molto sveglio.

-Su, parti. Laggiù, per quella strada. Non è molto
lontano.

-Oh, Loris, allora è vero! Adesso abbiamo un posto
tutto nostro.

-Sembra proprio di si.

-Mi sembra una cosa fantastica. Non riesco a
crederci.

Loris pizzicò la camicia sudata e spalancò il
finestrino della macchina.

-Gesù, che caldo! Come fai a stare con quel vestito
addosso?

Valeria ammiccò con fare sornione, in quella
maniera che Loris aveva sempre trovato eccitante da morire.

-Veramente- disse lei. -Contavo di non tenerlo
indosso ancora a lungo.

Loris scoppiò a ridere, le appoggiò una mano sul
ginocchio nudo e la baciò di nuovo. Poi le indicò la strada fino al nuovo
appartamento.

 

Fece scattare la serratura della porta e rotolarono
dentro l’appartamento, ridendo come matti. Loris stringeva Valeria per la vita,
e anche se non avevano bevuto un goccio, in quel momento sembravano, fatti e
finiti, una coppia di ubriaconi che uscivano da un bar di periferia.

Uno dei due inciampò e trascinò a terra l’altro,
sul pavimento dell’ingresso. Loris si ritrovò le labbra di Valeria sulle sue.
La prese in braccio e la portò in quello che sarebbe diventato il soggiorno.
Era passato quel pomeriggio a portare un materasso, che sarebbe stato più che
adatto allo scopo.

-Quello è il mio nuovo coinquilino- disse Loris,
accennando alla gabbia.

-Zitto- disse lei mentre si liberava delle scarpe.
-Voglio prendermi tutto quello che non mi potrai dare nei prossimi due mesi.

Il resto non fu altro che un librarsi di camicie,
gonne, pantaloni. Vestiti che volavano e atterravano a casaccio, fin quando non
rimasero che loro due su quel materasso, nudi come animali.

 

Loris si svegliò il mattino seguente, piuttosto
tardi. Lame di luce che filtravano dalla persiana gli disegnavano righe precise
su tutto il corpo. Valeria se n’era andata la sera prima, mentre lui dormiva.
Non ricordava esattamente a che ora fosse il suo volo, ma partiva molto presto.

Intrecciò le dita dietro la testa e lasciò correre
lo sguardo per il soggiorno. I suoi pantaloni erano finiti sulla gabbia del
canarino, con la cintura che penzolava di fianco come una lingua nera. Poco
distante c’era la sua maglietta di cotone, e un passò più in là i suoi boxer.
Non poté fare a meno di sorridere, ripensando alla frenesia animalesca che li
coglieva prima di sprofondare l’uno nell’altra. Valeria, che normalmente era
una donna molto posata, quando faceva sesso si scatenava come una tigre.
Valeria… che non avrebbe più rivisto per i due mesi successivi. La fitta al
cuore fu subitanea e lancinante.

Loris guardò il canarino, che era sempre accucciato
sul fondo della gabbia. Da dietro un lembo dei pantaloni spuntavano la coda e
la punta di un’ala.

-Non dici mai niente, tu?

Poi vide il foglietto agganciato alla sommità della
gabbia e allungò un braccio per prenderlo. Era un biglietto di Valeria.

 

Mi
spiace dover scappare via così.

Tornerò
prima che te ne accorga.

Tu
intanto trova un letto come si deve

(quel
materasso non era molto comodo, vero?)

e vedrai
che recupereremo il tempo perduto.

Tua,
Valeria

 

Loris sospirò, mentre la fitta al cuore faceva di
nuovo capolino. Due mesi. Due lunghi, interminabili mesi. Sbatté una mano a
terra e disse: -Su, è ora di levare le tende.

Si rivestì, controllò di aver raccolto ogni cosa,
poi sollevò la grossa gabbia.

Attraversò il soggiorno e l’ingresso, e quando
arrivò davanti alla porta ebbe la prima sorpresa della giornata. Non aveva la
maniglia nemmeno all’interno.

-Nuova concezione- borbottò, infilandosi una mano
in tasca. -E’ una rottura e basta, ecco cosa.

Frugò nella tasca destra senza trovare la chiave.
Cercò nella sinistra. Niente.

-Ehi, dove diavolo è finita?

