PANDORA
Pubblicato da letizia il 9 dicembre 2007
IL VASO DI PANDORA “Dì Rich, cosa pensi che capiti dopo la morte?” Rich esalò una nuvola di fumo in un colpo di tosse. Guardò l’amico con gli occhi strabuzzati, ma non rispose, anzi fece un lungo tiro alla sigaretta. Jonathan teneva lo sguardo fisso su Bell House: il giardino da poco rimesso in ordine stava già tornando ad inselvatichirsi: lunghe erbacce minacciavano violette e camelie, soffocavano le margherite e l’edera aveva invaso gran parte del cancello che delimitava il parco. Alle finestre mancavano le imposte, la facciata era di uno scolorito grigio perla. In un tempo lontano Bell House era stata piena di calore, di festa e di allegria, di vita vissuta… ora sembrava solo una struttura informe, qualcosa che era stato bloccato sulla strada della sua evoluzione e non era più vecchio, ma non ancora nuovo. Jonathan si voltò verso Rich e lo fissò… Rich gettò via il mozzicone di sigaretta e sbirciò l’amico. Aspettava ancora una risposta. “Ehm, bè…” biascicò “Cavolo, che ne so!” sbottò “Non so cosa potrà capitarmi tra cinque minuti, figurati se so cosa può succedermi dopo che sarò morto!” guardò Jonathan e sospirò “Posso capire come ti senti… ma tormentarti non servirà a nulla. Neanche Evelyn vorrebbe vederti così.” Negli occhi di Jonathan si accese una scintilla “E’ come se lei esistesse ancora in qualche luogo e in qualche tempo… vorrei solo sapere se sta bene…” Tornarono a fissare Bell House. Era rimasta disabitata da quanto la trisavola di Jonathan era morta tanti anni prima, ma Jonathan aveva deciso di ristrutturarla per andarci a vivere con Evelyn dopo essersi sposati. In fondo era ancora una bella e solida costruzione, uno degli edifici più vecchi del paese, faceva parte della sua storia. Qualche ragazzino inventava storielle spaventose su volti alle finestre o catene cigolanti nel cuore della notte, ma nessuno vi dava peso. Quella casetta decrepita non era mai stata considerata come se fosse infestata dai fantasmi, ma situata in una strada che dalla periferia portava alla scuola, aggiungeva un pò di emozione ad un percorso normalmente noioso. “E’ come il vaso di Pandora…” si sbilanciò Rich “Una volta aperto quello che c’è all’interno sfugge via e non si può rimetterlo dentro. Con la morte è lo stesso: solo dopo saprai cosa succede, ma non potrai tornare indietro per raccontarlo a nessuno.” Jonathan lo fissò con sguardo enigmatico, ma Rich sostenne i suoi occhi questa volta “Cosa facciamo qui?” domandò. Lui distolse lo sguardo “Certe volte sento Evelyn…” mormorò impacciato “Quando sono nel letto, le sere in cui non riesco a prendere sonno, o la mattina presto, alle tre o le quattro…” “Ehm… sì?” borbottò Rich spostando il peso del corpo da un piede all’altro. Iniziava a stufarsi di stare lì impalato ad ascoltare le lagne dell’amico. “Sento i suoi passi giù in cucina… come se si muovesse per la stanza. A volte i passi arrivano alle scale e la sento salire, come se venisse verso di me… e io la chiamo. La chiamo come un cretino, aspettando che lei mi risponda o che compaia sulla soglia…” Rich si accese un’altra sigaretta. E adesso? si domandò fissando l’amico e tirando furiose boccate alla sigaretta. Cosa dirgli? Che non è che qualche rumore notturno, tipo lo scricchiolio di un’asse che si assesta e che lui interpreta per il passo di una persona che come tanto aveva amato ora ne sente la mancanza? “Posso immaginare cosa pensi” disse Jonathan come se gli avesse letto nel pensiero “Non e’ un ladro nè un topo. Non manca mai nulla… eppure c’è qualcuno che si muove in cucina e non potrei non riconoscere i passi di Evelyn!” Rich non sapeva cosa ribattere, ma quando Jonathan tirò fuori dalla tasca della giacca un mazzo di chiavi, una domanda gli scappò spontanea “Cosa vuoi fare?” Jonathan lo guardò come se gli avesse chiesto se il fuoco bruciava “Voglio entrare!” e infilata la