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IL PIANETA DEI FICHI D’INDIA

Pubblicato da Domenico De Ferraro il 20 agosto 2020

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IL PIANETA DEI FICHI D’INDIA

Spesso , senza accorgersene il tempo scorre all’ incontrario quando non vuole farsi capire , quando getta l’ amo nel mare aperto e cerca di prendere un bel pesce da cucinare. L’ ansia mi assale sul treno , mentre attraverso la trinacria , terra ove pascolano le vacche magre , inseguite dai tori di apollo , ove i sauri alati vengono cavalcati dalle muse del parnaso. Nella mia corsa contro il tempo nella parte rassegnata nella mia maschera , il mio soggetto, l’ oggetto della mia esistenza , affonda le sue radici , nella ricerca etimologica . La quale , nulla vale , simile al volo delle farfalle sui prati in fiori , macchiati di sangue innocente , un volo che mi costringe ad essere me stesso , nello sfarfallio musicale che si contorce nei concetti elementari di un vivere enigmatico. Effettivamente provo , un certo smarrimento, ritrovarmi solo, con me stesso , nelle mie mutande, sul principio di un viaggio che è un interrogativo linguistico che tira il suo carretto di dialetti e prova a vendere le sue espressioni surreali Lungi dal pensare che un giorno , sarei ritornato sui passi della mia originaria fonologia linguale . Sulla scia di migranti e dei re magi nel silenzio di un sistema chiuso, nella sua scurrile esistenza mezzo fatto con l’aspetto d’acheo ottuso , perciò tanto folle da portare davanti ad una chiesa un satiro e farlo confessare del male commesso . Effettivamente la pedanteria era inusuale nella sua immagine lasciva di cagna in calore . Lasciando da parte , ogni altro interrogativo , questo mio viaggio era gustoso come una fetta di anguria o peggio un sistema metrico di rime senza senso. Così proseguo nel mio idioma volgare , lo segue nella lasciva sorte come se fossi una vongola innamorata di una cozza e nella raffigurazioni di una ragione senza senso che presume il buon senso. M’invento la storia dell’ intolleranza che rincorre la bellezza in un genere generante una certo sbigottimento.
Così il senso della mia bellezza è quasi dimenticato nella sua aporia metrica che striscia , scivola, balla con Turiddu dai baffi neri corvino . Balla con tutti , divenendo a volte rosso, verde , giallo nello splendido sole del mattino. Ed in ogni cosa , ella scorre come il veleno nelle vene del serpente proveniente dal pianeta dei serpenti alieni , striscianti , molto ricchi che amano mutare pelle al sole caldo della Trinacria . Serpenti educati sibilanti, sibillini, impettiti , camminano a testa alta per le strade delle città , tentando i loro vicini , passandogli sotto le gambe arrovellandosi nelle storie più assurde , capaci di suonare batterie gran cassa , trombette e di fare un concerto scatenante , risuonante per tutte le contrade che attraversano strisciando , scampanellando si muovono nella polvere contro il tempo. E l’ordine delle parole rettile , segue il sistema grammaticale come una forma racchiusa nella sua speranza di essere.
Diverse , volte ho provato a volare ad andare contro quello che credevo , ma sono giunto sempre al termine di un concetto che presumeva l’amore come soggetto . Dopo tanti tentativi , l’amore era sempre li ad aprirmi la porta per farmi entrare in un altra dimensione. La prima volta che giunsi sul pianeta Trinacria , era un pianeta arido con tanti fiori di cactus, fioriti al sole di giugno , immagine di un sogno di un Dio nudo sugli scogli , seduto in disparte a prendere il sole. Sciolte , erano le tante membra dei morti che si sollevavano nel vento , passavano alla velocità del suono , portandoti oltre quello che sentivi nel petto . Ed era un pianeta arido ai suoi tempi , solitario , incompreso, con un grande cuore che batteva nel ventre della madre terra . Non c’erano a quei tempi cammelli parlanti, ma cavalli alati e qualche puparo con la coppola che raccoglieva polvere di stelle sopra i tetti delle case affacciate sulle sponde delle coste . Una lunga fila di case , costruite dalla pubblica amministrazione comunale gestite dal consorzio del circolo equestre , governato da Michele Ferro.
