Il gioco – parte seconda
Pubblicato da poetto il 14 luglio 2010
Venerdì mattina, vedo Marco gli domando del gioco, mi dice che non ha avuto tempo di caricarlo, poi vedo Carlo, mi passa davanti senza dire nulla.
Non è da lui, si vanta sempre dei suoi stupidi scherzi.
Capisco che lui non ne sa nulla del militare che mi è piombato in casa a sera inoltrata.
Se non è stato lui…allora chi è stato?
Domenica mattina, sono alla stazione per prendere il treno per Firenze, per andare a trovare i miei, tra le persone che aspettano vedo alcuni uomini in divisa.
Salgo nella mia carrozza, mi siedo.
Vedo che il gruppo di militari mi guarda, parlottano fra di loro e poi si dirigono verso la mia carrozza.
Li vedo salire, si avvicinano, sono in cinque.
Uno di loro è identico al generale del gioco, il generale Portland.
- Sono proprio io, signore – mi dice questi guardandomi dritto negli occhi.
- Scusate ma temo che stiate sbagliando persona – rispondo cercando di dimostrarmi calmo, cosa che non è, infatti sono piuttosto agitato, temo che la mia testa, il mio povero cervello sia andato completamente in tilt, sarà lo stress, sarà chissà cosa, fatto sta che vedo cose che non dovrei vedere.
- Siamo venuti ad imporgli un ultimatum, signore. Come avrà letto nella missiva che gli abbiamo inviato, il nostro regno sta attraversando un periodo difficile. Non possiamo, senza il vostro consenso, spostare truppe e mezzi, né acquistare nuovi armamenti, insomma è tutto bloccato. Abbiamo perso la città portuale di Oberan, siamo a corto di uomini, aerei, navi, cannoni eccetera eccetera.
- Voi siete solo frutto della mia fantasia, non c’è altra spiegazione, non ci può essere altra…spiegazione. Ora aprirò il giornale e ignorerò la vostra presenza. Ma che cavolo sto facendo? Sto parlando da solo perché loro non esistono, anche se sembrano veri. Sono fantasia, immaginazione.
-La veda come vuole, signore. Le ricordo che se entro 24 ore, a partire da adesso, lei non avrà ripreso il commando del regno, sarà deferito alla corte marziale per alto tradimento, mancata difesa del regno, e altre imputazioni che non sto a elencare.
- Ma per favore!
Vengo distratto dal passaggio di un altro treno affianco al nostro, questione di attimi, come mi giro i cinque tipi sono scomparsi.
La cosa inizia a preoccuparmi. Temo di essere affetto da visioni.
Una volta avevo letto la storia di uno che vedeva, solo lui naturalmente, dei “marziani” che gli dicevano di fare delle stranezze che lui, puntualmente, faceva, la storia continuava con il tipo che veniva seguito dal servizio psichiatrico.
Per ora terrò la cosa per me, non voglio far preoccupare i miei, o mio fratello.
Magari è solo un po’ di stress e poi passa.
Fino adora questi tipi li ho visti soltanto io, o meglio non c’era nessuno quando loro si sono presentati, quindi…temo che sia solo frutto della mia testa.
La lettera, ad esempio, l’avrò ricevuta veramente o, anche quella, è immaginazione?
I miei abitano in zona Gavinana a Firenze, vicino a Viale Europa, il centro non è lontano, quando abitavo con i miei, me la facevo spesso a piedi, per arrivarci; ultimamente, però, prendevo il 23, soprattuto quando incominciava a scendere il buio.
Sono passate 24 ore esatte dall’ultimatum.
Sto scendendo alla fermata vicino a Piazza Santa Croce quando vedo, a pochi passi da questa, il gruppo di militari di ieri.
Scendo, cerco di ignorarli. Mi viene in mente il film A beautiful mind, dove il personaggio principale vedeva delle persone che in realtà non esistevano, se non ricordo male, aveva “vinto” questa sua battaglia, superato questo problema ignorandole, si era reso conto che lui invecchiava mentre questi personaggi che lo seguivano erano sempre della stessa età, farò anch’io la stessa cosa, ignorerò la loro presenza.
Anche se cerco di ignorarli, loro, purtroppo, non fanno lo stesso.
Cammino con passo veloce, dietro di me ci sono le cinque persone della fermata.
Ma se sono frutto della mia immaginazione che senso ha scappare da loro? Nessuno.
Rallento il passo e continuo per la mia strada.
Vengo raggiunto dal primo militare.
- Il tempo è scaduto signore – mi dice questi.
Continuo a camminare, senza rispondergli.
Ad un certo punto uno di questi mi prende per un braccio, sarà un’illusione però la presa è forte, tanto che riesce a bloccarmi.
- Fermo! Ora basta! Sono stanco di lei e dei suoi giochini. Ha rovinato il nostro regno, non riuscirà a cavarsela a buon mercato…signore – mi dice il generale Portland.
- Basta! Ma perché proprio a me? – in realtà non rispondo a loro ma sbotto contro il destino avverso.
- In nome del Regno di Lakes la dichiaro in arresto per alto tradimento e per altri gravi reati che le verrano notificati in seguito. Verrà deferito immediatamente alla corte marziale, questo per permettere sia la giusta punizione che l’immediata sua sostituzione – continua il generale facendo segni a destra e a manca.
Improvvisamente diventa tutto buio, quando la luce riappare la scena che mi si presenta davanti ha dell’incredibile.
Sono nella sala degli stati maggiori riuniti del gioco, adattata sala di giustizia, scomparse le auto, la strada, tutto, non solo, mi ritrovo con un bel paio di manette ai polsi, che hanno tutta l’aria di essere vere, e due enormi soldati ai miei fianchi.