Controllò le tasche posteriori, senza risultato.
Soffiò indispettito, posando la gabbia a terra. Controllò la serratura. Era
liscia, senza alcun pertugio a parte la toppa per infilare la chiave. Non c’era
nemmeno una vite. Si bloccò, ancora chino sulla porta.

Come aveva fatto ad uscire Valeria?

Doveva aver usato la chiave, ma come poteva? Non lo
aveva nemmeno svegliato? No. Doveva aver aperto la porta ed essere tornata
indietro per posarla. Loris filò in soggiorno, frugando con lo sguardo colmo
d’apprensione. Non c’era, e non c’era nemmeno modo di sbagliarsi. Il soggiorno
era più spoglio di quanto lo era stato lui qualche ora prima. Sollevò il
materasso, ma non trovò niente.

-Oh, Cristo santo! Mi ha chiuso dentro!

Cercò nelle altre stanze, ma naturalmente non saltò
fuori. Non poteva crederci. Possibile che Valeria avesse commesso una simile
stupidaggine? No, nemmeno quello era esatto. Come poteva saperlo? Nessuno con
un minimo di senno avrebbe costruito un appartamento da cui non si poteva
uscire, alla faccia dei sistemi antiintrusione della signora Bei.

Si passò una mano sulla fronte, cercando di pensare
a qualcosa.

Dunque, meditò, Valeria aveva preso la chiave dalla
tasca dei jeans, aveva aperto la porta e poi, senza nemmeno pensarci, si era
infilata la chiave nella borsetta. Per abitudine, o magari credendo che lui ne
avesse una di riserva.

Tornò nell’ingresso e ispezionò di nuovo la porta.
Provò a spingerla, senza risultati. A quanto poteva vedere, l’unico modo per
uscire, come per entrare, era avere quella maledetta chiave. E la sua chiave, a
quell’ora, era in volo per Kiev.

Gli montò addosso una rabbia incontrollabile.

-Maledetta stupida!- imprecò, pensando alla signora
Bei. -Perché non me l’hai detto?

Sferrò un calcio alla porta, non ottenendo altro
che un’acuta fitta di dolore al piede destro. La sua rabbia s’ingigantì a
dismisura e gridò. Tornò in soggiorno e prese a passeggiare in tondo.

Come diavolo era potuto accadere?

No, in effetti la risposta non gli interessava.
Voleva solo andarsene di lì. Doveva pur esserci un modo.

Il muro esterno del soggiorno si apriva in una
doppia porta a vetri che dava su un piccolo balcone. La aprì e uscì, respirando
l’aria calda della tarda mattina.

La vista spaziava su un parco pubblico, dove i
viali di terra battuta s’intravedevano come magri serpentelli attraverso le
foglie degli olmi e dei platani. Il parco digradava, terminando in un
avvallamento dove il verde degli alberi era molto più intenso. Era la valle
dove scorreva il fiume. Oltre quello, persi nella foschia, c’erano solo più i
primi denti aguzzi delle Alpi.

Loris si avvicinò al parapetto, un muretto di
cemento alto si e no un metro e venti, e gettò un’occhiata di sotto. Riuscì a
vedere una sola cosa: la strada che passava sotto il palazzo, deserta ad
eccezione di un paio di auto parcheggiate, grosse come noccioline. Poi, come
aveva previsto, un violento attacco di vertigini gli tramutò le ginocchia in
sacchetti d‘acqua. Dovette fare due passi indietro per non rischiare di finire
di sotto.

Rientrò in casa. L’esperimento era terminato, dando
esattamente i frutti che si era immaginato. Non credeva che sarebbe uscito di
nuovo sul balcone.

 

Due ore più tardi, Loris sedeva in soggiorno a
gambe incrociate, scuro in volto.

Aveva passato la quasi totalità del tempo ad
esaminare la situazione. La porta pareva proprio essere tale e quale la signora
Bei l’aveva tanto decantata: indistruttibile. Aveva anche provato a dargli una
piccola spallata, per la verità non molto convinta, e la solidità con cui aveva
risposto era stata sconfortante. Al momento non gli restava altro da fare che
aspettare. Era sicuro che, in breve, Valeria si sarebbe accorta di quanto lui
avesse bisogno di quella chiave, o la signora Bei avrebbe eseguito un
sopralluogo per controllare che tutto fosse in ordine. Bisognava solo avere un
po’ di pazienza. Dopotutto era in ferie, e poteva godersi qualche ora di
meritato riposo. Solo un po’ di pazienza.

