Non evocate i demoni
Pubblicato da mariacristina il 9 dicembre 2007
NON EVOCATE I DEMONI
Appennino Umbro- Marchigiano, luglio del 552 d.C.
Da undici anni le armate gote, con alla testa il valoroso re Baduilla, tenevano impegnato l’esercito dell’ Imperatore in un gravoso gioco di scacchi lungo lo stivale italiano
Era la guerra civile più dura e disastrosa che la penisola avesse mai patito. Molte città avevano sofferto, molte erano state cinte d’assedio e conquistate con l’inganno o prese per fame.
Undici anni di guerra avevano portato il paese alla rovina, alla carestia e alla disperazione. Gli esseri umani non erano più tali, ma spettri affamati usciti dalle catacombe per contendere il pasto ai lupi della montagna.
Gli uomini erano rimasti soli. Dio non c’era più. Se n’era andato. Li aveva abbandonati nell’umido di quelle montagne, nelle mani dell’invasore goto e dell’assalitore bizantino. E allora, disperati, avevano evocato gli antichi demoni che abitavano nelle viscere dell’Appennino.
Alcune di quelle creature mostruose, una volta erano stati angeli. Ma avevano tradito, avevano seguito Lucifero e, insieme a lui, erano stati precipitati negli abissi più profondi della terra.
Morti solo in apparenza, ad attendere che qualcuno che sapeva li richiamasse dalla nera oscurità.
I più feroci, tra quegli esseri immondi e maledetti, erano gli antichi Mani, gli spettri dei defunti che non avevano voluto attraversare l’Acheronte. Trascinavano la loro laida esistenza di non- morti nelle necropoli, tra le tombe sotterranee, là dove l’aria è più buia e più umida, sempre in attesa che qualcuno sollevasse la pietra manale. Così, quando il mundus si apriva, i non morti erano liberi di invadere le città e le campagne circostanti alla ricerca di cibo. E si nutrivano solo della carne e del sangue degli uomini.
Era da molto tempo che ciò non accadeva. Da secoli i demoni dimoravano nell’oscurità più profonda. Ma gli uomini che volevano distruggere Baduilla li evocarono, mossi da un rancore cieco e mortale.
Lo sciamano lo sapeva. Era conscio, consapevole di tutto quell’odio che saliva a lui come l’acqua di un mare tempestoso. Lo percepiva all’intorno, lo annusava nell’aria intrisa di gocciole acquose, lo sentiva crescere in ogni poro, in ogni anfratto di quella caverna buia ed umida nascosta tra le gole dello Scheggia, nel cuore più arcano dell’ Appennino
Il gruppo degli uomini che guidava si fermò nel punto in cui, la confluenza del fiume con una polla d’ acqua termale, dava origine ad una piccola piscina calcarea. Erano in venti. Indossavano dei sai di canapa grezza, sdruciti in più punti. Sulle spalle pendevano i cappucci afflosciati, che lasciavano scoperti il capo e il volto. Avevano i capelli lunghi, arruffati, che scendevano in nodi disordinati sul collo e sulle spalle. Quasi tutte le teste, anche quelle dei giovani, erano solcate da strisce biancastre. Alcuni avevano il capo ricoperto di zelle prive di capelli, altri portavano i segni della scabbia, altri quelli della rogna. Ma i visi erano ancora più orrendi. Scarni, emaciati, corrosi dall’odio, dalla fame e dalla disperazione. E, nel profondo dei loro cuori, covava un desiderio di vendetta così feroce che mai, in nessun posto del mondo ne era esistito uno simile. In silenzio si tolsero i vestiti. Emersero corpi scheletrici. Lividi e sofferenti come i volti ed i capelli.
Anche lo sciamano, che camminava innanzi, lasciò cadere la sua consunta tunica di canapa grezza. Apparve un corpo informe e gelatinoso. Flaccido. Aveva due appendici artigliate al posto delle braccia e due strane pinne che gli facevano da gambe. Non si voltò e non mostrò il suo viso. Se lo avesse fatto, gli altri sarebbero fuggiti via dall’orrore. Non lo aveva. Non aveva faccia, ma solo uno strano ammasso gelatinoso ed amorfo sul quale sarebbe stato possibile riconoscere quattro fori: gli occhi, il naso e la bocca. Non era di carne, ma di materia. Tozzo e pesante come un angelo caduto. Perché, una volta, eoni prima, lui era stato un angelo. Poi era divenuto il Traghettatore: il demone che tiene congiunti il regno dei morti e quello dei vivi.
Ora, però, era solo lo sciamano dello Scheggia.
