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DA UN DIARIO DI GUERRA di Ubaldina Mascia (tratto da un diario esistente ed inedito)

Pubblicato da novilunio il 19 aprile 2008

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La mattina del 9 settembre 1943, Giuseppe si alza di buon’ora per recarsi, come al solito, alla caserma dove presta servizio.
La moglie Bianca è ancora a letto, il piccolo Severino, di soli quattro mesi, l’ha tenuta sveglia per gran parte della notte. Lui la saluta con un tenero bacio, cercando di non svegliarla e non osa toccare il figlio nel timore che le urla, appena sopite, si ridestino impedendo alla madre di godersi un po’ di riposo.
Esce di casa con negli occhi il dolce quadretto della sua famiglia addormentata. Lungo la strada incontra dei colleghi che gli consigliano di non proseguire, altrimenti rischia di venire disarmato. Giuseppe è un uomo semplice e ligio al dovere. Nonostante l’avvertimento prosegue, pensando a chi mai potesse avere il coraggio di disarmare un militare in pieno giorno e sulla pubblica via, per cui non tiene neanche in considerazione quel consiglio, considerandolo un’assurdità.
Giunto a destinazione è costretto a ricredersi, perché davanti a ogni ingresso della caserma, oltre a esserci il normale servizio di guardia, si sono tedeschi armati di tutto punto. I soldati italiani, affacciati alle finestre, gli gridano di non entrare, perché una volta dentro non gli sarebbe più stato permesso uscire. Ma Giuseppe non li ascolta ed entra.
Nel giro di poche ore e dopo un intenso combattimento, la caserma è presa dal nemico e con la resa viene intimato a tutti i militari di consegnare le armi.
Giuseppe si sente umiliato, se fosse stato per lui non avrebbe mai sventolato la bandiera bianca e piuttosto che consegnare personalmente l’arma nelle mani del vincitore, l’abbandona in un angolo, non prima di averla privata dell’otturatore che getta nello scarico del gabinetto. Quel suo gesto non può cambiare molto la situazione, ma la consolazione che non saranno usate le sue cartucce per uccidere altri compatrioti lo fa sentite un po’ meno vinto. Adesso si trova nella condizione di prigioniero di guerra, con la moglie e un bambino casa da soli, forse ancora addormentati, ignari di quanto sta accadendo, senza nessun parente vicino che possa prendersi cura di loro. Giuseppe non si preoccupa per sé o di quale sarà il suo destino, bensì della sorte della sua famigliola e nei giorni che seguono non riesce a togliersi dalla mente questo tormento. La scena di loro due addormentati lo perseguita.
Bianca è giovane, ha solo ventiquattro anni ed è molto bella; lui, di quindici anni più vecchio, la ama moltissimo e, data la differenza d’età, la considera ancora quasi una bambina, l’ha abituata ad appoggiarsi a lui per ogni piccola cosa e adora viziare la sua giovane sposa.
Dopo tre giorni, che per Giuseppe trascorrono nella maniera più atroce, perseguitato da pronostici infausti e comunque pessimistici riguardo la sua famiglia, finalmente Bianca lo va a trovare e vedendolo tanto apprensivo lo tranquillizza, prima con baci e carezze e poi dicendogli che lei e il piccolo non sono soli. Suo padre, avendo sentito dell’accaduto, è venuto a vedere come stanno realmente le cose.
- Se chiedi il permesso, i tedeschi ti lasciano uscire! – esclama lei al colmo della felicità.
- E tu come lo sai? – chiese lui, accarezzandole il viso.
Sono sposati da un anno e mezzo e il loro innamoramento è ancora vivo ed appassionato, l’idea di poter stare insieme, nonostante la triste situazione, li eccita entrambi.
- Tanti lo hanno fatto, anche il marito di Luisa. Sono già partiti, non sono più in questa città –
Giuseppe pensa per un attimo a quanto sarebbe bello poter andarea casa con lei, spogliarsi della divisa e lasciare che la guerra la finiscano gli altri, ma sa che non potrebbe mai farlo e risponde con malinconia alla sua amatissima Bianca.
- Questo vuol dire disertare –
- Cosa ti importa? Lo stanno facendo tutti. Dicono che chi non scapperà sarà deportato in Germania –
Lui l’abbraccia. Aveva già sentito dire quale sarebbe stata la loro sorte e l’idea di essere tanto lontano lo angustia, ma non può disertare, lui è un uomo con il senso dell’onore, ha fatto un giuramento. E mentre sono abbracciati, sente il profumo di ‘Violetta di Parma’ di lei. La bacia e decide di chiedere quel permesso. Il Comandante tedesco, prima di concederglielo, gli domanda il nome, cognome e grado che trascrive in un registro. Poi con un sorriso lo congeda. Giuseppe è già sulla porta con il pensiero che va per conto suo dalla gioia, quando l’ufficiale gli grida qualcosa in un italiano stentato ma inequivocabile.
- Se non torni, dieci soldati kaput! –
E’ come se gli avessero sparato alla schiena, rimase un attimo immobile sulla porta, forse in attesa di cadere al suolo e pensa alle cartucce buttate nello scarico. Lo aveva fatto perché non fossero uccisi degli uomini, ma a cosa sarebbe servito se poi lui non fosse tornato? Di quelle cartucce buttate forse qualcuna si sarebbe inceppata, altre probabilmente sarebbero andate a vuoto, ma con la diserzione sarebbero andate tutte a segno, dieci vite di dieci ragazzi, spente per un suo atto di egoismo.
Bianca lo aspetta nel corridoio e vede la sua espressione sofferta.
- Ti hanno detto no? –
- Mi hanno detto si –
- Perché sei così triste? –
Di nuovo la stringe a sé, ma lei non sa del ricatto subito e pensa che lui sia dispiaciuto per il fatto che dovrà disertare, conosce la sua inflessibile integrità morale, cerca di consolarlo con parole affettuose, ma Giuseppe è costretto ad interromperla.
- Non uscirò dalla caserma, né oggi e neanche domani –
- Perché no? – chiede lei assalita dalla delusione che lentamente va trasformandosi in collera. Non è disposta a comprendere, è la prima volta che lui le rifiuta qualcosa.
- la tua divisa è più importante di me? Comunque se è così, se vorrai potrai tornare indietro… – aggiunge, cercando di convincerlo a uscire dalla caserma, pensando che una volta fuori sarebbe stato più semplice farlo decidere. Bianca non ha nessuna intenzione di lasciarlo deportare in Germania, è decisa ad impedirlo con tutti i mezzi, a costo di chiuderlo in un baule e spedirlo lontano, se lui avesse voluto continuare a fare l’eroe.
