OUJIA
Pubblicato da letizia il 11 dicembre 2007
OUJIA
“Attraversando il tempo e lo spazio sono giunto fino qui!” esordì dal buio una voce sepolcrale “Chi osa disturbare il mio sonno eterno?”
“Thad, non fare lo stupido!” squittì una vocina “ Accendi la luce, ti prego!”
Seguito da uno scatto nell’oscurità apparve una maschera spettrale. Le palpebre rivoltate in modo da far vedere il rosso, gli occhi rovesciati all’indietro mostravano il bianco, la fronte grinzosa, la bocca spalancata in un ghigno contorto.
Un urlo ferì il silenzio e il cono di luce di una torcia si spostò dal volto pauroso ad una figura tremante.
“Dai Meg, stavo scherzando!” si scusò Thad.
Jeff gli diede uno spintone “Sei un idiota! L’hai spaventata.” si spostò vicino a lei e le passò un braccio sulle spalle.
Meg alzò il viso nascosto nelle mani e lanciò a Thad un’occhiata supplichevole “Perché devo esserci anch’io? Queste non sono cose da uomini?”
“Figurati!”
“Tu ci servi.” disse Thad “Siamo in quattro… quattro è un numero magico.”
“Ma tre è un numero perfetto.” obiettò Meg.
Thad scosse la testa categorico, posò in terra la torcia in modo che il raggio fosse puntato verso il soffitto di travi e un debole chiarore illuminò i ragazzini, seduti in terra attorno ad una tavoletta di legno a cui rivolgevano furtive e timorose occhiatine.
“Accendiamo qualche candela, ci sarà più luce.” osservò Nick alzandosi e avvicinatosi ad una vecchia dispensa tarlata, rovistò nei cassetti.
“Oh, per la miseria, ragazzi, che conigli!” rise Thad.
“Ci stiamo congelando, Thad!” lo rimbeccò Jeff strofinandosi le mani sulle braccia “Perché dovremmo anche essere spaventati a morte?”
“Spaventati a morte?” fece eco Thad “Ma Jeff, è un gioco! Come il monopoli, o il poker!”
“Ecco, perché non giochiamo a poker?” propose Meg.
“Non sono capace.” rispose Thad “E questo è più eccitante del monopoli, no?” domandò con un ghigno.
Nick tornò vicino al gruppetto “Thad, sei un idiota!” decretò armeggiando con un paio di candele e una scatola di cerini “Potevamo almeno stare nella tua stanza.”
“Scherzi? Qui c’è l’atmosfera!” sussurrò enfatico Thad.
Meg fece una smorfia. L’ambiente era spettrale e la luce creava bizzarre ombre sulle pareti, illuminando i loro volti di uno scuro splendore. In realtà, lo scopo principale del gioco per Thad, era scoprire chi si sarebbe spaventato e sarebbe scappato via per primo… Meg avrebbe voluto tirarsi su la gonna e correre a perdifiato giù per le scale, mettendo fine al raccapricciante trastullo di Thad e soprattutto alla sua paura… ma non poteva farlo. C’era Jeff, non poteva certo lasciarsi prendere dal panico così assurdamente davanti a lui! Male che andasse, Jeff sembrava essere disponibile a confortarla.
Con un solo cerino Nick accese le due candele e un caldo e rassicurante chiarore si diffuse nell’angusto angolino della soffitta dove si erano sistemati i ragazzi. Solo allora osarono chinare gli occhi ad osservare in silenzio la tavola di legno su cui erano impressi numeri da zero a nove e tutte le lettere dell’alfabeto. Un dischetto pure di legno giaceva nel centro della tavoletta, in un apposito cerchio vuoto.
“Allora, chi vogliamo evocare?” domandò impaziente Thad.
“
“Ma no, idiota! Lei è ancora viva!” lo rimproverò Jeff.
“Oh, deve essere qualcuno morto?” chiese ingenuo Nick.
Thad scosse la testa “Ho capito, ci penso io…” allungò le mani verso il piccolo dischetto di legno che si sarebbe spostato da una casella all’altra della tavoletta, formando le parole, e vi posò delicatamente le punte delle dita.
I tre ragazzini protesero le loro mani. Tutti trattennero il fiato.