Non chiedetemi come riuscì a salvarmi dalle lupare o crisi mistiche che mi perseguitavano nella loro genealogia. Michele Ferro governava tutto il pianeta trinacria e non aveva timore di essere incarcerato poiché l’amore trionfa sempre prima o poi . E le coltivazioni dei fichi d’india erano un buon introito, fatto a spese dei contadini , educati al rispetto , pagati in natura con due o tre botte nel deretano o dietro la schiena , sulla testa , sul cappello con pannocchie e grappoli di uva matura , con baci , abbracci dati con quell’ ardore pagano , di continuare a vivere una vita aldilà del bene e del male. Cespugli , interminabili di fichi d’ India dai vari colori dalle strane forme, germogliati dalla terra , grigia ed aspra. Il vento , passa portandomi oltre quello che si crede, verso una giusta causa , nella speranza di milioni , di malcapitati trascinati dalle loro terre verso un isola che sarebbe dovuto galleggiare nel vuoto della storia.
Purtroppo la storia di Michele Ferro era di pubblico dominio , era una storia sinusale, truce come le cimici , sporca come l’acqua del rubinetto che scorre giallognola, acidula un po’ ferrosa dall’ aspetto inquietante.
Egli , tirava i fili dei pupi , sordi , ciechi , storpi, cattivi e buone marionette , lusinghiere maschere di un tempo arcaico che metteva timore nell’evocarlo .
Stiamo per arrivare a Catania.
Il capotreno è andato in bagno.
La signora si gratta l’ ascella , mentre il signore nessuno avanza
di un passo avanti e dietro
Il treno ritorna , sempre alla sua stazione d’origine.
Siamo a Messina
E qui che nato il messia ?
Cosi dicono.
Mi sapete dire quando ci manca per Termine Imerese ?
Io non lo so, sono di Padova
Io di Brescia
La biscia e sua amica
C’è sempre qualcuno che piscia contro vento.
Io sono di striscia la notizia
Lei non scende ?
Ma , sono chiuso in bagno
Lei conosce la storia della Trinacria ?
Certo sono un professore
Lei uno scienziato?
Non mi faccia ridere
Lei è cosciente di quello che dice ?
Certo che lo sono.
Stiamo tornando indietro
Mancano due ore per Messina
Povero messia
Si metta comodo
Mi sembra un pallone gonfiato
Non stiamo in una mongolfiera
Potremmo evitare sotterfugi
Ma , ora io chiamo il capotreno
Ma questa non è stazione spaziale
Mi creda siamo tutti extraterrestri
Cosa da non credere
Madonna pure il capostazione è un alieno.
Sopra tutto lui , poiché sa guidare la locomotiva.
Mio Dio voi mi fate piangere
E piangete tanto , ci manca poco per Messina
Il messia , voi lo avete conosciuto ?
Io , una volta sono stato a casa sua
Come era simpatico , aveva i baffi all’insù.
Che bello un messia con i baffi
Una signora di Modena se ne innamorò , dopo due anni ebbe due figli . Uno usci bianco , l’altro nero .
Ma siete certo che il messia fosse proprio di Messina.
Non avevo alcun dubbio , era cresciuto a Taormina.
Che dite , signore , vi volete togliere davanti al finestrino
La mascherina
Questo c’ è la con me
Faccio finta di essere di Mantova
Se va bene , tra due ore al massimo saremo a Termini Imerese.
Hai mangiato ?
Ho bevuto
Hai fatto bene
Che simpatico
Ma questi fichi d’india a quanto li vendete ?
Con le spine o senza
Con tutta la buccia
Con la buccia sono gratis
Un buon prezzo.
Questa è la terza volta che me lo fate pesare.
Se non vi garba chiamo il capotreno.
Per carità basta che arriviamo in orario , fate come volete.
Il pianeta trinacria era popolato da strani esseri alcuni venivano dai Tropici , chi dal polo nord , chi dal polo sud. E poiché non cera molto da capire molto da creare , perché la giornalista piemontese era decisa ad incontrare il proprietario dell’isola , il signor Michele Ferro di provata fede antifascista . Figlio di Achille Ferro , pretore a trapani , discendente diretto del bandito Giuliano. Il quale sapeva andare in groppa allo ciuccio con la lupara sulle spalle per le montagne della Madonia , tenendo testa a plotoni di valorosi carabinieri provenienti da Torino. E le strade a quei tempi, erano disseminati di cadaveri , trucidati dall’ ignoranza , estensione linguistica tipicamente nordica chi voleva dire, siete tutti avvertiti. La giornalista , voleva incontrare Michele Ferro nelle vesti del bandito Giuliano in qualità di luogotenente , addetto alla pubblica sicurezza. Essere atipico nel diverso sentire l’ennesima predica antipartitica.
