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Una storia familiare

Pubblicato da poetto il 29 settembre 2009

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Non era la prima volta che vedevo Maria, la moglie di mio fratello Giulio, dare dei sonori ceffoni a Dario, suo figlio di undici anni, quella volta, però, aveva veramente esagerato.
Dopo la dipartita di nostro padre si era aperta una sgradevole lotta ereditaria.
Io, Giulio, Mario eravamo eredi delle proprietà di Alfredo Bianchi Spina un ricco signorotto nonché nostro padre.
Case, terreni, cavalli ed altro ancora facevano parte dell’asse ereditario.
Punto focale di tutta la questione era Maria, la quale aizzava mio fratello per avere una quantità di eredità maggiore di quanto gli spettasse, inoltre aveva già messo le mani avanti per impossessarsi dei quadri della sala grande di quella che fu la casa dei miei genitori, e dove io, assieme ai miei fratelli, avevo passato la mia infanzia.
Maria era una incredibile calcolatrice ed approfittatrice, era riuscita ad abbindolare quel bonaccione di mio fratello come se nulla fosse, riuscendo a farlo allontanare da noi.
Giulio era il più grande, la mamma diceva che era destinato a grandi cose, invece si era mangiato quasi tutto quello che mio padre gli aveva dato, senza combinare nulla.
La mamma non era riuscita a vedere quello che il suo prediletto era divenuto; una sera di novembre di molti anni fa il signore la richiamò a se lasciandoci soli con nostro padre.
Una sera d’agosto del 1869 nostro padre, che da alcuni giorni accusava stanchezza ed uno strano malessere che lui attribuiva al caldo afoso, si coricava per non rialzarsi mai più.
Dopo il lutto ci fu la difficile suddivisione dei beni.
A parole Giulio pareva essere d’accordo per una suddivisione equa del patrimonio.
Avevamo calcolato il valore delle varie proprietà ed, assieme ad un legale che ci aveva supportato, eravamo giunti ad una conclusione che soddisfaceva tutti e tre.
Avevamo dovuto fare questa scelta in quanto nostro padre non aveva fatto testamento.
Lui era molto superstizioso, non le piaceva l’idea del testamento.
Una volta disse a Mario: il giorno che farò testamento vorrà dire che la fine sarà prossima, invece la fine arrivò anche senza quel pezzo di carta.
Maria ci mise lo zampino e l’accordo raggiunto, in modo sereno, pacifico, non essendo ancora stato verbalizzato, saltò.
Andai a trovare Giulio nella tenuta di campagna di Villa Grande, quella che, in teoria, sarebbe dovuta spettare a Mario.
Qui non ebbi a che fare con mio fratello ma con lei, Maria, una vipera che sputava veleno in tutte le direzioni, sembrava un’indemoniata, gridava, si agitava vistosamente mentre difendeva le sue tesi.
Il fare presente che lei non era la destinataria dell’eredità ma mio fratello faceva infuriare la donna la quale urlava con voce stridula.
Quello che mi faceva più male era vedere Giulio succube di questa donna.
Gli avvertimenti miei, di Mario, di Carla, la moglie di Mario, nonché del nostro amato padre non erano serviti a nulla.
Le varie visite amichevoli fatte sia da me che da Mario non avevano sortito nessun risultato utile.
Quella sera io assieme a Mario e Carla avevamo deciso di dare un’ultima possibilità per risolvere la questione in modo amichevole prima di passare per le vie legali.
La vettura si fermò davanti al cancello della villa, la prima cosa che notai era lo stato di abbandono in cui versava la proprietà; mio padre ci teneva particolarmente al giardino che si vedeva appena il cancello d’ingresso veniva aperto, era il biglietto da visita della casa, amava dire, ora questo biglietto appariva trascurato, era evidente che da vari mesi nessuno si curava di lui.
Giulio si era sistemato qui già prima che nostro padre se ne andasse; mio padre, però, aveva ricordato più volte che sua intenzione era quella di dare quella proprietà a Mario.
La cosa sembrava certa, anche se nulla era scritto, e sarebbe stato meglio se uno scritto fosse esistito, tutto pareva procedere con serenità.
Mio padre era convinto che anche nel caso di una sua dipartita i suoi figli si sarebbero divisi le proprietà senza problemi, nulla di più falso.
Ad attenderci, davanti alla porta di casa, c’erano Giulio, Maria e Dario.
La faccia di Maria alla nostra visione fu molto eloquente, traspariva il suo fastidio nel vederci in quella che lei riteneva già la sua proprietà.
Dario, era magro, alto, una faccia pallida come un lenzuolo, parlandoci avevo l’impressione che qualcosa non quadrasse in lui.
Entrammo dentro casa.
Una ragazzina bionda ci fa cenno di seguirla, la cosa mi fa sorridere in quanto conosco bene la strada, comunque, senza lamentarmi, la seguo.
Ci accomodiamo nel salone grande; intanto mio fratello e famiglia sono scomparsi.
