Audio Racconti Metronapolitani

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PENTAFAVOLA

Pubblicato da Domenico De Ferraro il 29 maggio 2016

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PENTAFAVOLA

In un piccolo paese adagiato su di una collina con il campanile sfiorante il cielo ,nella calda atmosfera di maggio passeggiando per i prati bagnati dalla brina turchina, Francesco di professione contadino ,continua a coltivare cavolfiori e altre magiche verdure capace di guarire da ogni male, capace di far resuscitare un moribondo , di dar gioia agli infelici , allegria ad ognuno che li mangia , poscia guarire da ogni malanno , rendere giovani i vecchi ,far saltare di gioia i paraplegici, far sorridere i misantropi , rendere generosi gli avari. A tutti i turisti che si trovavano a sostare dalle sue parti o che passavano per le strade del suo paese continua a dire entusiasta: “Lo so che mi credete un millantatore cari signori , ma le mie verdure hanno veramente poteri taumaturgici ,basta assaggiarne un po’ per divenire sani e forti . Guariscono da ogni male , rendono felici al primo morso, pensate ne fanno gran richiesta da ogni parte del mondo. Figuratevi che un maragià me li paga peso d’oro, fino ad oggi son diventato tanto ricco da regale a chiunque visiti il mio paese queste mie verdure . Coltivo quest’ orticello , un tempo coltivato da mio nonno che oggi ha centocinquanta anni e gode d’ottima salute ,seguito da mio padre che di anni ne ha centosei , entrambi hanno lavorato tanto per renderle così buone , da generazioni , ormai coltiviamo frutta e verdura capace di guarire e ringiovanire .Venite , entrate senza timore nel mio orto fatato vi farò assaggiare gratis ogni cosa voi volete. Troverete cavolfiori giganti ,dove tra le sue foglie si nasconde lo gnomo birichino dal berretto rosso e dal naso a peperoncino , ballerino e canterino , vi confido un pò scorbutico , capace d’ ogni mal’ azione come nel fare dispetti ognuno che gli passa vicino e non lo saluta . All’improvviso mentre Francesco decanta i prodigi dei suoi ortaggi . Salta fuori dal suo nascondiglio il piccolo gnomo e grida : Non state a credere, quel matto del contadino le sue erbe sono amare, velenose , non hanno nessun potere curativo , guardate come mi hanno ridotto , mangiandole mi hanno trasformato in un orribile gnomo , un tempo ero alto è forte , avevo una moglie dei figli , dal giorno in cui desiderai guarire da una fastidiosa gotta , dopo aver mangiato dietro sua insistenza quelle maledette erbe , povero me così al fine son diventato .
Và bene, forse è meglio non andare oltre, saggio voltare pagina .Giorni di primavera , la macchinina Giannina dopo aver
fatto colazione con tanta buona benzina, si è diretta vicino al mare è rimasta lì per ore incantata a guardare le onde del mare ammirarle andare e ritornare , poi tutto un tratto un suo pensiero ha preso forma di un gabbiano , ha preso a volare sul mare in tempesta , attraverso i suoi ricordi di macchinina ha cavalcato le onde dei ricordi ha passato sopra il dorso dei pesci dalla grandi mascelle pronti ad ingoiare e masticare i branchi di pesciolini trasportati dalla corrente , combattendo contro battaglioni di cavallucci marini , pesci spada e orche marine danzando con seppie ballerine , dialogando con calamaretti chierichetti. La bella macchinina si e tanto divertita , bagnandosi fino al parabrezza, ha ingranato la marcia e si è diretta verso il promontorio ove troneggia sulle sue alture il vecchio faro dalla lunga barba bianca . L’immobile faro scrutando l’orizzonte ha intuito quel suo sogno ed ha compreso ogni cosa , lui che conosce ogni nave che passa di lì che saluta , lampeggiando , palpitando nell’oscurità della notte oscura . Sinistro faro che non ricorda più quanti secoli ha , quanto tempo è trascorso : “ Povero me , son divenuto troppo vecchio, non distinguo più un cargo da una nave di pirati , anche sé continuo a luccicare, guardando il mare mutare umore , insieme alle sue terribile onde , orde di ricordi, di morte che giunge da lontano senza nome, senza patria. “Sono qui da secoli a guardia di queste funeste coste , ne ho viste tante di navi passare per poi scomparire sulla linea di quell’orizzonte ove nasce e muore il giallo sole che come un gallo canta la sua canzone all’alba, verso il cielo dove a sera brilla la luna incantando i pesci che vengono a galla ad ammirarla ,splendere ignuda nel buio . Nelle mie stanze un tempo soggiornava un solitario guardiano , leggeva ad alta voce storie , favole cosi belle che mi rallegravano assai , sapeva dipingere , suonare ,cantare odi , stornelli, melodie napoletane . Visse per anni da solo tra queste mura , crebbe e scrisse tante bei racconti d’avventura sulla vita del mare e dei suoi abitanti.
Ora lui riposa in quel piccolo giardino all’ombra d’un salice sotto una croce protetta dai nodosi rami della vecchia quercia, monca d’un ramo ,colpita da un fulmine durante un rigido inverno , dove le cornacchie ed passeri vanno ancora a giocare a scopone o a briscola confidandosi le loro quotidiane disavventure : Per tutte le pannocchie di granoturco sapete l’altro giorno dice una cornacchia : per poco un cacciatore non mi faceva secca . Ho sentito sfiorare le ali , da un colpo di fucile, la pallottola mi è passata vicino al becco, al punto che mi sono cadute, tre piume dalla coda , ho provato una tremenda paura , pensavo di dover morire da un momento all’altro , poi gli spari son terminati ed io ho potuto di nuovo volare via e nascondermi alla vista degli umani. Poverina te la sei scampata bella dice un passero : io sono invece divenuto amico d’un simpatico bambino , dopo una brutta giornata di pioggia passata sul balcone di casa sua , mi ha salvato da una terribile tempesta , siamo diventati cosi ottimi amici. Ora lo vado a trovare spesso gli cinguetto qualche dolce canzoncina , lui mi fa trovare tanti semini deliziosi .
Che fortuna aver trovato un benefattore simile, risponde la cornacchia . Lo puoi dire forte , risponde il passero, mostrando le sue carte fortunate, vincendo cosi trenta denari d’oro , ed un viaggio premio alle canarie. Che fortuna che hai, da non credere , mi fa tanta rabbia , che prenderei un randello e te le darei di santa ragione. Dice la cornacchia infuriata . Cosi prendono a bisticciarsi si beccano , volano e cantano una dolce, triste, canzone , il loro mesto canto diventa pian ,piano un dolce eco che si spande sotto il tiepido sole, giungendo in ogni luogo, fino all’orecchie di tutti gli animali che abitano lassù tra i rami dall’ albero della vita illuminati dallo spirito dell’ estate nel suo discendere in mezzo a noi, prendono anche loro a cantare quella dolce, triste , canzone alleviando d’ogni dolore l’umanità intera , che estasiata , dall’africa alla Scandinavia , dall’oriente all’occidente s’alza in piedi ad ascoltare meravigliata il melanconico canto che ci rendono meno oscura la stanca sera del corpus domini che scende silenziosa in fretta con le sue tenebre ed i suoi dubbi di sempre.

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