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DITIRAMBO DI UNA NOTTE D’ESTATE

Pubblicato da Domenico De Ferraro il 7 agosto 2008

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DITIRAMBO D’UNA NOTTE D’ESTATE

Selvaggia estate giunta in groppa a note allegre sull’ onda mediterranea in un meriggio africo
portando seco sussurri e voci di lontane terre per via vanno folle di persone ammirando rovine storiche
esequie di versi liberi che invadono all’unisono la mente disperata accordata
a mille strumenti che accompagnano il messaggio d’una poesia scritta sui fogli di un taccuino insanguinato.
Infingarda gagliarda esala l’intima strofa il libero verso , lo stornello , la tarantella.
L’ ode lunga breve puerile ritornello soffre mai si spegne tremula nell’umile canto.
Per l’aere puro ode odorosa ricordo di solstizio d’inverno significato etereo mostro musicale che divora la sua metrica.
Appari terrorizzata scappando al sole si stende e beve tra l’erba alta tra l’onde lunghe schiumose simmetriche chimere cavalcate da streghe.
Disteso sulla sabbia assolato e stanco il giovane in riva al mare inseguendo la voluttà ,il piacere del verso sofista
estremista, ingegnoso nel calcolo eletto nelle liste civiche
d’un popolare partito ti prego non ridere ascolta, lasciati andare.
Ascolta il canto lo strabotto hip pop suonato per strada ed altre questione illogiche del caso scordato
derivazione di desinenza canterina confesso cretina sermone cantato per essere ascoltato
un po’ da tutti insieme ad un gruppo di operai con in mano il capitale nell’altra la scadenza rateale
l’economia spiegata alle masse dall’ illustre professore della Cattolica di Milano .
Ardevi ma non cessavi di stupire, ti bagnavi ignara nell’acqua
ridendo andavi a largo nuotavi libera ,cheta , nera
rimuginando chi sa in te quale rabbia , gonfia d’idee ribelli frutto di lirismi e quant’altro
si voglia scoprire dietro il giudizio del pubblico lettore.
Fermo al semaforo con un libro nella testa
espressione giovale pomposa varia estrapolazione
orgiastica d’una grammatica sequenza
tipologica di frasi scurrili e pronte per essere buttate
nel forno ,dolce fragranza la pizza fu subito cotta .
T’alzavi immemore incurante del conto e del torto di quel male antico portato sul dorso
per calli e viottoli nel profumo del mosto mentre il mostro tramava dietro la vigna.
Grandi eri lussuria , umbra brace circense , scoppiettante
mugolio di piacere nascondevi le tue parti intime dea del focolare .
L ‘ora giungeva gemendo, bianca odalisca
voltavi pagina approfondendo altre tematiche sessuali.
Menando a quel paese l’autore di questo strambo ditirambo.
La mente s’elevava verso miti ed altre filosofie perseguibili
identiche nella logica dello scrivere e del leggere dell’ essere padrone o servo , signore o dottore
truce d’aspetto, malvagio maestro in bilico su d’un filo teso tra due steli.
Sulla sabbia disegnavi ologrammi immagine esterrefatte piegando in quattro fogli di carta
per farne barchette andare così a zonzo verso l’orizzonte sul grande mare mediterraneo.
Meditando il nome tuo l’aspetto di te padre dolente
seduto su una sedia , semitica esistenza, delirante pensiero
proiezione mentale d’un subconscio osservato dal viso meduseo.
Regole epigastriche , punk dalla cresta colorata
chimerico autore torchiato , scoppiato , depresso
estrazione d’un numero a lotto espressione
egli del sottoborgo urbano canto metropolitano
accidia e scopereccia cinciallegra amica d’una battona orba e zoppa.
Il vento porta via l’onda donando melodie nuove per una vacanza vincente suonata
sulle corde d’una chitarra d’un hippy ippocampo ipotetico cantore dell’abisso
pesci e meduse ossi di seppia trovati sulla spiaggia .
Ragionando ti duole l’animo ed il ricordo tenero dei giorni addietro oltre quello squallido muro di convenzioni
false ideologie di correnti politiche.
Demenziali lacrime cadute in fondo al secchio, buco profondo fino al centro della terra
tirar per capelli demoni e dannati andare e orfico cantare riportare
indietro te amore per placare in me questo antico dolore.
Languida lungimirante , seduta sotto l’ombrellone
brulicanti ombre amene erettile e circonflesse, messaggio oscuro dal vacuo nome
d’ermione dea della torrida estate romana.
Estate ardente diritta la meta oltre il senso comune dell’esperienza.
Simulacri borghesi canottiere e altri indumenti
pose aspetti cruciali circuite emozioni trasgressioni audaci matrimoniali.
Selvaggia estate ella scesa nell’acqua chiara , fresca
sulla pelle morbida bagnava il corpo provato dagli inverni .
Fisiche congiunzioni , breve pennichelle fatte nel caldo meriggio greco ascoltando
un concerto di cicale e di grilli canterini.
Poco s’accorda l’animo alla favola antica ricurvo sotto il peso degli anni
ubriaco di solfeggi rime e ritmi , villanelle e ritornelli
digrignando il muso l’aspetto offeso nel sole di giugno funge la speme, la semenza itala.
Ella venia dopo l’eletta.
Ella venia dopo il dolore dell’inverno dopo i cupi etici pensieri .
Ella partiva andava lontano salutava sua figlia
un misero mondo colorato congiunto al senso al vero .
L’onda ritornava a riva balzando saltando ritornava
con mille novità chiacchierando con i gabbiani .
Relitti lasciati andare alla deriva verso il breve sogno di questa nuova estate.
Aspetti diversi volti e giorni e altre mimiche , rinasceva
il gusto di raccontare novelle nella fresca sera
sotto le stelle strabuzzare gli occhi lasciarsi andare e ascoltare
le voci del mare e della terra del cielo ascoltare il canto degli eroi degli dei partiti per le vacanza
come il resto del genere umano pagando il pedaggio la discesa al lido l’affitto dell’ ombrellone
mangiando sulla spiaggia , assaggiando angurie e panini
senza mai togliere lo sguardo sui bambini correre sul bagnasciuga , giocare con palettine e secchielli.
Laudata sii dolce estate.
Laudata sia il canto dei tuoi figli il mare , i monti , la natura intera.
Laudata sia questa gioia questo amore terreno.
Laudata sia la fonte di questo bene profondo estetico sogno fatto in una notte d’estate.

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