Dopo cinque, forse più, minuti eccoli entrare come in una processione, prima lui, poi lei, poi il ragazzo ed infine la ragazzina.
La discussione iniziò pacata, pacifica, davanti a noi c’era nostro fratello, non eravamo lì per aggredirlo ma per cercare di raggiungere un accordo, serenamente, amichevolmente, anzi, direi fraternamente, come sarebbe giusto fare fra fratelli.
Dopo la prima serie di convenevoli, ecco il primo scoglio.
La richiesta di Giulio di entrare in possesso di Villa Grande, cosa nuova che fa sobbalzare sulla sedia sia Mario che Carla.
. Scusami Giulio, questa…eravamo d’accordo che la casa di Via Della… – non fa in tempo a finire la frase che un inedito Giulio lo interrompe.
. Ho riflettuto molto sulla quello che sia equo e non equo…io abito qui già da un anno, anzi più di un anno…nostro padre non ha mai espresso il desiderio che io me ne andassi via da qui…non mi pare giusto lasciare questa casa e ricominciare in.
. Bene! Basta! Sono stufo…stanco marcio di tutte queste storie. È quasi un mese che vengo qui cercando di trovare un accordo amichevole, cercando di evitare tribunali e tu che fai? Che fai?! A questo punto tutto passa per le vie legali. Ho capito che ti sei bevuto il cervello e non c’è più modo di farti ragionare. Mettiamola così…io voglio questa casa perché mi è stata promessa, e tu lo sai benissimo, e ora mi batterò per averla, fratello o non fratello.
Dentro la sala un silenzio glaciale.
Mario si alza, anche io e Carla ci alziamo.
Giulio e famiglia restano seduti, con lo sguardo seguono i nostri movimenti, nessuno dice nulla.
Mario è furioso.
Maria capisce che in questo frangente non è consigliabile intervenire.
Giulio vede noi avviarci verso l’uscita, si alza e con un filo di voce dice: aspettate!
Mario si ferma, si gira, abbozza un timido sorriso.
Forse in quella frase, in quel modo di porsi ha rivisto il fratello di tanti anni prima.
Maria capisce che Giulio potrebbe cedere, esce dalla stanza portandosi via Dario, che seduto in un angolo della sala seguiva in silenzio tutta la vicenda.
Potete lasciarci soli?! – dice Giulio rivolgendosi a me e Carla.
Usciamo dalla stanza convinti che questo potrebbe essere l’incontro chiarificatore, almeno, dopo quasi un mese di inutili tentativi, speriamo ardentemente che lo sia.
Con Carla facciamo una passeggiata per il giardino, commentando lo stato di disordine del posto.
Camminando intravediamo Maria davanti al calesse, un vecchio calesse nero appartenuto a nostro padre.
Rumori di zoccoli e poi il cavallo passa vicino a noi.
Dario, per qualche oscuro motivo si alza, la madre nervosa di carattere, ma decisamente furiosa perché la situazione ereditaria sembra sfuggirle dalle mani, assesta un sonoro ceffone al ragazzo che vola letteralmente dal calesse andando a sbattere contro il terreno.
Ci avvinciamo subito, Maria resta immobile davanti al figlio, non capiamo perché resti lì con le mani in mano.
Il ragazzo non ha perso i sensi, si lamenta del braccio.
Carla, intanto, avverte Giulio dell’accaduto.
Quando questi viene, assieme a Mario, vede la moglie ferma, immobile, poi, improvvisamente, come una furia, inizia a gridare, ad urlare prima contro al figlio reo di essersi alzato mentre il calesse era in movimento, poi contro di noi che eravamo degli impiccioni, che speravamo che il ragazzo di fosse fatto male per farla finire in galera, grida su grida.
Giulio, più che sorpreso sembrava stanco, stufo di quella situazione, oramai si era convinto che la moglie aveva qualcosa che non andava, forse, anzi senza forse, lo sapeva già da tempo ma preferiva mentire a se stesso, preferiva pensare che una ragazza di 23 anni trovasse lui, un trentaseienne con pancia prominente, senza capelli, bruttarello, affascinante tanto da sposarlo.
Nessuno aveva creduto allora, e ancora non ci credeva, alla sincerità di Maria, ma la vita era quella di Giulio, non la nostra.
Alla fine mio padre, dopo le insistenze pressanti di mio fratello, cedette ed il matrimonio si celebrò.
Ora, però, il vaso era pieno.
Giulio era stanco, stufo di quella matta che si era portato in casa.
Quel pomeriggio cambiò la vita di nostro fratello.
Alla fine un accordo si raggiunse, con piena soddisfazione di tutti i fratelli.
Maria si trovò costretta a rendere diversi oggetti, alcuni di nostra madre, che aveva già incamerato per sé, inoltre, dopo la reazione di nostro fratello, ed il litigio violento con tanto di lancio di oggetti, questo a detta di Dario, il suo ruolo fu ridimensionato.
Giulio, in una lettera che mi ha scritto, mi ha confessato che stava prendendo in considerazione la possibilità che Maria, come richiesto da lei, tornasse dalla madre, nella lettera chiedeva a me come si poteva fare, domandava consigli, non sapevo che rispondere.

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