- L’imputato si sieda – sentenzia il giudice vestito tutto di nero con una curiosa parrucca bianca.
Mi siedo, sono ancora frastornato, mi domando come sia possibile che la mia mente, la mia povera testa sia stata in grado di escogitare tutto quello che mi sta davanti, decido di intervenire, tanto oramai che cosa ho da perdere?
-Vorrei sapere di cosa sono accusato – dico alzandomi in piedi e rivolgendomi al giudice.
- Finalmente ha deciso di prendersi le sue responsabilità, bene! Dovrebbe saperlo, comunque…lei ha abbandonato il regno lasciandolo nel caos più totale, impedendo, con la sua scomparsa, qualunque azione per ristabilire l’ordine e sconfiggere i nostri nemici, i quali, approfittando della situazione, sono riusciti a conquistare ampie porzioni del nostro territorio. Questo, naturalmente, in sintesi. La sua situazione è molto grave, rischia la pena capitale.
- Mi scusi ma…come è possibile che un gioco, ripeto un gioco, riesca a scatenare tutto questo? Non riesco a spiegarmelo. Perché sono qua?
- Lei crede che sia tutta finzione, tutto frutto della sua immaginazione…non è vero? Ebbene, mi spiace per lei, non è così. Quando ha preso il dischetto di iniziazione ha letto quello che c’era scritto? “ Mi impegno, in qualità di capo del regno, di difenderlo da qualunque minaccia, di farlo crescere nel rispetto delle regole …” si ricorda di aver letto questo?
- Certo che l’ho letto! Ma che c’entra, cosa vuol dire? Era un gioco, solo uno stupido gioco di strategia come ce ne sono tanti in giro.
- Non vuole proprio capire.
- Ma cosa devo capire? Eppoi il gioco non l’ho più, quindi perché continuate ad apparirmi?
La mia voce vine coperta da un boato, tutti, all’interno della sala si alzano.
Cadono alcuni calcinacci. Si avvicinano delle persone al giudice, parlano animatamente, non riesco a capire cosa succede, chiedo spiegazioni alle guardie ma loro restano mute.
Molti iniziano ad abbandonare la sala, deve essere successo qualcosa di grosso, nessuno mi dice nulla.
Il giudice si alza, si avvicina, fa dei gesti alle guardie.
Chiedo ancora spiegazioni senza ottenere nessun chiarimento.
La sala si svuota, anche il giudice se ne va, in lontananza si sentono delle esplosioni.
Le guardie mi fanno cenno di seguirle.
Il tutto è dannatamente reale, le seguo, sono dietro di loro quando, senza riuscire a capire come, mi ritrovo alla fermata del pullman.
Tutto svanisce per riprendere il tram tram della vita di tutti i giorni.
Sono passati due giorni dall’episodio della fermata, ero molto combattuto sul da farsi ma l’evidenza non mi lascia margini di manovra, domani andrò dal dottor Giovi per parlargli di questo fatto, gli chiederò consiglio su come dirlo ai miei, su come comportarmi.
A lavoro incontro Marco il quale mi dice di aver sognato i personaggi del gioco, i quali lo esortavano a caricare il gioco e adempiere alle sue funzioni.
- Era tutto così assurdo. Un generale, un certo Portland, così si è definito, mi ha detto che quello che stavo facendo era lesivo per il regno. Ti dirò, sembravano veri…non so come spiegartelo- mi dice Marco raccontandomi del sogno.
- Ho chiamato io Portland uno dei generali, forse l’hai sentito da me.
- Sicuramente! L’altro giorno ho caricato il gioco ma, in pratica, non riuscivo a giocare. Mi limitavo ad avvalorare richieste che il gioco mi faceva da più parti, inoltre non voleva spegnersi, una cosa assurda, cercavo di spegnerlo e lui non si spegneva. Ho provato a togliere il dischetto e questo non usciva, guarda, non riuscivo a crederci, non era rotto, ma…non lo so! Alla fine ho fatto vincere il nemico, che ha distrutto tutto e il gioco è finito.
- Ma non potevi togliere la corrente? Si sarebbe spento.
- L’ho fatto, però, come ho riacceso il computer è subito riapparso il gioco. Quel gioco ha qualcosa di diabolico. Dopo che il “mio” regno è stato distrutto sono riuscito a togliere il dischetto, l’ho messo via…deve essere successo qualcosa anche a te…dai racconta, ricordo che mi stavi parlando dei sogni.
Gli racconto di quello che ho passato, con qualche pudore, temendo di non essere creduto, ma, a questo punto, mi viene l’idea che il gioco fosse veramente “stregato”.
Marco, dopo quello che ha passato anche lui, mi crede, mi rassicura sulla mia condizione mentale e mi consiglia di non dire nulla del gioco.
- Guarda, dopo quello che è successo a me, posso dirti che il dischetto ha qualcosa di “vivo”. Non preoccuparti, non sei matto…non dire nulla né in casa né al tuo medico, almeno questo è quello che farei io, e soprattuto non dirlo a Carlo.
- Soprattuto a lui – ridiamo alle ultime frasi. La chiacchierata con Marco mi ha fatto bene. Sono d’accordo con lui, è meglio che rimanga fra noi tutta questa storia.
Il dischetto, poggiato nella scrivania di Marco, affianco al computer, scompare, letteralmente, davanti ai suoi occhi, lui mi racconta la cosa con trasporto.
Quest’ultimo episodio mi fa definitivamente propendere alla natura sovrannaturale del dischetto e scagiona, a parer mio, il mio cervello dall’aver costruito il tutto.