“Dacci oggi il nostro orrore quotidiano”

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Dedicato ad Attila

Pubblicato da mariacristina il 8 gennaio 2008

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Dedicato ad Attila


 


XXXXX 4 gennaio 2006


 


Cara Silvia,


                        Attila se n’è andato.


Lo ha fatto in silenzio, senza  rumore. In maniera discreta, come era sua abitudine. Papà mi diceva che era un gatto riservato. Era vero. Per molti anni è stato una presenza impalpabile e quasi invisibile nella mia vita. Ma è stato anche l’essere più bello e tenero che abbia mai incontrato.


Lo so che è da tanto  che non ti scrivo. Non sono stata una buona sorella, per te. Avrei potuto telefonarti. Ma a che sarebbe servito? La telefonata non è catartica. Non ti dà abbastanza tempo per elaborare il tuo dolore.


E poi non so ancora che tipo di dolore sia, il mio.


La verità è che sono piena di rabbia. Tanta rabbia. E di rimorso, anche.


Ero partita, e lui non mi ha aspettato, per morire.


Se ne è andato due ore prima che io tornassi.


 Quando sono entrata nello studio della veterinaria, ho visto solo una piccola scatola di cartone chiusa dal nastro adesivo. L’ho aperta, e dentro ci ho trovato lui. O meglio, quel che ne restava. C’era il suo corpicino di gatto vecchio e malato. Era rigido e freddo. Aveva la guancia sinistra rasata. La pelle era gonfia e tumefatta. Ho toccato quell’escrescenza maligna e ho fissato la dottoressa Rondini dritto negli occhi.  Si è stretta nelle spalle: – E’ un tumore. Aveva un tumore del cavo orale. Succede ai gatti vecchi. Ma non è stato il cancro ad ucciderlo. E’ morto di stenti. E’ morto perché non ne poteva più della sua vecchiaia.-


Annuisco col capo e mi volto di nuovo a guardarlo. Gli stringo tra le mani la rigida zampina anteriore e mi chino a baciarla. Poi gli sollevo la testina e gli do un bacio sulla fronte felina. Le mie lacrime bagnano il musino freddo.  E’ duro e gelido come un pezzo di marmo e il mio amore non riesce più a scaldarlo.


-         Ciao, Attila, ci rivedremo- gli sussurro lasciandolo andare per sempre.


Mio marito è dietro di me. Trattiene a stento le lacrime. Gli uomini sono più abituati a contenere il dolore. – E’ sereno – mi dice. –Se ne è andato senza soffrire.-


La veterinaria annuisce. – E’ morto improvvisamente, proprio quando sembrava che si fosse ripreso.-


Richiudo la scatola con il nastro adesivo e passo in ufficio. Devo saldare il mio conto. Sette giorni di clinica, flebo, antibiotici . . .  tutto inutile. Era troppo vecchio e malandato. Lo so che doveva andarsene, ma poteva almeno aspettare che tornassi.


- Dobbiamo farlo bruciare- mi ha detto Luca con voce dura.
Ma io non ne ho voluto sapere. Ho richiuso la scatola di cartone nella quale lo avevano sistemato  e me lo sono portato via. Da sola. Ci sono dei giardini vicino casa. Lo seppellirò lì, visto che non posso metterlo nella tomba di famiglia. Lo voglio vicino. Non sono ancora disposta a lasciarlo andare.


Mio marito è molto contrariato. Sono tornata a casa lurida di terra, con le unghia spezzate e le dita nere e sanguinanti. Ho scavato con le mani. Non sapevo che altro fare.


Ho pianto tutta la notte. Ma devo contenere il mio dolore. Domattina si torna al lavoro. Nessuno ti dà un giorno di permesso per  la morte di un gatto, anche se tu lo amavi come se fosse stato il tuo unico figlio.


         Ciao Silvia,  a presto,  


                                             Laura


 


 


XXXXX 4 febbraio 2006


Cara Silvia,


E’ passato un mese ed io sono sempre più triste e disperata. Fuori è freddo e umido: spesso piove, ma  passo gran parte del mio tempo accucciata sull’erba bagnata, accanto a un piccolo tumulo di terra.


Mio marito mi ha lasciato alcuni giorni fa. E’ andato a vivere a casa di un amico. Dice che sono caduta in uno stato di follia. Che non tornerà fino a che non la smetterò con la pazzia del gatto.


Non mi interessa. A me va bene così. Tutte le volte che siedo accanto alla sua tomba, mi sembra di vederlo, di sentirlo mentre fa le fusa o mi chiama con il suo miagolio roco. Sono sicura che lui è ancora con me. Quelli che abbiamo amato non  muoiono mai, ma continuano a vivere nel nostro cuore. Sempre. Me lo ha insegnato la mamma. Ricordi?


Solo che, per una donna, è difficile vivere da sola. Da quando mio marito se n’è andato, i vicini si comportano in maniera strana. Sono improvvisamente diventati maleducati ed aggressivi. Oggi quello del piano di sotto mi ha fatto una scenata perché facevo rumore. Camminavo dentro casa con le scarpe. Ma erano solo le sette del pomeriggio . . . Mica si va a dormire a quell’ora?