“Ehi, non ho ancora detto niente e la tavoletta già trema!” esclamò eccitato Thad.
“Già, e pure io sto tremando…” osservò con duro sarcasmo Jeff. Si voltò verso Meg che teneva gli occhi strizzati e le labbra piegate in una smorfia, come se le sue dita stessero toccando qualcosa di putrido “Meg! Smettila di tremare, sembri un terremoto!”
Nick scoppiò a ridere “Thad credeva che fossero i fantasmi!”
“Su ragazzi, dobbiamo fare le cose seriamente!” li rimproverò Thad.
“Ma non era un gioco?” domandò Meg socchiudendo gli occhi e sbirciando attorno a sé.
“Allora, fate un respiro profondo e rilassatevi…” mormorò Thad “Avete pensato a chi potremmo chiamare?”
“Che ne dici dei nostri angeli custodi?” propose Meg. Si sentiva il cuore in tumulto, ma almeno non tremava più… non troppo almeno “
“Proprio perché non sappiamo dobbiamo farle!”
“Ha ragione…” osservò Nick ritirando le dita “Se aspettiamo che quella vecchia megera ci spieghi cosa c’è oltre la morte, abbiamo tempo a morire e scoprirlo da noi.”
Jeff rise forte, risvegliando deboli echi nella soffitta. L’atmosfera che si stava acquietando tornò di colpo tesa.
“Ascolta piccola, non stiamo facendo nulla di male.” riprese Nick rivolto alla pallidissima Meg “Non vogliamo mica evocare il signore del male in persona.”
“Però potrebbe essere pericoloso lo stesso…” mormorò Meg strofinandosi le mani una contro l’altra.
“Uffa, avete finito di dissertare sul bene e il male dell’universo?” domandò impaziente Thad “Perché non vi chiedete anche che senso ha la vostra misera vita e se esistono i marziani?”
“Ehi, vi ricordate di Ray Peterson?” domandò all’improvviso Jeff “Quel bambino affogato l’anno scorso nel lago?”
Thad sgranò gli occhi “Jeff, ti darei un bacio!” esclamò esultante “Forza, tutti in posizione, abbiamo trovato qualcuno con cui fare due chiacchiere!”
“Thad, ti prego!” supplicò Meg “Non parlare così…”
“Allunga le tue dita, fatina, e non ascoltarlo!”
Meg riuscì a sorridere. In fondo Nick aveva ragione. Non erano che quattro ragazzini intorno ad un pezzo di legno, l’unica cosa di cui avere paura in quella soffitta piena di spifferi erano gli scarafaggi.
2
Il silenzio era assoluto. I ragazzini protesi con le mani in avanti, aspettavano mal celando la loro tensione. Non un solo rumore riempiva quel vuoto. Non si udiva lo scricchiolio d’assestamento di un asse di legno, il fruscio di un topo che si muoveva nel buio, il rumore lontano di un’auto che percorreva la strada… tutto era quieto, sospeso… come in attesa.
“Thad!” sussurrò esasperato Jeff “Che stai aspettando?”
“Non ho una formula magica da recitare!” lo rimbeccò Thad “E’ la prima volta che lo faccio, non so… Bè, proviamo.” tirò un respiro profondo “Ray Peterson, ti stiamo evocando… rispondi alla nostra chiamata.”
Niente…
“Ray Peterson!” disse ancora Thad “Ti stiamo evocando, parlaci!”
Tutti osservavano il dischetto fermo al centro della tavoletta, aspettando che qualche forza misteriosa lo muovesse, contro la volontà delle loro mani.
“Ray Peterson! Sei qui, poi comunicare con noi?” insistette Thad.
“Il primo che spinge lo uccido!” sussurrò Jeff.
“Ray, se ci sei batti un colpo.” disse serio Nick e Jeff ridacchiò, ma Meg sentiva il sangue congelarsi nelle sue vene.
Thad li rimproverò “Non fate i creti…” s’interruppe abbassando gli occhi.
Il dischetto si stava muovendo.
“Meg, stai ferma.” sussurrò Nick “Hai infilato le dita nella presa elettrica prima di venire qui?”