La confusione, avrebbe potuto degenerare in molte fasi , arrivare a false questione estetiche, giungere a desumere che meglio scappare o trascinare in tribunale Michele Ferro e le sue cattive compagnie che in parte sono come le tante frottole fatte in parlamento che non si possono chiamare tali , poiché ogni comma contiene una legge, fatta a regola d’arte per chi governa . Il discorso , sostanzialmente, divenne, ipocondriaco, incentrato sulla facilità dei costumi per quanto la società dei manigoldi perdurò per molto tempo a spese di chi vendeva salsicce o facesse capriole per vivere perché come si dice : nu cicero nu tenne costume e non si fa ò bagno a mare , perché tiene paura dell’ acqua calda. E quando furono chiamati al processo contro cosa nostra, le tante vittime reali o irreali mostrarono un regolare contratto firmato e controfirmato da Michele Ferro alias il bandito giuliano .
Voi lo conoscete a Michele Ferro
Come no un padrone d’oro
Non è cattivo
Per carità una brava persona
In mezzo alla piazza vedete ci sta Gigino
Chillo sta sempre là
Ma che fa dalla mattina alla sera
Si conta li pili
Come è strano
Siamo tutti figli di una storia
Tenete a mente a Pasquale
Come no , l’innamorato di Margherita
Proprio lui , quello si vendette mezzo palazzo paterno per averla
Bontà sua
Cosa ci vuoi fare , siamo nati per soffrire
Io faccio la tratta Palermo , Torino ogni giorno
Io Messina , Termine imerese una volta al mese.
Questa storia va cambiata
Se lo sa don Michele non ci da la più la sua benedizione
Mo’ pure prete è diventato
A volte si , a volte no
Comunque il paese dei fichi d’india è un paese che si mantiene sull’ illusione comune della storia che sostanzialmente potrebbe essere polvere di stelle o un immagine di quella fanciullezza che anima in genere gli esseri umani. E si possono distinguere diversi delitti in base all’ insufficienza dei casi . Il nostro eroe non voleva proprio sapere di diventare carne in scatola o peggio una réclame di calzini. Il fico d’india era una parte di sé stessi , spinoso , dolce un frutto che a rigore di logica , detiene un primato oserei direi quasi deleterio, troppo spinoso , capace di pungere, di far male. Il fico d’ india della trinacria non è indiano , neppure giapponese qualcuno dice fosse originario della Mesopotamia chi dell’ Egitto. E non c’è ragione per chiamare un uomo, fico d’india ma l’invidia fa parte della nostra vita spirituale , si manifesta come un soggetto evolutivo dell’ esistenza di fatto che racchiude la sua storia. Un idea matura ,dolce , creativa che cinge il capo ad un fico d’ india , la sua corona di spine.
Tutto il pianeta Trinacria era una proprietà di Michele Ferro che non era cattivo e non era neppure un fico d’india , forse veniva dalla Russia ed era stato da ragazzo dolce come una ciliegia con la buccia rosa che diceva la gente che era più buona delle ciliegie rosse . Ma lui Michele Ferro , era un dittatore , nato anche un po’ misantropo, un topo che abitava sotto un nido di fichi d india. La si nascondeva , faceva il padrone , qualche volta cucinava fichi d’india alla brace . Molta gente veniva da tutte le parti dell’ universo a gustare i suoi piatti . Perfino , un gatto una volta venne e divenne tanto furbo che si mise un turbante in testa e divenne così un famoso fachiro.
Il sogno di Michele era di diventare padrone dell’universo conosciuto . Una tentazione molto simile ad una coda di serpente che si muove frenetica , indisponente nella sua potenza , simile ad un urlo disumano con il quale conquistare la scena ove Michele Ferro con tutta la banda interpreta la parte di vecchi farabutti.
Che vulvite fare , statevi accorto al Talamone
La gente sbigottita, incominciò a gridare a credere che Giunone fosse un gommone , dove tutti gli immigrati si buttavano dentro si tuffavano dal gommone per giungere tra le braccia di Giunone.
Mio Dio chi è stato ad uccidere il Talamone
Io niente viddù
Come dite oh che tragica scena
Mi riducete ad uno straccio
Non voglio buttarmi a mare, ne saltare la corsa , sono prigioniero dei mie disturbi psichici, sono venuto in compagnia del satiro.
Hai portato il cane a fare la spesa
Il cane non è mio
Io sono di passaggio.
Giunone è una vecchia signora che si concede a Zeus in mezzo al prato.
