Tramonto, Aurora e Garibaldi
Pubblicato da nihil il 22 dicembre 2008
Tramonto, Aurora e Garibaldi
Garibaldi si lasciò scivolare sulla balza d’erba, suo posto preferito per ammirare il paesaggio laggiù nella valle. In realtà si chiamava Antonio Macrì, ma poiché portava solo camice rosse, in paese lo avevano chiamato Garibaldi e la convinzione che quello fosse veramente il suo nome si evidenziò persino sulla sua lapide, pagata dal comune, d’accordo maggioranza ed opposizione.
Garibaldi era uno capitato nel paese di Caldara, ci si era accomodato, viveva di poco o nulla facendo piccoli lavori, dormiva in un fienile abbandonato e non si lamentava mai. Nessuno sapeva chi era in realtà, perciò visse gli ultimi anni chiamandosi Giuseppe Garibaldi è morì arbitrariamente con tale nome.
Ma questa è un’altra storia.
Garibaldi quel giorno, seduto nel suo posticino preferito, cercava di contare le nuvole e alla fine giunse ad una profonda verità: non importa viaggiare per conoscere nuovi posti o panorami, basta sedersi e guardare. Luci, ombre, tramonti e nuvole saranno sempre diverse, mai nel dipanarsi del tempo si avrà un panorama uguale, non dico al giorno prima, ma nemmeno all’ora prima. Di conseguenza si avranno tanti panorami quanti sono i minuti in un secolo o di un’eternità.
Come avrete capito, Garibaldi era un tipo contemplativo e ragionava da solo sui massimi sistemi trovando soluzioni creative.
Immerso nella sua contemplazione, con un filo d’erba tra le labbra e tra le mani un ramo secco ma robusto che gli serviva da appoggio, sentì avvicinarsi una comitiva di turisti. Aveva voglia di chiacchierare e comunicare a tutti la sua più recente scoperta, quella appunto sul panorama, ma i turisti lo precedettero nel tema della conversazione.
-Buongiorno, lei è di qui? Sa dirci come si chiama questa valle e quelle montagne laggiù?
-Certamente, ma vi posso solo dire il nome che hanno preso dalla leggenda, non quello che c’è sui libri.
-Quale leggenda?- chiesa una ragazzina di circa 12 anni, grassottella e dall’aspetto pacioso.
-Come ti chiami ragazzina?
-Angela e lei?
-Garibaldi, e se vi sedete qui accanto a me vi racconterò tutta la storia
I turisti erano accaldati e stanchi, il panorama era splendido e tutti si sedettero per fare merenda, offrendo a Giuseppe un panino e una gazzosa.
L’uomo mangiava in silenzio e pensava: “Cavoli questi si sono seduti davvero ed ora cosa gli racconto? Accidenti alla mia voglia di chiacchierare. Urge invenzione!”
Con la mano nodosa si lisciava la lunga barba, cercando nel gesto coraggio ed inventiva.
-Vedete quella cima laggiù? Si chiama Aurora e quell’altra Tramonto. La valle invece si chiama Amore.
-E come mai?- chiese Angela già carpendo una storia romantica dal senso di quelle parole.
-Accadde un tempo, tanti anni fa, che da queste parti vivesse un grande saggio che si chiamava Wilfred.
-Seeeh , cosa dice mai, siamo in Sicilia, come fa uno chiamarsi Wilfred!- disse Ruggero, quello che distribuiva panini.
-Signore, questa è una leggenda, mica storia vera, perciò…-. E nel frattempo pensava che nome cretino si era inventato- dunque dicevo che il saggio viveva come un asceta, per tutta la sua vita aveva cercato di spegnere qualunque desiderio per raggiungere la vera libertà dalle cose terrene e raggiungere la santità. Da giovane questa ricerca gli era pesata molto, specie la rinuncia alle donne e di conseguenza all’amore. Ora era vecchio e scheletrito e, diciamo così, l’unica sua vanità era di essere riuscito a rinunciare a tutto. Mangiava e beveva quel tanto che era dovuto alla sopravvivenza, vestivo una pelle di capra e passava il tempo a contemplare la natura cercando in essa il senso profondo della creazione.