- La divisa non c’entra. Non me la sento di uscire, so che se esco non tornarò indietro e se non tornerò indietro… -
qui si interrompe, non osa neanche continuare per paura che lei possa spaventarsi, rendendosi conto che la guerra non è fatta solo di battaglie, ma specialmente di ingiustizie. Ma lei incalza e vuole sapere, non riuscendo a capire perché suo marito, che la ama tanto, ha deciso di non seguirla ed allora lui esce dal corridoio mentre Bianca lo segue incollerita e delusa come una bambina viziata davanti a un diniego, continuando a chiedere ed infine, nel cortile della caserma, Giuseppe si ferma e la prende per mano.
- Guardati intorno. Vedi tutti questi soldati? Secondo te, quanti anni hanno? –
Lei confusa continua a non capire, ma obbedisce e guarda i giovani lì intorno.
- Sono ragazzini, alcuni forse non hanno neanche vent’anni… -
- Se io non torno, dieci di loro saranno fucilati. Questo è il prezzo della mia libertà –
Lei ammutolisce e lo guarda con occhi smarriti. Poi decide che non è possibile, non farebbero mai una cosa tanto crudele, in guerra si muore solo combattendo, non perché un uomo qualunque ha deciso di togliersi dalla mischia per amore di sua moglie. Pensa al marito di Luisa già lontano ed al sicuro, se la minaccia fosse vera lui non sarebbe scappato, prima di andarsene l’aveva salutata ed era raggiante nella sua gioia. Le tornano in mente tutti gli altri che l’hanno fatto e scrolla la testa.
- Non lo faranno. Se la minaccia fosse vera, ci sarebbero solo morti in caserma. Se ne sono andati in tanti! –
- Forse hanno deciso di fare così perché chi è uscito non è tornato –
Bianca capisce che non riuscirà mai a convincere Giuseppe ad uscire, si sente impotente e prova rabbia nei confronti di suo marito. Tutte le qualità che fino a quel momento aveva apprezzato in lui ora le detesta e si sente molto sfortunata per avere sposato un uomo così caparbio da non capire che il loro amore è più importante di qualsiasi altra cosa. Non vuole essere la moglie di un eroe, ma di quell’uomo gentile ed affascinante, dolce ed appassionato, che viveva solo per lei e che in una giornata di pioggia le aveva detto che l’amava. E allora gli urla stizzita:
- E io? Io cosa farò senza di te? – poi scoppia in un pianto irrefrenabile. Giuseppe non può sopportare di vederla in lacrime e tenta di calmarla.
- Non sarai senza di me. Quelle che hai sentito sono solo voci di chi ha avuto paura e se anche fossero vere, non sarà per sempre: la guerra fi nirà prestissimo, tu nel frattempo, andrai con tuo padre e io verrò da te appena potrò –
- Adesso potresti! – grida Bianca tra le lacrime. Si scosta da lui indispettita ed aggiunge:
- Solo che tu non lo vuoi! –
- Non potrei mai vivere con il peso di dieci vite stroncate sulla coscienza. Non ne ho la forza –
- Sei solamente un vigliacco! Un uomo coraggioso farebbe di tutto per a lsua donna! Ma tu non hai il coraggio di abbandonare questa tua divisa e lasciare gli altri al loro destino. Preferisci abbandonare me e tuo figlio, solo per non dover fare i conti con la tua coscienza. Ma cosa dirai a te stesso se a noi due dovesse succedere una disgrazia? –
Per Giuseppe è come se fosse successo qualche cosa di irreparabile tra loro: è la seconda volta, in una sola giornata, che viene ricattato: da Comandante tedesco poteva anche accettarlo, ma da sua moglie no. La giovane età e l’amore che prova per lui non giustificano un comportamento tanto egoistico; non vuole perdere la stima che ha di lei, per cui chiede di porre fine a una conversazione che altrimenti lo porterebbe a dire cose che rimarrebbero per sempre tra loro, distruggendo quanto ancora è rimasto. La guarda negli occhi decisi.
- Domani, se verrai a trovarmi, porta con te il piccolo Severino – le chiede.
Bianca vorrebbe gridargli che non verrà più, che, visto che lui l’ha abbandonata, partirà al più presto con suo padre. Poi spera che la visita del figlio possa fargli cambiare idea e gli dice, cercando di contenere la collera:
- Forse lui riuscirà dove io ho fallito –
Ormai qualcosa dentro l’animo di Giuseppe si è rotto, non vede più Bianca come una giovane sposa un po’ viziata, ma come una donna egoista ed irresponsabile, non le risponde per non correre il rischio che lei, per dispetto, non gli faccia vedere il figlio. L’abbraccio di commiato non ha il trasporto che aveva avuto quello d’incontro. Bianca se ne avvede e lo guarda un po’ stupita prima di andarsene.
Il giorno dopo Bianca arriva in caserma con il piccolo Severino in braccio. Giuseppe, che non ha chiuso occhi per tutta la notte al pensiero di dover lasciare la sua famiglia, va loro incontro e mentre li guarda avvicinarsi, il cuore gli si riempie di tristezza alla sola idea che potrebbe non vederli più. Li stringe a sé in un unico abbraccio e Bianca lo guarda, cercando di indovinare i suoi pensieri e si rende conto che non è servito a niente portare con sé il bambino. Parlando di cose futili, distratti dal borbottare del piccolo e mentre sono insieme, sentono i militari tedeschi che gridano per raggruppare dieci soldati italiani. Giuseppe e Bianca si guardano ed entrambi capiscono che qualcuno non è tornato indietro. Odono le raffiche di mitragliatrici e lui, stringendola al petto, dice:
- Hai ragione tu: ci vuole coraggio ad abbandonare la divisa e gli altri al loro destino. Io non ho questo coraggio –
lei si scosta leggermente da lui per poterlo guardare negli occhi, è smarrita e spaventata, la realtà l’ha colta di sorpresa e non si aspettava che sarebbe stata così dolorosa.
- Neanche io ho questo coraggio. Non ti preoccupare per me, non sono sola e so che tu non mi abbandoni. Quando sarà tutto finito, vieni a prendermi a casa di mio padre. E’ la che saremo ad aspettarti –
La rottura che si era creata nell’animo di Giuseppe si è già ricongiunta e bacia la moglie, mentre Severino, con le piccole mani, gioca con i suoi capelli.

