Corpi – Capitolo 2 di 3
Pubblicato da mikelee il 28 settembre 2010
Non c’era nulla di sbagliato in quello che stavano facendo. Di questo ne erano sicuri. Seguire il proprio intuito è la vera maturità, il segno di un ritorno alla genuinità della vita, alla sua primordiale natura. Troppe volte ci si dimentica del linguaggio sottile che pervade ogni essere, uomo compreso.
L’intuito è l’energia che muove un corpo verso un altro, che ci fa cambiare strada quando non capiamo il perchè, un fiume sotterraneo che rimane il più delle volte inascoltato, sommerso sotto coltre di informazioni, inquinato dalla cultura, dalle abitudini di una vita, minuscole schegge di spontaneità che giacciono esangui tra saluti scontati.
Aveva fatto bene ad accettare la provocazione del thè verde alla menta. Un locale in legno, due tavolini, qualche incenso, incastrati uno negli occhi dell’altra, dibattevano se fosse possibile o meno per l’ego trovare la morte.
Le piaceva argomentare su questi temi e le ore passavano trasportate come foglie sulla superficie di un fiume.
Non la pensavano allo stesso modo, ma era proprio questo che la stuzzicava. Questo trovarsi in un mondo sommerso, nuove porte spalancate alla coscienza. Gli piaceva veder ribaltata la sua parte razionale, venir condotta su ragionamenti sterrati cui non era abituata.
Lei, così irremovibilmente cinica nelle sue scelte, così spietata verso i suoi obiettivi da non credere veramente di poterli raggiungere. Lei, biologicamente protesa verso il senso di appartenenza, si sentiva attratta proprio da un uomo che certezze non dava.
Lui, così pacatamente calmo. Mai un accenno di sbilanciamento, lucido anche in un mare in tempesta, così sicuro dell’insicurezza della vita. Affabile, paziente, era capace di rovesciare in assurdo anche la logica delle evidenze.
Un gioco delle parti in cui nessuno era disposto a perdere, a cedere di un solo millimetro.
Come può l’ego essere sottomesso, lei gli domandava? Non era possibile, a suo dire, estirpare un cancro tanto grande dall’uomo, l’ego che tutto controlla e tutto decide. A quegli attacchi frontali, lui sembrava non scomporsi, non stupirsi, come se schivarli per ribaltare la loro forza contro chi la scagliava, fosse la cosa più naturale e semplice da fare.
Seguirono per ore, lanciandosi parole come fossero oggetti e desideri come fossero accuse, facendo l’amore con i verbi prima ancora che con i corpi, intrecciando frasi e opinioni, accarezzando certezze e addossandosi responsabilità.
Alla fine lei appariva stremata, ma era una combattente disposta anche a cedere l’apparenza della sconfitta, per la gioia sublime della vittoria.
Un sibilo del vento li riportò entrambi al momento presente. Lui prese coraggio. Con una mano la accompagnò dolcemente in posizione prona. Lei si mosse lentamente, lasciandosi guidare dalla maestria della sua mano. Aveva intuito che si trattava di mani esperte, consapevoli di ciò che meritavano.
La poca luce del camino la investiva in pieno volto mettendo in risalto i dolci lineamenti delle guance. Mamma mia quant’era bella! Solo ora si rendeva conto dei suoi occhi color nocciola, le sopracciglia curate, il contorno carnoso delle sue labbra, il nasino che si incastonava in quel viso angelico come un topazio in un anello. I capelli lunghi e neri, adagiati sulle spalle, coprivano leggermente il viso a cui non restituivano il giusto valore.
La curva delle natiche, esaltata dalla calda penombra del fuoco, dava l’idea di assistere ad un’eclissi lunare per la deliziosa rotondità.
Lei accennò un sorriso, e il cuore sembrò bloccarsi quando vide formarsi due fossette proprio accanto ai bordi delle labbra. Era troppo per lui. Sentiva di scoppiare, incapace di contenere l’energia donata da quella visione.