chiave più piccola nella serratura del cancello di ferro battuto, lo spalancò senza il minimo sforzo. E per quanto Jonathan fosse inquieto, era anche risoluto e percorse il vialetto a passo sicuro. Rich lo seguì dopo aver gettato via la sigaretta, più esitante. Se voleva attirare la sua attenzione, finalmente ci era riuscito. La porta principale della villa era ancora quella originale, di legno scuro e massiccio adorna di una vecchia e spettrale maschera ghignante per batacchio che Kathleen Bell ogni Natale nascondeva dietro un’allegra ghirlanda. Rich non sapeva, nè capiva, cosa l’amico intendesse fare e quando la luce tornò ad illuminare il mezzo secolo di buio in cui era ricaduta Bell House dopo che gli ultimi operai avevano richiuso la porta alle loro spalle, lo seguì con curiosità. La pioggia e l’umidità avevano macchiato i muri e ammuffito la tappezzeria, dei vecchi mobili giacevano negli angoli coperti da grandi teli bianchi, qua e là era rimasto qualche attrezzo da lavoro, scatoloni chiusi e alcuni sacchi neri dell’immondizia. I soffitti erano alti e nelle stanze immense dove i lavori di ristrutturazione appena iniziati erano stati bruscamente interrotti ogni cosa giaceva come sospesa tra il decadimento e il rinnovo. Rich era affascinato dall’atmosfera che vi regnava che, nonostante il passaggio degli operai, profumava ancora della vibrante energia di Kathleen Bell, quasi come se lei fosse uscita solo pochi istanti prima che entrassero loro. Naturalmente non avevano mai conosciuto la trisavola, ma la famiglia Bell aveva una personalità molto eccentrica, tanto che la casa sembrava averla assorbita. Jonathan all’inizio, intimidito, ora era bramoso, impaziente. Non credeva al soprannaturale e rideva al pensiero che i morti potessero in qualche modo tornare. Eppure ultimamente era affascinato da questa possibilità. L’idea che la sua fidanzata, in una qualche forma sconosciuta, vagasse nella casa che avrebbero dovuto abitare insieme, lo intrigava. “E adesso?” lo richiamò Rich dai suoi sogni “Mi spieghi cosa pensi di trovare?” Jonathan lo guardò e di colpo sconforto e impotenza lo invasero. Aveva davvero creduto che un parte immortale di Evelyn aleggiasse in quella casa abbandonata e che gli si mostrasse come trasparente e impalpabile apparizione? “Evelyn, se ci sei batti un colpo!” lo sbeffeggiò Rich. “Non essere ridicolo!” brontolò Jonathan pensando che non solo era ridicolo, ma era un vero e proprio insulto al buon senso. Tornarono nell’atrio “Sono stato un vero stupido a pensare che…” s’interruppe, la mano sulla maniglia della porta principale socchiusa, tutti i sensi all’erta. Aveva udito qualcosa… si era sbagliato? No, eccolo ancora! “Hai sentito? Cos’era?” sussurro eccitato. Un flebile scricchiolio si fece appena sentire. Sembrava una vocina, un lamento fioco che arrivava dal piano superiore. I due uomini alzarono lo sguardo e il cigolio culminò in uno schiocco secco. In meno di un attimo lo sfarzoso lampadario di cristallo s’infranse a terra sollevando una nuvola di polvere mentre schegge aguzze volavano in ogni angolo. “Per la miseria!” gridò Rich indietreggiando. Jonathan invece avanzò di qualche passo “Sta succedendo qualcosa!” annunciò esaltato. “Starà crollando un altro pezzo della casa!” Rich si guardò attorno come aspettandosi che qualcosa gli franasse addosso “Vuoi aspettare che ci arrivi in testa…” “Sssttt! Ascolta…” Jonathan sorrise “La musica! Dio, Rich, è la nostra canzone!” Mentre la polvere sollevata ancora galleggiava nell’aria, un nuovo suono si era diffuso tra le arcane stanze di Bell House e Jonathan estasiato chiamò Evelyn a gran voce. Rich non ancora del tutto ripresosi dallo spavento, aveva comunque conservato un pò di buon senso. Afferrò Jonathan per una manica e lo tirò indietro “Vieni qui, scemo.” spalancò la porta e la melodia aumentò di volume. Un uomo in piedi oltre il cancello osservava