Dopo due anni di prigionia in Germania, Giuseppe è tornato a ha trovato Bianca e Severino a casa del padre di lei.
Adesso, ogni volta che Giuseppe vede un giovane, pensa che potrebbe essere uno di quelli che non hanno dovuto pagare per la sua libertà. Ma questo non riesce a consolarlo del fatto che molti l’hanno dovuto fare per la libertà di altri, i quali hanno avuto il coraggio che a lui è mancato.

3 Commenti a “DA UN DIARIO DI GUERRA di Ubaldina Mascia (tratto da un diario esistente ed inedito)”

  1. emmaus2007 dice:

    Bellissimo! Io sono un appassionato di storia, soprattutto di quel periodo, quindi puoi immaginare…
    Scritto molto bene, senza errori, e con un lieto finale, quando tutto faceva presagire il peggio. A volte, nella vita, le buone intenzioni sono più forti di qualsiasi avversità. A volte… Brava! A rileggerti presto!

  2. novilunio dice:

    E’ un’emozione forte ricevere un simile commento su questo racconto, anche riscriverlo per me (Barbara) è stato vibrante perchè so trattarsi di una storia vera. Ti ringrazio, mi hai colmato di una gioia immensa e non sto esagerando. Presto sentirò Ubaldina e… credo che sarà felice quanto me. Ti ringrazio davvero, al mondo esistono ancora persone sensibili e coscienti del passato cui dobbiamo tutto. Ciao.

  3. emmaus2007 dice:

    Ciao ad entrambe, Barbara ed Ubaldina!
    E grazie dei vostri grazie. Non mi merito tanto…
    A presto!

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