“Io non sto facendo niente!” bisbigliò la vocina di Meg. Non tremava più come prima, e forse era la paura stessa, ma non riusciva a staccare le dita dal dischetto di legno.
Il dischetto si trascinò lentamente fino alla casella su cui era scritto ‘Sì’.
“Va bene, Jeff, se sei tu a…”
“Volete stare zitti!” ringhiò Thad “E’ Ray Peterson, è lui che muove la tavoletta.”
“Cosa?” squittì impaurita Meg.
“Non togliere le mani!” ordinò Thad “Il primo che toglie le mani lo strangolo!” gli occhi esaltati seguivano i pigri movimenti del dischetto di legno. La luce della torcia e delle candele sembrava improvvisamente essersi fatta più fioca e conferiva a Thad un insolito aspetto demoniaco.
“Sei tu, Ray?” domandò Thad.
Si trascinò di nuovo sulla casella ‘Sì’.
“Va bene, ragazzi, chi è che spinge?” mormorò Meg assecondando i movimenti del dischetto.
“Stai zitta!” l’ammonì Thad eccitato “Ray, puoi dirci come sei morto?”
Il dischetto si mosse passando da una lettera all’altra, piano, come se volesse ispezionare ciò su cui si muoveva: prima la N, poi la E, la L… terminata la compitazione ritornò nel quadratino bianco al centro della tavoletta. La frase formata era ‘nel lago Silver’.
“Quanti anni avevi?” continuò Thad.
Il dischetto si spostò ancora.
“Che stupidaggini!” sussurrò Jeff “Ognuno di noi saprebbe rispondere a queste domande.”
Scivolò dalla casella col numero uno a quella con il numero tre.
“Bene, Ray.” Thad sorrise nella penombra e Meg rabbrividì “Raccontaci com’è stato morire!”
Il dischetto di legno scattò veloce. Si muoveva più in fretta ora, passando da una casella all’altra. La misteriosa forza che animava l’oujia aveva preso confidenza con la tavoletta.
‘Ero in bicicletta… correvo vicino al lago quando le ruote sono scivolate nel fango e in un attimo mi sono trovato in acqua. La mia bici nuova… non potevo lasciare la mia bici nuova, ho nuotato, ma era già andata a fondo’
L’atmosfera si era fatta carica di tensione. Una delle candele consumatasi del tutto, si spense senza che nessuno ci fece caso. Il dischetto si muoveva tanto in fretta che i ragazzi faticavano a tenere le dita a contatto con il bordo di legno. Meg era pallidissima, Nick e Jeff avevano la bocca aperta e gli occhi affascinati, anche se un po’ impauriti. Thad del tutto estasiato, compitava a voce alta le lettere che venivano indicate, formando frasi di senso compiuto.
‘Il lago era profondo… l’acqua era fredda, la riva scivolosa, i vestiti mi pesavano addosso… facevo fatica a muovermi…’
Il dischetto tornava nel quadratino vuoto al centro della tabella ogni volta che terminava una parola, per poi riprendere sempre più veloce. Quando si fermò lo fece di colpo, come se la forza che l’animasse fosse improvvisamente svanita.
“Ragazzi…” sussurrò Nick “Ma chi è che si è inventato questa storia?”
Il dischetto riprese a muoversi e sillabare le parole.
“Chi vuoi che sia?” rispose Jeff.
“Sstt!, riprende a parlare!” li zittì Thad.
Tornato il silenzio, nella soffitta buia e fredda si diffuse un suono fievole e lamentoso. Forse suggestionati dal racconto, ai ragazzi parve il rumore dell’acqua… lo sciacquio sonnolento delle onde del mare… o di un lago.
“Che cos’è?” domandò la vocina esile di Meg. Le sue dita avevano ripreso a tremare.
Thad ricominciò a raccontare a voce alta ciò che lo spirito di Ray Peterson comunicava loro tramite la tavoletta.
‘Ero stanco, infreddolito, non riuscivo a trovare un appiglio per tirarmi su, le scarpe piene d’acqua e di fango pesavano come piombo… tutto fluttuava mentre i polmoni mi si riempivano di acqua e gli occhi si chiusero su quel blu immenso che diventò nero.’