Un giorno, mentre contemplava il monte, quello lì a destra, che era tutto illuminato dal sole del tramonto, vide passeggiare su un sentiero una splendida ragazza.
Era bella, dalla pelle bianca come la luna e i capelli rossi come il sole. Le labbra rosee gli ricordavano l’aurora e gli occhi verdi sembravano un prato di primavera-
-Ma cos’era, una bandiera? – bofonchiò Ruggero sogghignando.
-Rida, rida, signore, questa è la leggenda, mica l’ho inventata io!- rispose piccato mentre si sarebbe dato una botta in testa perché non sapeva come continuare.
Si arrampicò allora sui ricordi delle vecchie storie che gli aveva raccontato sua nonna e cercò di cucire qualcosa di plausibile.
Non sia mai che Garibaldi venga sfottuto da una comitiva di banalissimi turisti, pensava, lui aveva un nome famoso da difendere, perbacco!
-Wilfred fu colpito a morte dall’amore proprio quando era ormai certo di aver raggiunto la pace dei sensi, di qualunque senso si trattasse, e di essere prossimo a vivere il paradiso in terra senza bisogno di essere morto. Non avere desideri, secondo Wilfred, significava la libertà dal bisogno di soddisfarli, ovvero la libertà con la lettera maiuscola.
Da parte sua la bella fanciulla fu assai colpita dallo sguardo di adorazione del vecchio, anche se il suo aspetto macilento e sofferto facevano lievemente ribrezzo.
La Principessa Lorena, perché questo era il suo nome, ( Garibaldi andò sul liscio scegliendo il nome della nonna) capì che l’amore del vecchio era puro come nessun altro. Lei era abituata ad essere corteggiata e amata da principi e nobili, tutti volevano qualcosa da lei, tutti ambivano al suo castello, alle sue terre, al suo corpo, ma nessuno l’aveva mai desiderata con amore vero. Mai nessuno l’aveva guardata come Wilfred.
Andò a finire che tutti i giorni il vecchio saggio e la bella principessa si ritrovavano tacitamente nello stesso posto ma si guardavano da lontano senza parlare. Ognuno alimentava i propri sogni domandandosi se ciò fosse giusto.
Dopo tanto tempo Wilfred decise che non ci sarebbe stato nulla di compromettente se per una volta le avesse rivolto la parola, non avrebbe certo perso la sua saggezza e se il destino gli aveva fatto incontrare la principessa un motivo ci doveva pur essere.
Lorena dal canto suo pensava che lasciare il mondo fatuo e ingannevole per il vero amore, sarebbe stata una cosa meravigliosa. Non avrebbe rimpianto la pochezza dei suoi corteggiatori.
Quella sera quindi si trovarono sul solito sentiero, era giunta l’ora delle decisioni irrevocabili! -
A questo punto Garibaldi si ricordò dove aveva già sentita quella frase, ma ormai non poteva tornare indietro e guardò di sottecchi i turisti per capire se avessero afferrato la stonatura.
Se Ruggero se ne accorse, non lo dette a vedere e Garibaldi continuò.
-Dunque, i due si avvicinarono come per abbracciarsi, ma Wilfred era troppo innamorato per riuscire a parlare, si vide qual’era e considerò che non poteva legare a sé, un povero vecchio rinsecchito, una così splendida ragazza.
Lorena dal canto suo capì che se lui l’avesse amata, sarebbe stato privato del suo paradiso terreno e futuro, tutte le rinunce fatte sino ad allora sarebbero state vane. La sua vita avrebbe perso il senso delle sue scelte e sarebbe diventato un uomo come tanti.
I due quindi si sfiorarono appena con un ultimo sguardo struggente d’amore e poi si allontanarono ognuno per la sua strada, compiendo il più grande sacrificio che si possa immaginare: rinunciare all’amore per amore.
Questa storia colpì il popolo che tutto aveva indovinato e chiamò un monte Tramonto in onore del vecchio e l’altro Aurora per ricordare la giovane. La valle ebbe il nome di Amore, perché li unisse per sempre.