Bell House, mentre alle sue spalle, dal finestrino aperto di un’auto ferma al rosso di un semaforo, la band di Frankie gridava a tutto volume la potenza dell’amore. Quando l’auto si allontanò anche l’intensità della musica diminuì con la distanza. Jonathan chinò la testa imbarazzato. Rivolse un’occhiata all’immenso vestibolo, un muto rimprovero ai cocci aguzzi di ciò che restava del fastoso lampadario quindi si voltò e richiuse con rinnovata tristezza la porta di Bell House. Rich giocherellò impacciato con il pacchetto delle sigarette. L’esperienza gli aveva quasi procurato un attacco di cuore e curiosi fenomeni qua e là per il sistema nervoso, ma capiva la frustrazione dell’amico. Jonathan voleva solo ritrovare qualcosa di prezioso che aveva perduto e di cui non sapeva quale fosse stata la sua fine. “Eppure là dentro c’era qualcuno!” esclamò Jonathan. “Certo, topi e scarafaggi.” Rich si accese una sigaretta con mani tremanti. “E’ stato un segno. Il lampadario, era un segno.” “Oh, sì!” concordò Rich con una gelida fitta allo stomaco “Segno che gli operai avrebbero dovuto tirarlo giù subito invece che attendere che quelle catene arrugginite cedessero e quel ciondolino di cristallo potesse rompere la testa del primo mal capitato! Era attaccato lassù da secoli, se fossimo stati solo un paio di metri più vicino, ora sapremmo dov’è Evelyn.” Jonathan lo guardò severo “E la voce? L’hai sentita anche tu la voce!” “Quello stridio lamentoso la dolce voce di Evelyn? Ti prego! Sarà stato il vento che fischiava tra gli spifferi.” Jonathan grugnì e Rich sorrise mesto “Jonathan mi spiace… Non so cosa succeda la notte in casa tua, ma Evelyn è morta e non troverai le tue risposte andando a caccia di fantasmi in una casa abbandonata come se fossi un ragazzino.” “Mi manca tanto…” mormorò Jonathan dopo un attimo di silenzio tenendo lo sguardo fisso a terra. Rich passò un braccio intorno alle spalle dell’amico “Lo so… anche a me manca. Se davvero gli angeli esistono, sono sicuro che Evelyn è con loro!” Quel pensiero tranquillizzò Rich, ma a Jonathan non bastava “Non è in vendita.” grugnì all’uomo che ancora fissava la casa oltre il cancello. L’uomo spostò lo sguardo da Bell House a Jonathan e Rich che si stavano allontanando giù per la via. 2 “Dovrei smetterla di tormentarti e lasciarti riposare in pace… dovunque tu sia.” mormorò Jonathan “Ma non riesco a farlo. Io non sarò in pace finché non sarò sicuro che anche tu lo sei.” se lo ripeteva come giustificazione al suo comportamento sentendosi a disagio persino con sè stesso. ‘Ti serviva una scusa per venire qui?’ mormorò una vocina pungente nella sua mente. Jonathan sorrise. Forse stava davvero impazzendo, ma oltre agli strani episodi che gli capitavano, si sorprendeva sempre più spesso a conversare con una Evelyn immaginaria, comodamente posta tra i suoi pensieri più intimi. Si fermò sospirando. Si era perso? L’ossario cittadino aveva le sue strade proprio come una città di vivi e già da mezz’ora vagava in cerca del loculo di Evelyn senza averlo trovato. Infilò una mano in tasca e si guardò attorno. Poco distante una vecchietta inginocchiata sull’erba stava interrando una piccola piantina accanto ad una lapide. Le mani minute e rugose si muovevano con attenta dedizione, gli occhi lucidi e amorevoli, la voce bassa e morbida parlava al defunto marito. Jonathan la osservò affascinato. Quale sollievo trovavano persone come quella donna nel visitare le tombe dei loro cari scomparsi? Portavano fiori e preghiere, curavano le loro tombe allo stesso modo di come prima facevano con la persona stessa e tutto ciò bastava a rasserenarle e confortarle. Jonathan guardò il mazzo di rose che aveva portato per Evelyn. Non veniva al cimitero dal giorno del suo funerale, quasi due anni prima, non le aveva mai portato un fiore, non aveva mai mormorato una preghiera, neanche nel buio delle sue solitarie e