Mi sono sentita tanto sola e disperata . . .  abbandonata . . . Mi sono addormentata piangendo quando, ad un tratto, sono stata svegliata da un contatto indefinibile sulla pelle. Ho sentito un familiare miagolio roco, poi due narici umide si sono posate sul mio viso. Ho aperto gli occhi e ho acceso la luce. Attila era sul letto e mi fissava, con il suo solito sguardo tenero ed adorante. Solo che i suoi occhi erano di un colore strano . . .  Erano sempre gialli, ma di un giallo simile al colore della terra.


Ho tentato di accarezzarlo, ma lui è saltato giù dal letto ed è corso via. L’ho cercato per tutta la casa, ma  non c’era. Eppure, ti giuro che non è stato un sogno.


Ti bacio, a presto,


                                     Laura


 


 


XXXXX 5 febbraio 2006                mattina


Cara Silvia,


stamattina presto sono stata svegliata da un grande fracasso di gente che andava e veniva nell’appartamento al piano di sotto. Mi sono affacciata sul pianerottolo e ho cercato di dare un’occhiata. Tu non ci crederai, ma credo che sia capitato qualche cosa di brutto a quell’energumeno che ieri sera mi ha fatta piangere. Sembra che l’abbiano sgozzato ed accoltellato in più punti. La signora Dolcini dice che l’hanno ritrovato in una pozza di sangue. C’era sangue schizzato dappertutto: sulle pareti, sui mobili, sulle porte, sulle finestre . . . Qualcuno aveva anche iniziato a mangiarlo. Parti molli e cartilagini.  Che orrore! Non che non se lo meritasse . . . . Adesso devo andare al lavoro, altrimenti quello stronzo del mio capo . . .  Poi andrò a trovare Attila. Gli voglio  parlare.


A presto. Ti bacio.


                                   Laura


 


 


XXXXX 5 febbraio 2006             ore 11 della sera 


Cara Silvia,


                        ho trascorso una gran brutta giornata, al lavoro. C’è un’idiota leccaculo, la signorina Adriana, che cerca di farmi le scarpe. Oggi, alla riunione dei dirigenti non sono riuscita ad aprire bocca per dire la mia. Quella strega mi ha sistematicamente aggredito ogni volta che cercavo di parlare.


E poi . . .  vedessi come guardava il capo . . . Se la intendono. L’ho capito che stanno cercando di farmi fuori. Lei vuole prendere il mio posto. Ma, se mi licenziano, che faccio? Sono una donna sola. Ho bisogno di lavorare.


E poi, lo sai,sorellina mia, che Luca ha un’altra? E’ per questo che se ne è andato di casa . . .  Non perché io fossi fuori di testa . . .


Tutto ciò è orribile, non è vero? Ma tieniti forte. Non conosci ancora il peggio.


Verso le sei del pomeriggio, sono passata ai giardini. Ho trovato la tomba profanata. Qualcuno aveva scavato e aveva estratto quel che rimaneva dello scatolone dalla terra umida. Ma Attila non c’era. Mi sono inginocchiata, ho acceso la torcia elettrica che porto sempre con me e l’ho cercato ovunque, percorrendo carponi, centimetro per centimetro, ogni metro quadrato dei giardini deserti.


Sparito.


C’era solo un vecchio. Molto vecchio: malconcio e senza denti. Un tipo strano. Si è avvicinato. Figurati che ha anche cercato di consolarmi. E’ stato orribile. Mi ha detto che spesso, in quella zona, scavano i tombaroli. Era un antico terreno di sepoltura etrusco.


Sono corsa via, disperata. Forse avrei fatto meglio a bruciarlo e a disperdere le sue ceneri. Dove riposa, ora, il suo tenero corpicino?


Non so se ti scriverò ancora. Voglio morire.


                                                                         Laura


 


 


 


XXXXX  6 febbraio 2006


Cara Silvia,


                       non ci crederai, ma anche stanotte Attila è tornato. L’ho sentito sfiorarmi il viso con la sua lingua ruvida. Ho allungato la mano e ho percepito la sua pelliccia  ispida e sporca di terra tra le mani. E pensare che una volta era così morbido . . . .


Ho acceso la luce. Sparito nel nulla.


Ma non è finita qui. Alle sette e trenta sono arrivata in ufficio. Un casino. Volanti della polizia in ogni dove. Sono stata fermata da due agenti in borghese che mi hanno fatto un sacco di domande.


Sembra che qualcuno, stanotte, abbia sgozzato la signorina Adriana ed abbia iniziato a divorarla. Hanno arrestato il capo.  Lo hanno visto entrare con lei, in ufficio, alle undici della sera precedente. Che si tratti di un delitto passionale? Può darsi. Ti amo tanto che ti vorrei mangiare. Ne stanno succedendo di tutti i colori, ultimamente.


Intanto, alla sede centrale mi hanno chiesto di dirigere l’ufficio, almeno per un po’. Ho risposto di sì.  La cosa mi rende contenta, anche se ho il cuore oppresso. Che ne è stato di Attila? Chi è quel mostro che ha trafugato la sua piccola salma?


