POEMA DEL MARE E DELLA TERRA
Pubblicato da Domenico De Ferraro il 23 luglio 2008
POEMA DEL MARE E DELLA TERRA
Strambi ditirambi s’odono tra le interminabile file d’ombrelloni sull’ affollata spiaggia..
Nel mattino meditabondo scrutando dentro se stessi in cerca d’un bene profondo.
Il mare assorbe la luce al giorno riflettendo i raggi del sole sopra le sue acque .
L’unire la terra al cielo seguendo regole , segni d’un destino oscuro e irrazionale.
Dietro la porta dei marini santuari si nasconde una bellezza effimera capace di pietrificare chiunque ,
una salvezza vana come le parole che la compongono.
Socchiudendo gli occhi e viaggiando con la mente
verso lidi lontani avvolti dalla magia di luoghi incantati .
Morire per ritornare a vivere.
Mentre i sensi ingannano l’animo nei dolci suoni estivi nel mesto canto d’una diva persa tra i boschi sopra
ai monti gibbosi e brulli alla ricerca d’una pace sperata.
La mano del fato agguanta il viandante a passo lento sul sentiero scosceso in groppa a d’un suo stanco pensiero.
La peggiore parte di noi e caduta nel traffico dei giorni passati ,
non esistono regole per descrivere l’ossesso interiore nei righi
ove scriviamo i mesti sentimenti , fili d’una memoria
messa al bando dai circoli letterari della capitale .
La città mastica e ingoia, non butta via nulla , dopo tiene nascosti gli ossi di seppia sottoterra .
Dentro una frase perversa mostra i denti e lascia preservare atroci agonie linguistiche .
Non è colpa dell’insegnante o dell’ avido politico neppure del ragioniere la colpa e da ricercare
nella finzione creata di quell’atto unico per la festa di compleanno.
A nulla vale il gioco dei verbi arrabbiati ,la logica inganna
ti dà l’illusione di mutare aspetto per poi apparire
nuda a fianco d’un critico spettatore al finire del concerto.
Nel dolce rimembrare gesta e canzoni .
D’artisti e funamboli giocolieri di parole
che ammaliano l’animo , il senso d’una armonia di suoni confusi.
Soave nel meriggio mediterraneo quando la risacca lascia sulla sabbia l’immagine di lei amata.
I giorni pigri , i desideri , i complici sorrisi d’una vita spesa
a raccogliere conchiglie e pietre colorate.
Ignorando il prezzo della sofferenza , il viso del bagnino
angelico . La politica del minestrone .
Nulla diviene nel creato se non è stato amato .
Difficile seguire modi e maniere ritmi tribali . Zibaldoni africani.
Di questo percorrere le vie del gusto un po’ romantico
un po’ retrò, curando l’ aspetto al verso .
Agitate acque dell’ Ade il cammino è breve ed è reso sofferto sul finire della sera.
Stracco per il vecchio paese vaga romito il mago delle stelle.
Paesi solitari adagiati sul fianco delle colline .
Selvaggia leggenda , l’immagine riemerge e poi
svanisce per i borghi e l’entroterra delle campagne
portando seco delitti e passioni ,filosofie e misteri .
Antiche idee appese al filo del buon senso.
Nella casa sull’albero degli gnomi si sono uniti in matrimonio
una coppia di colombi.
Di questo antico filosofare sul filo della ragione
strofe allegre e laici interrogativi generano nuove
formule giuridiche .Momenti uguali eppur dissimili
nel difendere l’ingrato compito della bionda bomba.
La melodia nell’aria rende allegro l’ orco canterino.
Figurando ed illuminando rendi ogni cosa stupida
scoppiettante come un fuoco d’artificio abbagli ogni lettore.
Anime legate a quel dolente fato retaggio d’una cultura virtuale.
Diabolico perseverare di verso in verso fino alla fine .
Signora delle muse assopita nel crepuscolo degli dei
volta pagina e salvaci dall’inferno.
Di questo tuo vano ragionare agli occhi della vita
madre terra gravida e lussuriosa che copre silenziosa con il suo verde i piccoli colli.
Strade solitarie ove mai nessuno ha verseggiato .
Inni nati dall’ eco del caos della città .
Ed il pensiero fugge portando seco il dolore dell’essere savio.
Per valli e contrade la verità ferita geme .
Il mistero dell’universo racchiude le fragili risposte dell’esistenza.
La luce acceca l’oscuro passante romito tra i boschi
pendenti sui dorsi dei monti rifugio dei volatili .
Neri ideali piumati .
Scappati via allo scoppio degli spari dei villici cacciatori .
Lo spettro della civiltà triste vaga ubriaco.
D’emozioni e piaceri figlio di geni ed eletti al suono
delle campane bronze .
Sulla piccola deserta piazza del paese passai pensoso.
Le mie paure , le mie preghiere segrete e senza voltarmi indietro svanii nel ventre dell’ immensa città.
Il narrare per favole magnifiche et metafisiche avventure
lungo il sentiero dei nidi di ragno e delle cinciallegre .
Mi riporta indietro nel tempo quando le mie umide
parole si piegavano al vento della giovinezza.
Solcando il mare aperto della fantasia su quell’umile navicella.
Accompagnato da un canto marino d’ un mondo antico e moderno io svanisco
nel nulla in quel principio e in quel fine in cui un giorno nacqui.
27 luglio 2008 alle 11:30
Le numerose citazioni stilistiche e di contenuto e le immagini evocate nel brano non mi hanno permesso di trovare un bandolo e seguirlo. Sono forse impaziente.