tristi notti insonni. Non credeva di trovare consolazione in quelle azioni e non ne aveva neanche mai sentito il bisogno. Evelyn era nel suo cuore e nella sua mente, non era andato al cimitero per ‘andare a trovarla’, anche se le aveva portato dei fiori. Sfilò la mano dalla tasca desiderando rimettersi in cammino e le chiavi dell’auto caddero in terra con un secco tintinnio. Jonathan le fissò circospetto… non le aveva neanche sfiorate, come potevano essere venute fuori dalla tasca? Si chinò a raccoglierle e le guardò come se fosse la prima volta che vedeva un oggetto simile. “Cosa c’è oltre la morte?” si domandò ancora, in una assillante persecuzione personale. ‘Non c’è modo di saperlo’ aveva detto Rich, ma per quanto Jonathan riuscisse a seguire il pensiero dell’amico, non trovava pace. La sua mente tormentata doveva continuare a cercare una spiegazione più confacente alle sue esigenze di sapere. Una lieve brezza gemette tra gli alberi, come se fosse il respiro di quelle anime, e lui si rimise in cammino. Attraversò ancora qualche stradina e poi finalmente si trovò di fronte alla sua Evelyn che da una foto gli sorrideva radiosa. Jonathan ricambiò il sorriso “Ciao amore mio! Come stai?” ammirò il piccolo loculo adorno di angioletti e cambiò il mazzo di margherite secche con le sue rose fresche. Con un fazzoletto spolverò la fotografia e senza rendersene conto iniziò a parlare con lei e a curare l’ultima cosa che di lei gli era rimasta proprio come aveva visto fare poco prima alla vedova inginocchiata sull’erba e come facevano le altre centinaia di persone di cui non capiva il comportamento. Dopo quasi un’ora si congedò e uscito dal cimitero camminò senza meta cercando di asciugare le lacrime e di calmare il cuore in tumulto. Preso dalle sue angosce non aveva notato un uomo che prima l’aveva osservato con attenzione e ora lo seguiva a qualche metro di distanza. Era stato doloroso staccarsi da dove giacevano le spoglie di Evelyn e Jonathan non l’aveva previsto. Era stato preso alla sprovvista dai suoi stessi sentimenti. Si sedette su una panchina e cercò di riprendere il controllo di sè stesso. Evelyn gli mancava da morire. Gli mancavano le sue carezze e la sua voce. I suoi ammonimenti a tavola quando lui si serviva una porzione di troppo del dolce o le sue risate sguaiate quando lei beveva un bicchiere di vino in più. Gli mancava il suo modo impacciato di svestirsi quando improvvisava uno spogliarello o i suoi rimproveri quando lui lasciava per troppi giorni il suo appartamento in disordine. Prima con lei, mano nella mano, passeggiava molto… ora persino il breve tragitto tra casa e lavoro lo stancava se percorso a piedi. E quando prendeva l’auto la radio si accendeva ancora sulla sua stazione preferita e il sedile accanto al suo sembrava occupato da una presenza impalpabile e delicata… e il suo profumo… il suo profumo dolce e caldo, come una spezia esotica… Jonathan chiuse gli occhi, come per apprezzare meglio la rievocazione… la sua pelle aveva un profumo irresistibile dopo che faceva la doccia e quando lei lo stringeva tra le braccia lui affondava il viso tra il collo e i suoi capelli e si inebriava di quel gusto intimo che riusciva a insinuarsi nelle profondità del suo essere con la stessa forza e determinazione delle braccia di Evelyn che lo stringevano. Jonathan aggrottò la fronte e riaprì gli occhi. Dopo tanto tempo il suo profumo permaneva ancora come una nuvoletta nella sua auto e qualche volta anche nelle stanze del suo piccolo appartamento. Quella mattina per esempio lo aveva sentito in bagno. Mentre lui si faceva la barba lei gli aleggiava attorno come una presenza impalpabile. A strapparlo dalle sue rievocazioni fu un uomo che piombò su di lui come se fosse spuntato dal nulla. “Gloria al Signore!” sbraitò con gli occhi fuori dalle orbite “Il Signore ti ha punito! Hai peccato! Pentiti ragazzo e rendi gloria al