Nell’appendice destra aveva un piccolo bastone cavo con cinque fori posti a distanza regolare. Lo avvicinò alla bocca senza labbra e lo strumento emise una sola nota, cupa e straziante. Poi issò il corpo deforme sul bordo della piscina e si lasciò cadere nell’acqua calda. Gli altri lo seguirono.
Nudi.
Nascosto dalla cortina d’acqua, uno stretto pertugio fendeva la roccia ai lati del letto del fiume e permetteva di entrare all’interno della montagna. La materia informe, che era il corpo del demone, si modellò assumendo la forma della fenditura.
Si trovò all’asciutto, immerso nell’oscurità più profonda. L’odore pungente dello zolfo ed i vapori dell’acqua che scorreva rendevano quel posto in tutto simile all’entrata degli inferi. Il Traghettatore allargò appena le sue mostruose appendici fino a sfiorare le pareti calcaree della roccia. Una strana luminescenza verdastra si diffuse su di esse, permettendo, a chi gli stava dietro, di distinguere appena i contorni della galleria. Lo sciamano riprese a camminare, senza curarsi se gli uomini nudi lo seguissero ancora. Sapeva che erano alle sue spalle, anche senza vederli. Camminò su quelle sue strane pinne per circa un chilometro, inoltrandosi nelle viscere della montagna. La galleria procedeva leggermente in salita ed i vapori che la inondavano la rendevano insopportabilmente calda e soffocante. Mancava l’aria. Ma nessuno degli uomini se ne curò. Andarono avanti fino a che, improvvisamente, il cunicolo non sbucò in un’enorme cavità naturale. Qui, la luminosità che si era fatta più intensa, permetteva di scorgere delle candide, gigantesche stalattiti che si lasciavano cadere per decine di metri giù dalla volta.
Lo sciamano alzò la sua appendice destra e diede agli uomini l’ordine di fermarsi. Si guardò intorno, poi si voltò a studiarli, col viso deforme nascosto dal cappuccio. Erano fuggiaschi, poveri esseri randagi. Nella loro espressione, nel loro atteggiamento, nel loro portamento, si ritrovavano ancora le vestigia degli antichi latini. Ma il loro splendore e la loro virtù se ne erano ormai andati da tempo, sopraffatti da secoli di angoscia e di disfacimento. Non provò pietà. Se non fosse stato un demone avrebbe sentito gratitudine e rispetto. Quegli uomini lo avevano evocato.Erano venuti al fiume in cerca dell’antico sciamano dello Scheggia che viveva nel ventre dell’Appennino. Erano giunti colmi d’odio e di rancore, assetati di vendetta. Si erano fermati al quadrivio e avevano pregato. Ma non avevano invocato il Dio cristiano. Avevano celebrato gli antichi riti dei padri. Avevano celebrato il culto di demoni che erano stati abbandonati da secoli. E lui aveva risposto. Quei demoni erano tornati in vita.
Si sarebbe sparso sangue, molto sangue, quella notte, nella valle dello Scheggia. E non sarebbe stato solamente quello di Baduilla e dei suoi Goti. I Mani avrebbero placato la loro fame antica.
Ruotò goffamente su se stesso e si portò il flauto alla bocca senza labbra. Emise una sola nota. Così stridula ed acuta che, per un istante, gli uomini temettero che la volta della caverna si sfaldasse e precipitasse su di loro. Ci fu un attimo di silenzio perfetto. Poi, dalle profondità della terra si levò un brontolio sordo e terribile. Gli uomini tremarono, ma non per il freddo. Avrebbero voluto fuggire, ma il cunicolo alle loro spalle era piombato nell’oscurità. Il boato si andava avvicinando, sempre più cupo e tempestoso. Ora era come il bubbolio di un temporale lontano. Gli uomini caddero in ginocchio cercando di tapparsi le orecchie con il palmo delle mani. Il boato divenne sempre più vicino. Come il rombo della terra sconvolta dal terremoto.
Poi li videro venire da una galleria sotto di loro. A migliaia, in fila indiana. Esseri incappucciati avvolti in sudari neri. Camminavano in una lenta, lugubre processione, borbottando adagio una litania oscura ed incomprensibile. I cappucci, che ricoprivano completamente il capo, recavano sul davanti le tracce di un volto demoniaco: due buchi vuoti per gli occhi, uno per il naso e uno per la bocca. Erano fori tondi, tutti e quattro perversamente uguali l’uno all’altro. Eppure, gli uomini compresero subito che quegli esseri non avevano occhi, non avevano nasi, non avevano bocche. Erano spettri, a cui l’unica forma umana veniva data da quei flaccidi sudari neri, sinistramente uguali l’uno all’altro, che ricoprivano ossa che erano state rifiutate e carni che erano state ripudiate. Volontariamente. Con il suicidio.
