Non si fece più la barba per un sacco di tempo e non parlò per un bel po’ con nessuno, si era offeso, Giovanni. Era finito in galera. Colpevole, ma non troppo, maledetta sfortuna, da più di sei mesi gli puzzavano addosso i vestiti che, ancora per molto tempo, non avrebbe lavato se non lì dentro.Ma che ci facevi con quella pistola?Li..Tu.. E quella pistola.. Ti avevo chiamato, tu niente, non avevo capito, canticchiavi, ti avevano chiamato in diversi, ma nessuno, alla fine, avrebbe mai immaginato.Eri biondo, mezzo sorriso, come al solito, un filo assente, con gli occhi chiari, e due colpi, cosa c’entravano quei due colpi?.Mangiavi poco e da solo, ” sono nervoso ” dicevi, ” sono tornato tardi ” ripetevi, mangiavi sempre le stesse cose nello stesso modo, ” preferisco così ”, biascicavi, e a chi un giorno ti trovava a sbatterti da una parte e un giorno dall’altra sembrava più che possibile.Come quando, appoggiato, ridevi sul ponte di legno la sera, l’acqua scorreva sotto di te, piano, più piano, molto piano, pianissimo, brunita dalle pietre al tramonto, l’atmosfera era quella dell’urlo di Munk , se così si scrive, ma con molto meno casino e anche se tu non urlavi c’erano lo stesso cielo e lo stesso ponte, ma tu eri di spalle, coi gomiti sulla ringhiera a piccoli pioli e guardavi il fiume e i piccoli stagni e le piccole onde sotto di te. ” Hey Joe ”, ti rivedevo, ” che fai con la pistola? ”, dondolava, sorriso spastico, la passavi da una mano all’altra, occhi tristi, il dito accarezzava il calcio nervoso, ma nessuno avrebbe mai pensato a quei due colpi, e nemmeno a quegl’altri tredici.Guardavi in avanti e, come chi ha ragione, non avevi paura e giocavi. Giocavi.Poche nuvole erano lontane amiche sull’orizzonte rosa blu, rassegnato, sicuramente non facevi trasparire, volavano gli uccelli intorno a te, era da pianoforte, stormi misti di pensieri e volatili, solo un leggero tremito sulle mani, scatti improvvisi che dicono: ” sono qui ”. Mille espressioni uguali, mille volte uguali, la faccia di chi ripete le stesse giornate, gli stessi momenti, chissà che dicevi di fronte allo specchio.
E, il giorno prima, pensare che camminavi sulle mattonelle vicino alla chiesa sul corso e ti avevamo incontrato sereno e pacifico, ” che fate? ”, ” ci vediamo dopo ”, magari ti eri mangiato un gelato, camminavi e, come al solito, non pestavi le righe.
Ciao Giovanni. Grazie per questo tuo testo :)
Molto interessante, e ben fatta la descrizione dei comportamenti di Giovanni e dell’incapacità di comprenderli di chi lo circonda.
Forse, se proprio dovessi trovare il pelo nell’uovo, direi che è un po’ brusco il passaggio dalla terza alla seconda persona verso l’inizio.