“Io sto per sentirmi male…” disse Meg ritirando le mani. Sentiva una strana pressione sul petto e un senso di vertigini le faceva vedere tutto ondeggiante e sfocato.
“No!” gridò Thad “Non devi rompere il cerchio!”
La seconda candela si spense con uno sfrigolio e quando un tonfo sordo provenne dal buio, anche gli altri ritirarono le mani, gridando e mugugnando qualche imprecazione.
“Santo cielo, che fifoni!” brontolò Thad. Si alzò e camminò nell’oscurità fino a quando uno scatto secco preannunciò l’accendersi delle tre lampadine che illuminarono la soffitta.
I quattro ragazzi si scrutarono a vicenda. Meg, pallidissima, si divincolò anche se malvolentieri dall’abbraccio protettivo di Jeff.
“Bene, possiamo dire di aver avuto successo!” decretò Thad.
Di tacito e comune accordo, tutti si alzarono e s’incamminarono verso l’uscio a passo svelto.
Thad spense la torcia elettrica poi raggiunse gli amici fuori dalla soffitta, chiudendo la porta alle sue spalle.
“Cos’era quel rumore?” chiese Nick.
“Un topo maldestro avrà fatto cadere qualcosa.” rispose placido Thad.
“Io sentivo il suono dell’acqua!” gemette Meg rabbrividendo.
“Ma no, zuccherino, sarà stato il vento che fischiava tra le tegole!” obiettò Nick passandole un braccio intorno alle spalle “Ehi, Jeff, ti sei inventato una bella storia!”
“Io non ho fatto proprio niente!” obiettò lui “E’ colpa di Thad, era lui che muoveva il dischetto.”
I volti pallidi dei tre ragazzini si voltarono verso Thad. Lui osservò in silenzio gli occhioni candidi e imploranti degli amici, poi sorrise “Siete proprio dei conigli!” li apostrofò beffardo.
Loro esalarono un sospiro di sollievo e sorrisero. Quella notte non avrebbero dovuto preoccuparsi che lo spirito inquieto di un coetaneo andasse a turbare il loro sonno.
Ridacchiando e schernendosi a vicenda si allontanarono giù per le scale, mentre Thad rimase ad osservare la soglia chiusa della soffitta.
‘Ray Peterson…’ pensò Thad perplesso, poi scosse la testa come a volersi liberare di un pensiero insensato e raggiunse gli amici.
Nel buio, il dischetto rimasta sulla lettera ‘o’ si mosse da solo, tornando nella casella vuota.
13 dicembre 2007 alle 10:29 am
Inquietante al punto giusto, anche se ho trovato strani alcuni dialoghi tra i personaggi: in certe frasi parlano esattamente come bambini, ma in altre (come quando uno dei maschietti si rivolge a Meg con epiteti come ‘zuccherino’ o ‘dolcezza’) parlano piuttosto come degli adolescenti o degli adulti…
13 dicembre 2007 alle 11:41 am
Giusta osservazione quella di Chris84, anche se ammetto che non è affatto semplice scrivere dialoghi tra bambini.
Per il resto il racconto mi sembra ok. ^_*
13 dicembre 2007 alle 7:28 pm
Direi che Chris ha ragione. Anche una domanda come ‘Avete finito di dissertare sul bene e il male dell’universo?’ mi sembra poco caratteristica per dei ragazzini. Ma si tratta tutto sommato di sottigliezze. Per il resto il racconto è molto bello. Se mi permetti, Letizia, tra i tre o quattro tuoi che ho letto, questo mi è parso quello meglio scritto. Ha una bella tensione, pennellate brevi ed efficaci, come sono necessarie in un lavoro del genere, e la descrizione della seduta spiritica è molto verosimile. Ma tu ne hai fatte in vita tua? Io le facevo con gli amici, da ragazzo, anche se come tavoletta oujia usavamo un foglio di carta e un tappino di birra moretti (i vantaggi dell’alcolismo…). Però funzionava. Giuro!
13 dicembre 2007 alle 9:20 pm
Ciao Letizia. Concordo con Diego che questo è il tuo racconto che più mi è piaciuto. Forse la brevità ti ha aiutato a tenere alta la tensione per tutto il racconto…