Signore!” Jonathan lo osservò, più incuriosito che spaventato. Un altro devoto credente di una delle tante versioni di quella che in fondo non era che un’unica religione? “La fine del mondo è vicina, ragazzo! Il Signore separerà i buoni dai cattivi, darà immense ricompense agli uni e torture infinite agli altri!” l’uomo dimenò una campanella che teneva in una sudicia mano mentre un logoro cappellino di lana si agitava in bilico sulla sua testa spelacchiata di capelli lunghi e grigiastri, più per lo sporco che per l’anzianità. “Ma il Signore è il mio Pastore e io non avrò paura della morte, perché Lui mi porterà nel Cielo e mi cullerà con le Sue braccia eterne!” cantineò ora con voce stridula “Gloria al Signore!” “Vattene, non abbiamo bisogno di te!” lo redarguì l’uomo che aveva seguito Jonathan. Lo afferrò per un braccio invitandolo ad alzarsi e lo guidò verso l’altro lato della strada. “Pentitevi! Il giorno del Giudizio è vicino!” gridò ancora il Predicatore, ma il resto delle sue parole si perse coperto dal rumore del traffico. Jonathan si lasciò guidare dallo sconosciuto appena un pò contrariato. Il sermone del Predicatore si stava facendo avvincente e Jonathan era interessato ora più che mai ad esplorare gli infiniti sentieri della religione o di qualsiasi dottrina lo potesse portare alle risposte che cercava. “Io e te dobbiamo trovare un posto tranquillo dove poter parlare.” disse l’uomo seriamente e gli tese la mano “John Silence.” “Jonathan Bell.” rispose lui stringendogli la mano senza troppo entusiasmo. Quell’uomo poteva essere ancora più pazzo del predicatore che in mezzo alla strada dimenava la sua campanella preannunciando la fine del mondo. Però non puzzava e non strepitava come un disperato… e poi Jonathan non aveva niente da perdere, no? Male andasse rimediava un altro sermone. 3 “Sei morto! Sei morto!” “Ahh! Sono morto!” cadde all’indietro sull’erba mentre l’altro gli saltò addosso ridendo. “Sei morto! Ho vinto io!” Il ragazzino rideva “Sì, va bene, ma ora alzati o mi uccidi davvero. Non riesco a respirare!” spostò di peso il fratellino e si alzò spazzolandosi di dosso terra ed erba. Jonathan guardò il piccolo saltellare impaziente attorno al fratello più grande sprigionando una fonte inesauribile di energia. Nel parco l’aria era fresca e seduti su una panchina, sorseggiando caffè caldo, Jonthan Bell e John Silence sembravano spettatori della vita che si svolgeva davanti a loro. Una ragazza stava portando a spasso un barboncino bianco e sorrise al poliziotto che incrociò, una coppia di innamorati passeggiava pigramente, giovani madri spingevano carrozzine, i bambini saltavano la corda o passavano in bicicletta o si rincorrevano sull’erba. John Silence aspettava che Jonathan gli parlasse. Sapeva che non era facile e non aveva fretta. Jonathan temporeggiava. Già dimenticato il Predicatore che annunciava la fine del mondo davanti al cimitero, soppesava con prudenza il nuovo incontro. L’uomo gli ispirava fiducia, ma ne era anche imbarazzato. John Silence si comportava come chi sapesse esattamente quale fosse il suo problema e quale era la soluzione giusta per lui, Gloria al Signore. Altro che Pandora e il suo vaso, altro che Rich e i suoi filosofici paragoni per spiegare eventi che in realtà non sapeva neanche lui stesso come considerare. “Hai voglia di raccontarmi qualcosa?” lo invitò persuasivo Silence. Il tono della sua voce era morbido, suadente. Il suo sguardo, timido e allo stesso tempo affabile e determinato, avrebbe stimolato a chiunque l’impulso irrefrenabile di confessare anche la più piccola marachella fatta in tenera età e dimenticata da anni. E Jonathan pensò che non sarebbe certo stato lui a resistergli! Come poteva fare da scudo a quella sensazione di calore che si stava facendo strada dentro di lui e che lo invitava ad aprirsi e a scaricare fuori tutte le sue pene così da farne carico ad un