MERIT
Pubblicato da Clelia Liù Grisù il 19 novembre 2007
Venti soldatini tutti uguali, a testa in giù come proiettili pronti a far male ogni giorno un po’di più, capaci di penetrare dai polmoni alla carne sana e farla ammalare.
La loro scatola, a forma di parallelepipedo dai colori caldi e bruciati, adornata da un altorilievo color oro (Merit), impreziosisce il contenuto: soldatini fedeli, grandi compagni nei momenti più tesi, abili sostenitori nelle battaglie politiche e danzatori maledetti sulla tastiera del pc. Stanno tra l’indice e il medio tenuti belli tesi ad una media-bassa altezza come sta un condannato a morte tra le guardie, in un gesto sì maschile, ma allo stesso tempo così elegante che sembra creato per quelle mani.
Lo scricchiolio della carta che brucia alla prima fiammata, il rumore acquatico delle labbra che si schiudono improvvisamente dopo l’aspirazione sono il loro grido di battaglia.
Nelle notti insonni, loro sono con lui, nei momenti di calma, loro sono con lui, nel dolore, nella tensione, nella routine, nella digestione (tutte le fasi), loro sono con lui; compagne davvero intime di una vita a volte difficile e che ha ripetuto troppo spesso gli stessi errori, gli stessi gesti.
Ma i soldatini, compagni di vita sbagliati, cattivi, aggressivi ma così fedeli, ora dopo ora vengono consumati dall’avido vizio, uccisi sul campo con l’incoscienza di chi uccide e presto dimenticati. I loro corpi mozzi e senza vita, raccolti tutti tra le macerie dei suoi ragionamenti intricati e poi gettati dal portacenere al cestino, sono presto sostituiti da nuovi plotoni d’esecuzione… tutti i giorni nuove vittime della vittima.
Noto la sua indifferenza ai gesti concreti, troppo impegnato com’è a seguire il fumo dei suoi ragionamenti… credo di averlo pensato quel giorno su quella panchina, quel sapore acido che lasciano in bocca assomiglia davvero a quello delle sue parole… inaspettate.
Quante volte l’ho supplicato da bambina di lasciar perdere, di mollare con quel vizio, quando ancora non capivo quanto fosse parte di lui.
Soldatini cattivi, vi prego, non fategli troppo del male… almeno fino a quando non avrà conosciuto i miei figli…
i suoi nipoti.
19 novembre 2007 alle 4:55 pm
Ciao Giulia,
splendido questo brano. Una prosa che coinvolge come una poesia. Il fatto che non sei tu la fumatrice lo fai capire piano piano, solo al quarto paragrafo, e allo stesso modo sveli l’identita’ della “vittima” solo nell’ultima riga, prendendoti il tuo tempo, lasciando a noi il nostro.
Grazie per avercelo fatto leggere
20 novembre 2007 alle 9:30 am
Ad una prima lettura non avevo capito…è davvero bello: emozionante e profondo!
20 novembre 2007 alle 10:23 am
Ciao Giiulia, leggendo mi chiedevo chi fossero i soldatini… tutto è divenuto chiaro verso la fine, e direi che la simuilitudine è più che azzeccata. E poi mi sono piaciuto le ultime righe, così ricche di amore.
2 dicembre 2007 alle 10:09 pm
Ehi, ci sai fare davvero! Non male il gioco delle vittime della vittima…In bocca al lupo!