Erano i Mani. Gli orribili non morti che risalivano dal ventre degli abissi perché forse, quella notte, avrebbero mangiato. Mangiato carne. Umana.
L’ antico angelo guardò le povere creature dolenti, in piedi, di fronte a lui, e sollevò in alto le sue sconce appendici: – E’ ora di pagare il prezzo della vita di Baduilla. – Disse con la sua voce monotona ed incolore. Poi si fece innanzi.
Gli uomini capirono e chiusero gli occhi.
Il primo degli incappucciati si fermò dinanzi allo sciamano che li attendeva, con le luride appendici spalancate in un abbraccio. Gli altri si arrestarono alle spalle del primo: ad uno ad uno; l’uno dopo l’altro; in silenzio; fino a che la loro moltitudine non riempì completamente l’enorme caverna dalle colonne più splendide di quelle di una cattedrale.
Lo sciamano attese che anche l’ultimo dei Mani sospendesse il suo moto. Dietro di lui, i venti uomini aspettavano nel più cupo terrore. Poi ruotò di circa novanta gradi verso destra e avanzò ancora, fino a raggiungere una parete dalla quale sembrava provenisse la luce che illuminava tutta la caverna. Si portò il flauto alla bocca e modulò una nota: così acuta da ferire le orecchie.
Alla sua sinistra, salì sommessamente il sordo bubbolio dei non morti. Una specie di litania malvagia, che evocava presenze di cose oscure e innominabili, ma ormai vicine.
Alla sua destra gli uomini nudi, inginocchiati sulla nuda terra, continuarono a tremare, con le mani strette sulle orecchie e le palpebre serrate, per non udire e non vedere l’oscenità che essi stessi avevano evocato.
- I Mani vi ringraziano, fratelli. Siate un buon pasto, per loro. Perché sarete il primo dopo molti secoli.-
Fuori, nella valle, la battaglia era già iniziata. Tra poco l’accampamento dei Goti sarebbe stato divorato dalle fiamme e Baduilla sarebbe scomparso nel nulla, sul suo destriero fiammante.
Lo sciamano ruotò su se stesso e volse le spalle al banchetto dei Mani. Per lui, che una volta era stato un puro spirito, era ancora difficile accettare la bramosia di carne e sangue che devastava i demoni inferiori.
Lui desiderava solo le anime.
Si inginocchiò sulla nuda pietra rannicchiandosi su se stesso. Improvvisamente, la terra al di sotto del corpo deforme spalancò le sue fauci e il Traghettatore si lasciò cadere giù, nel profondo degli abissi.
Per il momento, la sua missione era compiuta. Poteva riaddormentarsi nel suo sonno da incubo fino a che, altri uomini desiderosi di vendere la loro anima, non lo avessero richiamato dalla profondità delle tenebre.
Maria Cristina
9 dicembre 2007 alle 11:10 am
Ciao Maria Cristina. Ben scrito, come gli altri tuoi racconti horror. Forse un po’ troppo breve: c’erano diversi elementi che avresti potuto sfruttre meglio, con qualche riga in più
9 dicembre 2007 alle 1:27 pm
Hai ragione, Andrea. L’originale era lungo circa il doppio, ma ho dovuto dimezzarlo per rientrare nelle battute richieste dal concorso. Hai ragione anche per quanto riguarda gli spunti. L’originale costituisce il prologo di un romanzo abbastanza sostanzioso, al quale ho lavorato per diversi anni, e che dovrebbe uscire in estate, dato che, finalmente, ho trovato un editore che non mi spenna.
10 dicembre 2007 alle 2:05 pm
Bello anche questo. Cupo e tremendo. Tagliare per i concorsi è cosa umana, chi di noialtri miserrimii e sconosciuti autori non l’ha fatto? Ma addirittura dimezzarlo… mi pare un delitto! Comunque complimenti di nuovo. Ho l’impressione che nella tua testa ci sia un gran ribollire di idee, e hai una foga nella narrazione che io trovo sintomo di talento e di arte. Continua a postare materiale, per favore. Mi hai incuriosito e non è cosa semplice
14 dicembre 2007 alle 11:01 am
Bello come tutti i suoi predecessori! Il fascino per me sta nel fatto che l’orrore ce lo possiamo ritrovare anche “sotto casa”, senza dover scomodare personaggi o eventi al di fuori dello stivale…
30 gennaio 2008 alle 2:18 pm
Vero, c’è tanto potenziale orrore “stivalico” che non serve sconfinare nella Nuova Inghilterra di Lovecraft o nella Transilvania. Pensiamo ai racconti e ai romanzi di Eraldo Baldini, ambientati tra Po, Adriatico e Appennino Tosco-emiliano. L’orrore può annidarsi a Providence come a Codigoro.