altro? In fondo non aspettava che questo. Buttare fuori tutto, angosce, pensieri, ricordi ed esperienze e allo stesso tempo trarre in cambio un’unica cosa: una risposta. Una risposta esauriente e competente, confacente alla sua domanda, in fondo molto semplice e modesta. Però si trattenne ancora per un attimo. “Perchè?” domandò Jonathan. “Pensi davvero che visitare case abbandonate o cimiteri possa darti più risposte di quanto potrei fare io?” ribattè John Silence, senza arroganza, ma con sicurezza. Jonathan dissimulò la sua sorpresa. L’uomo l’aveva seguito? “Cosa ti fa credere di avere le risposte che io cerco?” lo stuzzicò. “Sei così preso dall’angoscia di aver perso una persona cara che non ti accorgi di quanto lei sta facendo per farti capire che ti è più vicino di prima.” lo stupì ancora Silence. Non alzò la voce, nè era cambiato il suo tono, anzi se possibile, si era fatto ancora più accattivante. Jonathan si prese ancora qualche minuto e Silence lo lasciò fare senza interferire tornando ad osservare i bambini che giocavano. Jonathan considerò che in fondo non aveva nulla da perdere. John Silence gli ispirava fiducia e lui aveva voglia, (bisogno!), di parlare con qualcuno di ciò che provava e soprattutto di cosa gli stava accadendo negli ultimi tempi. Male che andasse lui avrebbe riso e lo avrebbe additato alla stregua del Predicatore incontrato poco prima per la strada. Ma in fondo, non gli importava. “Evelyn è morta da quasi due anni.” iniziò Jonathan “Ma è solo da qualche mese che mi accadono strani episodi.” Di solito la notte, mentre Jonathan giace insonne nel letto. Mille fremiti e mormorii si risvegliano come se gli oggetti si animassero di vita propria. Forse la perdita di Evelyn non c’entra nulla nè con la sua insonnia nè con la vita segreta della sua casa, ma quando lei dormiva al suo fianco non era mai accaduto nulla di simile. Non era il rubinetto che gocciolava o l’orologio che ticchettava e il suo piccolo appartamento non aveva mai cigolato come se fosse una catasta di legno che sgranocchiata dalle termiti rischiava di sbriciolarsi da un momento all’altro. Evelyn non si era mai svegliata di soprassalto nel cuore della notte e lui stesso non aveva mai rinvenuto i suoi oggetti personali in luoghi diversi da dove la sera prima li aveva lasciati e non era neanche mai accaduto che lei avesse assistito alle bizzarrie dell’abat-jour accanto al letto. Questo episodio in particolare era accaduto una volta sola, grazie al cielo. Jonathan era nel letto, leggeva un libro cercando di prendere sonno o almeno di far passare il tempo aspettando la mattina, quando la lampadina aveva iniziato a spegnersi e riaccendersi ad intermittenza. Aveva continuato così per pochi lunghissimi minuti e Jonathan aveva pensato che poteva essere un guasto elettrico… oppure qualcuno che gli stava inviando un messaggio MORSE tanto la manifestazione era diventata bizzarra e sorprendente. Ad un certo punto, dopo aver bloccato sul nascere un attacco di panico, Jonathan aveva spento l’abat-jour, staccato la spina e sostituito con cautela la lampadina. Ricollegata la spina nella presa e riaccesa la lampada non si era più verificata nessuna intermittenza, ma quella notte oltre che insonne la passò al buio, e per qualche sera successivamente decise di restare in cucina a guardare la TV sul divano. Forse aveva trasmesso il suo stress alla lampada e le accordò un pò di riposo. No, con Evelyn non era mai accaduto nulla di simile… e sembrava assurdo ma a volte accadeva che, come ricordava prima, nelle stanze sentisse il suo profumo più penetrante ora che non quando lei vi aveva vissuto per qualche giorno. Quando Jonathan era al liceo una volta con degli amici aveva partecipato ad uno scherzo che consisteva nel rompere una fialetta puzzolente nel bagno degli insegnanti. Lui era stato il malcapitato che si era dovuto assumere il compito di sgattaiolare