Voi che dite , avete chiamato le guardie qui c’è ercole può confermare i miei buoni propositi. Il mare di notte è illuminato dalle stelle come i pensieri profondi di Poseidone su una barca senza remi che ritorna a riva , nel senso di marcia nella direzione opposta.
Qui sul pianeta dei fichi d’inda in molti sono rimasti senza Dio , solo Michele Ferro conosce la vera storia del Talamone che a tavola ama mangiare il fegato dei suoi nemici .
Veramente io sono a secco con la benzina
Siamo in mezzo al caos
Io sono il caos
Noi siamo l ‘essenza stessa della bellezza
Cosa ha reso tale questa storia
Sono stanco di viaggiare indietro nel tempo
Non preoccuparti prima o poi ripartiamo
Il pianeta dei fichi d’ india è un pianeta senza un Dio . Una terra senza solchi , capace di generare o salvare il mondo tramite la filosofia dei tragici greci. Pertanto la chiarezza degli atti , implica una illusione certa che il pianeta dei fichi d’ india sia per meta governato da rossi e per meta neri , qualche bianco vorrebbe avere la parte migliore ma ormai i neri non gli la danno per vinta. Cosi tutto scorre i fichi d ‘india riposano all’ombra , illuminati da mille raggi di sole che potrebbero bruciare la sorte di un popolo.
La terra è fertile ed il pianeta dei fichi d’ india aspetta qualcuno ritorni a zapparla . Dopo la morte di Michele Ferro in molti si sono proposti a divenire podestà, padrone , barone, marchese , magistrato. Ma la morale rimane illibata , un limbo ove le donne si rifuggono dalla lussuria sfrenata e dalla caducità del vivere. La morte di un fico d’india è determinante per capire l’ amore ed il risvolto della conclusione espressive . Poiché chi potrebbe governare con giustizia un pianeta di fichi che non pungono ne piangono , ma si autogestisce a seconda delle tasse prescritte.
L’ invasione dei migranti , fu gestita pochi mesi prima della fine del dittatore Michele Ferro . Tutti i suoi gregari furono messi in prigione . Chi in pigiama lesse le sue memorie , chi in mutande recitò le gesta di Michele Ferro che a molti piacque tanto perché gli ricordava la loro infausta infanzia.
Il pianeta divenne dopo la sua morte, un luogo ameno, tutti erano liberi di fare quello che avrebbero sempre voluto fare, niente dalla mattina alla sera , senza dar conto a chi ti spia dal buco della serratura o ti segue con occhio languido dalla finestra.
L’ esistenza è breve ed il pianeta dei fichi d india è una dimensione quasi fiabesca , simile alla scoperta di se stesso. E come essere votato per essere qualcosa altro che un semplice personaggio di una banale commedia umoristica.
Le rane ed i ciclopi in quella occasione funebre piansero il mesto corpo del defunto . L’ultimo atto , dava inizio ad un nuovo amore Rosso , rosa , azzurro, grigio color topo che qualcuno scambiò per fumo di Londra.
La figura del fico d’ india , impose una certezza che non esiste una volontà , capace di generare la storia di ogni singolo individuo quando questo crede in sé stesso.
Ma voi siete certo
Certissimo
Non ridete
Chi ride.
Non mi volete pigliare per il sedere
Per carità
Come siete romantico
E che mi sono lavato stamattina
Con acqua di colonia
Con acqua di rose
Stasera facciamo festa
Io ieri ho visto cadere una stella cadente
Ma era sicuro che fosse una stella e non un fico d’ india
Non saprei dirle
A me sembrava una stella
Ed io le dico che era un fico d’India.
Dio segue il nostro cammino per dubbi e impressioni , pensieri nascosti che accendono stelle nel cielo, ci segue pari passo nei nostri sogni , nel nostro soffrire per rime e mondi sconosciuti Attraverso dimensioni plastiche ove immaginiamo di essere dei fichi d’india , degli indiani d’ America o di Calcutta a passeggio sulla nave che ci sta traghettando da un pianeta all’ altro, da un continente ad un altro continente . Dove in fine , troveremo un altro mondo ed altri fichi d’india , forse più spinosi , meno dolci . Fichi che crescono nella certezza di essere un giorno mangiati , poiché la vita vale quella che vale e cresce senza terra da arare, senza rime ne amori pagati a caro prezzo. Poiché la libertà è sempre il male minore difronte alla tirannia e all’ arroganza della razza padrone di cui appartengono i tanti Michele Ferro che vorrebbe dominare il pianeta trinacria senza creare qualcosa di buono , senza pagare le tasse dovute ai lavoratori e ai picciotti della buona società.

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