Alberi azzurri

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Era fantastico quando fuori dalla finastra gli alberi erano azzurri nel  cielo bianco, senza nuvole, la mattina. Faceva freddo con l’aria secca, la sentivi al primo respiro e chiudevi la finestra coi vetri frementi, il caffè poi copriva tutto subito scalpitando nella caffettiera al piano di sotto. Bum, bum, bum, i passi giù dalla scala non ancora del tutto sveglio, uomo di piombo un po’ intorpidito, bum, il braccio sul tavolo, le dita sulla tazza, speriamo non si rompa. Calda, quella brodaglia che facevi malamente con la moca scottava, ma il freddo e la voglia di uscire pungolavano e, sbam, un uomo dai baffi marroni e umidi sbatteva la porta. Eri fuori, ti guardavi intorno, giravi su te stesso con lo sguardo in su, in obliquo, memorizzare tutto, il verde, la casa di legno, gli alberi, il bosco e, poi, al secondo giro, gli uccelli, i raggi di luce, il rumore del fiume, le rocce che brillano al sole, ora pulsano le mani, respingono le spine dell’ombra mattutina, sanno già cosa fare.


Passi lunghi, sapevo dove andare, coi jeans, la camicia larga e la maglietta sotto, un po’ alla volta sarei rimasto a torso nudo mentre colpivo i tronchi degli alberi.

Da due mesi sono stanziato qui, mi manca solo la neve, ma è solo questione di tempo, arriverà, e nel mentre avrò imparato a difendermi. Bum, bum, bum, bum, bum, i colpi arrivavano sul tronco spellato, cambiavo subito, prima di fare danni.

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