Il suo eccitamento crebbe. Si mise a cavalcioni su di lei all’altezza del bacino. Il suo sedere era soffice, morbido, accogliente. Aveva sempre amato quelle piccole concavità che si creano all’altezza della zona lombare quando ci si inarca leggermente. In lei erano simmetriche, due piccoli punti, che, come nel simbolo del Tao, rimarcano il concetto che ogni realtà ha in sè il suo complementare.
Poggiò i palmi esattamente alla base della spina dorsale, sopra il bacino, unendo poi il dorso dei pollici ed aprendo le mani a coppa, lateralmente. Ebbe un fremito, quasi impercettibile, ma non al suo tatto che lo registrò immediatamente.
Affondò le dita nella pelle vellutata, e da lì, con un intenso ma dolce tocco, risalì lungo la colonna vertebrale fin sotto la nuca. Sentì il suo femminile corpo vibrare di felicità.
Senza darle la possibilità di abituarsi a quella emozione, invertendo il senso, ridiscese sino al bacino tracciando con la sola punta dei polpastrelli 10 linee verticali perfettamente parallele, partendo dalla nuca, le spalle, trapezi, dorso, fianchi e natiche.
Vide la bocca aprirsi leggermente, gli occhi socchiudersi, seguiti da una profonda ma non rumorosa inspirazione sospesa a mezz’aria, tra piacere e dolore. Non si fece tanto pregare e bissò l’intensità di quel gesto dimezzando però, la velocità del movimento. D e l i z i a…
Voleva insegnarle, come nel bar, che il miglior modo per vincere è l’arte della cedevolezza. Una lezione, evidentemente, non perfettamente digerita. Aggrapparsi ad una resa sarebbe stato più saggio, e opporsi, avrebbe solo prolungato ulteriormente “l’agonia”.
Lei era reticente. Non voleva mostrarsi per ciò che era, debole, indifesa, generosa, come tutti coloro che si celano dietro un apparente forte carattere.
Aveva sì ceduto alla battaglia verbale, ma non avrebbe mai accettato di perdere nel campo dei sensi, i quali, costantemente allertati dal trattamento “subito”, sbalzavano l’attesa verso quote insostenibili, cercando di cristallizzare speranze, tacendo gli impulsi.
Lui, grazie alla disciplina orientale che praticava da anni non avrebbe mai immaginato potesse tornargli utile anche in certe occasioni.
Non aveva alcuna fretta. Fuori la neve aveva oramai invaso strade, vicoli e ovattato suoni. Voleva solo farla morire, quella sera. Solo dedicarsi a lei.
Il tempo e il silenzio gli avrebbero dato ragione.
La vita si porta via tutto. Era inevitabile che la luce del mattino avrebbe ucciso anche quella relazione, come erano entrambi coscienti. Ma la loro memoria non avrebbe rivendicato alcun che, di questo ne erano sicuri.
La esplorava con la mano, stando però attento, a rimanere a pochi centimetri dalla sua pelle, giusto per farle appena avvertire quella sensazione di calore che emana un palmo. In primis fu il viso, poi il viaggio continuò attraversando le spalle, i seni, i capezzoli, l’addome, il ventre…le gambe, le caviglie.
Ogni tanto, lungo il percorso, quasi a voler lasciar traccia dei suoi passaggi, la sfiorava appena con la punta di un polpastrello, senza però fermare la sua inarrestabile corsa.
Lei, aveva gli occhi totalmente chiusi come a voler gustare ancora più a fondo quell’invisibile tocco. Il suo viso cambiava subito espressione a seconda della zona interessata. Rilassato, sorridente, deliziato, contratto, estasiato.
La osservava cercando di captare il segreto e i messaggi nascosti dietro ogni spasimo, assecondandolo, sottolineandolo, e a volte, rifuggendo.
Il suo calore era avvertito, la sua pignoleria e solerzia premiata dal suo respiro, che sentiva più gravoso,…cresciuto, partecipe.
Tutto in lei era attesa. E lui, era lì per farla durare all’infinito…to be continued
30 settembre 2010 alle 10:41
Corro a leggere il seguito. Qui non c’è molto da criticare…
Occhio però che ti è scappato un “gli” al posto di “le”.
30 settembre 2010 alle 15:41
Ops..grazie!