nella toilette e rompere la fialetta. Subito non era accaduto nulla e lui era rimasto un pò deluso, ma un attimo dopo un fetore insopportabile si era diffuso in tutti i gabinetti. Un istante prima non sentiva nulla, un secondo dopo scappava dalla toilette con una smorfia di disgusto. L’esperienza che ogni tanto gli capitava ora era simile a quella, con l’unica differenza che l’odore che scoppiava improvviso nelle stanze del suo appartamento era dolce e speziato, era il profumo di Evelyn non un voltastomaco fetore. Jonathan tirò un sospiro profondo. Senza rendersene conto aveva finito il caffè e aveva accartocciato il bicchiere di carta, che quasi come in assonanza con il suo racconto, emanava il suo forte aroma di caffè. Alzò gli occhi e quasi si sorprese di vedere John Silence ancora seduto accanto a lui e ancora di più lo sorprese la sua placidità. Non solo lo aveva attentamente ascoltato, ma non si stava sbellicando dalle risate come Jonathan aveva pensato. Senza più remore o timori Jonathan si arrischiò a porre la sua fatidica domanda. Non sapeva come ne perchè, ma era sicuro che quell’uomo avesse in serbo per lui la risposta giusta, quello che anelava da tempo e questo comportava un pericolo e un prezzo incalcolabile: era davvero pronto a sapere la verità? “Dov’è Evelyn? Cosa succede alle mie cose, in casa mia?” e le domande sarebbero state ancora mille, ma in fondo quelle due erano la perfetta sintesi di tutte le altre. “Evelyn è morta.” esordì John Silence. Detto da lui, con quell’aria sorniona e confidenziale sembrava una rivelazione nuova e sorprendente “Questo vuol dire che il suo corpo è morto, il suo Spirito invece è più vivo che mai.” Jonathan lo guardò come se lui gli avesse appena svelato il segreto su cui si fondava il mondo. E forse era davvero così. “Il nostro corpo è qualcosa di materiale” Silence gli prese il braccio, come aveva fatto per allontanarlo dal Predicatore, ma questa volta si limitò a scrollarlo come se fosse un fantoccio. La mano di Jonathan si agitò nell’aria inerte “Ma ciò che dà vita a questo corpo è lo Spirito! Come i burattini: pezzi di stoffa resi vivi dai loro fili. Senza quei fili non sono che pezze colorate cucite insieme.” Silence cercava di spiegarsi con semplicità e ingegno insieme “Il burattino è il corpo, i fili sono lo Spirito… Dio è il burattinaio, in un certo senso. Ciò non vuole dire che Lui comanda ogni nostra azione, solo che supervisiona tutta la nostra vita. Non siamo mai lasciati a noi stessi e allo stesso tempo abbiamo la libertà di poter scegliere per ogni cosa come comportarci. Tu credi in Dio?” Domanda cruciale. Jonathan se l’aspettava. I suoi genitori erano cattolici praticanti, da bambino lo portavano sempre a messa con loro, ma crescendo Jonathan si era tolto di dosso i panni troppo stretti che la Chiesa imponeva. Diventato adulto poi, il duro scontro con la realtà del mondo, le guerre, gli omicidi e le varie ingiustizie quotidiane lo avevano allontanato ancora di più da quel Dio che nulla faceva se non osservare noncurante dall’alto del Suo Trono. Non riuscendo a proferire parola si limitò a scrollare la testa. No, non era credente. Silence proseguì le sue delucidazioni per nulla turbato “Non è fondamentale che tu creda in Dio, è solo importante che tu capisca la dualità di corpo e Spirito, se vuoi la risposta alla tua domanda. Quindi, il corpo di Evelyn è morto, il suo Spirito, come quello di tutti noi, è immortale. Evelyn ha lasciato il suo corpo, è tornata ad essere puro Spirito.” ‘Corpo e Spirito’ riassunse Jonathan ‘Corpo morto, Spirito vivo. Ma come ho fatto a non pensarci prima, è così ovvio!’ “Fantasma…” balbettò a voce alta. “Bè, qualcosa del genere.” acconsentì Silence. “Dov’è ora?” “Non esiste un vero e proprio luogo. Non c’è un Paradiso o un Inferno dove lo Spirito di Evelyn possa essere andato… esiste una dimensione diversa dalla nostra, non materiale e lei si trova lì. E allo stesso tempo è vicino a te. Non la puoi vedere perchè non ha più un corpo per mostrarsi, ma ogni cosa che ti è accaduta negli ultimi tempi sono il suo modo di manifestarsi a te. E’ il suo Spirito che si muove in casa la notte e produce quei rumori che tu riconosci come i suoi passi, è il suo Spirito che sposta i tuoi oggetti ed è sempre lei che cerca in tutti i modi di comunicare con te.” lo guardò quasi con dolcezza “E il suo messaggio è ‘non me ne sono andata, non ti ho lasciato, sono ancora vicino a te!’ La morte è un’apparenza, lei non c’è più fisicamente, ma il suo vero essere e il vostro amore sono eterni e indistruttibili!” Jonathan distolse lo sguardo e si prese qualche istante per riflettere. Trovava la semplice e allo stesso tempo sorprendente, rivelazione di John Silence, non solo convincente, ma decisamente affine a quelli che erano i suoi dilemmi e le sue esigenze di sapere interiori. Nuove domande ora gli affollavano la mente, ma finalmente prive dello straziante tormento di prima. Saziate le richieste più pressanti, ora si sentiva tranquillo, anche se molto curioso. John Silence aveva aperto uno spiraglio su un mondo nuovo e magnifico, tutto da esplorare… insieme ad Evelyn, abitante di quella dimensione. Tra le mille domande che Jonathan voleva ancora rivolgere a Silence, una era la più incombente “Come facevi a sapere di me ed Evelyn?” “Ti ho visto per la prima volta davanti a Bell House. Passavo di lì per caso, tu eri da solo e osservavi con rimpianto quella casetta abbandonata… una nuvoletta di disperazione aleggiava intorno a te, era impossibile non notare quanto stessi male.” Silence si strinse nelle spalle “Ho una forte empatia… non volevo intrometterti negli affari tuoi, ma ho percepito anche senza volerlo le tue emozioni più intime.” “Sei stato come un Angelo.” John Silence sorrise e scosse la testa “Stai esagerando, anche se come idea mi piace molto! E’ bello poter aiutare le persone in difficoltà come te.” Jonathan lo guardò per un lungo momento poi sorrise. Il suo primo sorriso sincero e rilassato dopo tanto tempo “Posso farti ancora qualche domanda?” Silence si alzò “Certo. Ma cosa dici se prima ci prendiamo un altro caffè? Credo che il nostro pomeriggio sia ancora lungo, vero?” Il sorriso di Jonathan si trasformò in una risata “Grazie.” mormorò. Sì, il loro pomeriggio sarebbe durato ancora a lungo, ma quella sera Jonathan avrebbe atteso con impazienza e poi accolto con amore qualsiasi cosa fosse accaduta. Queste sono la Vita e la Morte. Noi continuiamo a risplendere, non dovete fare altro che aprire i vostri cuori, allertare i vostri sensi e fare attenzione. Un sospiro, un rumore, una luce… dovete notare le piccole cose, perchè significa che qualcuno sta cercando di comunicare con voi… che qualcuno vi ama!
10 dicembre 2007 alle 2:36 pm
Un bel racconto. Le scenografie e le ambientazioni via via si fanno più eteree fino a svanire del tutto, e da tutto ciò i personaggi si affacciano verso il lettore, comparendo proprio come fantasmi dalla bruma. Ho trovato solo il finale un pochino vago e inconsistente, ma questa forse è una scelta tua, e in fondo il tuo messaggio è molto chiaro: l’hai scritto per esteso in coda al racconto
Molto bello comunque, complimenti.
25 dicembre 2007 alle 9:57 pm
e’ ben scritto, secondo me.
tiene la storia, fino a un certo punto.
Peccato solo per il messaggio finale che appare come uno spot pubblicitario.
non viene detto da nessuno dei personaggi del racconto, viene scritto come fosse veramente una inserzione a pagamento.
Questo FORSE, banalizza il messaggio che comunque è già chiaro a chi lo vuole ascoltare.
Ho notato inoltre come siamo succubi dei nomi stranieri nelle nostre storie.
E’ comunque una bella storia e ben scritta, i suoi protagonisti potevano chiamarsi anche Gianluca e Sofia.
Voglio continuare a leggere altre tue storie.
ciao