-Accidenti, come leggenda è un poco truce- disse Angela, che guardava ora con occhi diversi le due cime e la valle nel mezzo.
I suoi occhi vedevano la scena dell’addio e come adolescente in carica riuscì pure a commuoversi.
-Che cosa romantica!- disse Rosalia, la madre di Angela, soffocando l’emozione con un altro panino alla mortadella.
Ruggero accese una sigaretta, ma pareva poco convinto.
Garibaldi spremette due lacrime di commozione perché questa storia detta per i turisti, improvvisamente gli parve molto autobiografica.
Dopo i saluti e gli arrivederci di rito, la comitiva se ne andò ma quello che Garibaldi non poteva sapere era di avere gettato un seme speciale.
La leggenda, come tutte le leggende, si diffuse ed a Caldara iniziarono ad arrivare turisti sempre più numerosi decretandone la prosperità ed alla fine pure i paesani credettero nella leggenda come se fosse conosciuta da sempre..
Ogni caldarese che la raccontava ci aggiungeva qualcosa di suo e la storia diventava sempre più scintillante, incredibile e piena di nuovi particolari.
Solo il sindaco che spesso chiacchierava con Garibaldi, si ricordò di quanto lo stesso gli aveva riferito, tra una originale dissertazione sui massimi sistemi e un tradizionale bicchiere di vino rosso della casa.
Fu lui infatti che sulla lapide fece scrivere Giuseppe Garibaldi Benefattore.
Quindi, se passate da Caldara, ricordatevi che Garibaldi lì non c’è mai stato, ma Antonio Macrì, sì.
23 dicembre 2008 alle 1:00 pm
Bello! Davvero un bel racconto, di piacevole lettura. Complimenti! Ciao!
24 dicembre 2008 alle 10:32 am
Ciao Nihil,
come solito, nulla da eccepire!
Bella la storia dentro la storia, e quel tuo tono un po’ dimesso che dice cose profondissime con una semplicità disarmante.
24 dicembre 2008 alle 10:49 am
Grazie ragazzi, i vostri complimenti sono un regalo di Natale.
Un consiglio: vivete la giovinezza come vi pare, per diventare asceti c’è sempre la vecchiaia! :)) N.
25 dicembre 2008 alle 1:35 pm
Nihil, ho letto tramite la posta i tuoi commenti, e te ne ringrazio. Perdona il mio ritardo, è un periodo in cui ho troppo poco tempo per il pc, e non riesco mai a far tutto, e sto anche trascurando di scrivere… Non ho nemmeno letto il tuo pezzo per la stessa ragione. Ma ho in mente tutto, e tra breve avrò un po’ più di tempo e tornerò. Intanto… Buon Natale!
1 gennaio 2009 alle 5:58 pm
Ho letto il tuo breve racconto. Quanta bellezza in quella leggenda…!
E mi è piaciuto il gioco tra dentro e fuori, tra ciò che il personaggio dice e ciò che pensa, tra ciò che vuole apparire e le capriole interiori per riuscirvi.
Commovente la partecipazione dei paesani alla costruzione della leggenda, e dei turisti stessi col loro crederci.
23 gennaio 2009 alle 10:27 am
Grazie a tutti, i complimenti sono graditissimi. :)) N.
24 gennaio 2009 alle 7:26 pm
COMPLIMENTI NIHIL, RIESCI, CON LEGGEREZZA,AD AFFRONTARE ARGOMENTI PROFONDI E DEGNI DI RIFLESSIONE CHE AIUTANO A CAPIRE I VERI VALORI DELLA NOSTRA ESISTENZA. PENSO CHE DIETRO AD OGNI BOHEMIEN, CI SIANO DELLE RINUNCIE CHE A NOI POTRANNO APPARIRE INCOMPRENSIBILI ED INACCETTABILI, MA PER LORO SONO L’ESSENZA DELLA VITA. CHI LO SA SE IN FONDO ABBIAMO RAGIONE, PROPRIO PER QUELLA TEORIA FILOSOFICA A CUI ACCENNI NEL TUO SCRITTO: LA VERA LIBERTA’ E NON AVERE DESIDERI.