Ti saluto, qui c’è tanto lavoro ed è pieno di poliziotti che si aggirano, rendendoci la vita difficile.


A presto,


                   Laura


 


 


XXXXX  7 febbraio 2006


Cara Silvia,


                       non so che dirti. Sono profondamente perplessa. Felice ma perplessa. Ieri sera sono tornata a casa dall’ufficio molto tardi  (Capirai, con tutto il casino che c’è stato . . .  E poi, adesso, sono io la responsabile . . .)  e ho sentito che non ero sola. Ho cercato sotto i letti e frugato nel fondo di tutti gli armadi. Niente. Ma non ero ancora soddisfatta. Così, sono andata nel ripostiglio. Ci sono quintali di roba vecchia ammassata in quel posto. Luca ed io avremmo voluto fare un repulisti. Ma sai come sono andate le cose.  Ad un’estremità  c’è un grande scatolone pieno zeppo di giornali. Li raccoglievo dappertutto. A volte li mendicavo. Mi servivano per Attila, da quando era diventato incontinente.  Ho iniziato a svuotarlo, lentamente e con il cuore in gola.  Nascosto sotto tutta quella carta, c’era lui. Il mio gatto amato ed adorato, raggomitolato stretto stretto su se stesso, che si copriva gli occhi con le zampine anteriori. Ho capito che la luce gli arrecava sofferenza. Allora ho spento la lampada dello sgabuzzino e tutte le luci della casa. Sono andata a sedermi sul divano ad aspettare. Dopo dieci minuti è arrivato, come al solito, impastando con le zampette e ronfando a tutto volume. Ho allungato una mano per accarezzarlo. Aveva la pelliccia ispida e indurita. Incrostata. Emanava uno strano odore, di terra umida e marcescente, e di altro che non saprei dire. Quando ha avvicinato il suo musino al mio viso, ho sentito che aveva un alito strano. Dolciastro. Sapeva di sangue.


Mio Dio . . .  In quel momento ha telefonato Luca. Mi ha detto che voleva il divorzio. Gli ho risposto che non ero d’accordo. Devo anche avere pianto. Quando ho chiuso il telefono Attila mi è venuto vicino, la testa contro le mie gambe. Al buio, i suoi occhi brillavano di una luce strana e fluorescente.


Prima di andare a dormire, ho aperto una delle sue scatolette preferite e gliel’ho servita, ma non ha voluto mangiare. Anzi, ha allontanato il capo dal cibo di scatto, come se gli desse fastidio. E dire che ne andava ghiotto.


Ora sono a letto e mi sento molto triste. Penso a Luca e alla sua richiesta di divorzio. Credo che sia stato crudele. Molto crudele. Ma sono preoccupata. Non vorrei che gli succedesse qualcosa. Da qualche giorno, quando litigo con qualcuno . . . . .  lasciamo stare, non ci voglio pensare.


E poi ho un altro problema. Attila è sparito. Dove sarà andato, il mio piccino, nel cuore della notte?


Ciao, Silvia, sono stanca.


Un bacio                                     Laura


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

6 Commenti a “Dedicato ad Attila”

  1. emmaus 2007 dice:

    Cara MariaCristina, sono particolarmente sensibile verso i racconti che hanno per protagonisti i gatti (forse te l’ho già detto che ne ho sette!), quindi i tuoi li leggo sempre con piacere. Scrivi bene, senza errori, in un lessico scorrevole. Che altro dire? Spero che nessuno dei miei gatti, quando verrà la sua ora, resusciti, andando a scannare chi mi sta antipatico…
    Brava! Alla prossima! Ciao!

  2. Meled dice:

    L’ho letto d’un fiato!
    Bella la prosa. Bella la storia. Originalissima l’idea delle lettere.
    Un piccolo gioiello. veramente.
    Complimenti!

  3. Diego dice:

    Praticamente perfetto. Scusa se sono così sintetico ma davvero non ho altro da aggiungere. Mille complimenti.

  4. wildant. dice:

    caspita…ora guardo i miei due gatti con occhi diversi…
    quasi quasi glielo leggo ad alta voce…si sa mai…. eheheh
    brava, mollto ben fatto.

  5. maria cristina dice:

    Vi ringrazio per avere letto il mio racconto e per i gentili commenti. Il fatto è, che a cinquanta metri da casa mia, esiste veramente un bel giardino dove gli abitanti del quartiere portano a seppellire i loro animali. La gente non ci pensa, ma quell’area è rimasta verde solo perchè si tratta di una zona archeologica: un sito di sepoltura etrusco, per l’appunto. Quanda Attila è morto, ero così disperata che, memore di “Pet cemetry” ci ho provato. Ma non è andata bene. In realtà non è più tornato. Come volevasi dimostrare.
    ciao ciao a tutti macrina

  6. chris84 dice:

    Bello davvero questo racconto, anche se forse data la sua brevità, il mistero del gatto che resuscita si dipana troppo velocemente…Avrei preferito più suspence… In ogni caso davvero carina l’idea del gatto “vendicatore” e del racconto epistolare!

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