 

Ma, com’era prevedibile, la pazienza non durò. Dopo
nemmeno un’ora cominciò a picchiare come un forsennato contro la porta,
chiamando aiuto. Non ebbe idea di quanto tempo passò a sbattere i pugni,
gridando a squarciagola. Cominciò a fargli male la gola e fu costretto a smettere.
Non aveva con se un orologio, ma dal caldo che faceva giudicò che fosse passato
mezzogiorno.

Si rintanò di nuovo nel soggiorno, seduto di fianco
alla gabbia del canarino. Non si era fatto vivo nessuno. Stando a quanto gli
aveva detto la signora Bei, le poche persone che abitavano nel palazzo dovevano
trovarsi almeno sei o sette piani più in basso. Era improbabile che lo
sentissero, anche se meditava già di riprendere a fare il diavolo a quattro,
non appena gli fosse tornato un filo di voce. Era alquanto frustrante che
nessuno si accorgesse di lui.

 

Anche la seconda scarica di manate contro la porta
non diede alcun frutto, se non quello di fargli venire i palmi rossi. Si
convinse che, anche continuando così fino a sera, non avrebbe cavato un ragno
dal buco. Cominciava ad avere una sete dannata.

Il resto del pomeriggio fu uno scorrere, anzi un non-scorrere,
di minuti che si gonfiavano e gonfiavano senza mai esplodere.

 

Calò il tramonto, quando Loris ormai non credeva
più che lo avrebbe fatto. Non aveva mai avuto tanta sete in tutta la sua vita.
Aveva la gola in fiamme.

Ora la situazione cominciava a dipanarsi in tutta
la sua effettiva gravità. Quanto tempo poteva resistere in quelle condizioni?
Era passato un giorno intero e non aveva visto né sentito nessuno dentro il
palazzo. Era come abbandonato.

Doveva uscire di lì, in un modo o nell’altro.

Si alzò e tornò nell’ingresso.

-Forza,- disse, sforzandosi di parlare ad alta
voce, per quanto farlo gli costasse un gran dolore. -E’ ora di scoprire se
questa porta è davvero robusta.

Prese tutta la rincorsa che aveva a disposizione e
riuscì a sferrare una discreta spallata. Niente. La porta non tremò nemmeno.
Ripeté l’operazione una seconda volta, poi una terza. Ignorò le fitte di dolore
e ripartì alla carica. Quattro volte. Cinque. Sei. Dovette arrendersi.

Tornò a sedere in soggiorno, massaggiandosi la
spalla dolorante. Quando sollevò la manica, vide che si andava formando un
grosso livido giallo a forma di pera.

-Dobbiamo uscire di qui- disse al canarino nella gabbia.
-Non so come, ma dobbiamo uscire.

Come sempre, il canarino lo fissava senza dire
niente.

6 Commenti a “La gabbia – Parte 1”

  1. Andrea dice:

    Ciao Diego. Bella la situazione in cui hai messo il tuo personaggio!!
    Per un commento piu’ articolato aspetto la fine :)

  2. A dice:

    uhm…non per fare anche io l’uccello del malaugurio….ma non aveva un cellulare?? Aspetto con curiosità la 2° parte!!!

  3. Diego dice:

    In effetti questo racconto è stato scritto nell’estate del lontano ’99, quando il sottoscritto (strano ma vero) NON aveva ancora un cellulare. Spero non sia troppo lungo da postare, è per quello che ho preferito dividerlo in due parti.
    Grazie a tutti per i commenti, come sempre.

  4. emmaus 2007 dice:

    Molto bello! Hai un genere di scrittura molto limpido e chiaro, scorrevolissimo. La storia, poi, mi piace molto. Aspetto la seconda parte per un giudizio conclusivo. Ciao!!

  5. Chris84 dice:

    Bello questo racconto, si lascia leggere volentieri. Mi aspetto una similitudine tra Loris e il canarino (ma i canarini bianchi esistono?!)

  6. fabio dice:

    Di questa prima parte ho apprezzato la situazione in cui è stato posto Loris, la qualità dei dialoghi e la scorrevolezza della tua scrittura. Sono proprio curioso di sapere come andrà a finire. ^_^

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