L’inquilino dell’ultimo piano
Pubblicato da poetto il 30 maggio 2010
Caio Giulio attento a quel pavimento, questo diceva spesso quell’antipatico di Marco Gaio.
Non ci facevo troppo caso.
Avevo camminato su quei marmi per anni.
Quella mattina nulla lasciava presagire quello che sarebbe accaduto.
Era una torrida mattina.
Svolgevo il mio lavoro fuori dell’anfiteatro.
Vendevo vivande.
Il mio banchetto attirava sempre un mucchio di gente.
Quel giorno sembrava essere nato male.
Il famoso gladiatore Atracus era stato ferito, pare in modo serio, durante un allenamento, non solo, sempre le stesse voci affermavano che due fazioni di gladiatori avessero fatto una vera e propria lotta all’interno della palestra, risultato: un disastro per le mie finanze, niente gladiatori nel pomeriggio.
Giusto per guastare i miei affari e ridurre il pubblico, anche i leoni erano assenti.
Erano stati rubati, almeno così si vociferava.
Ero rientrato a casa verso mezzogiorno.
Nel pomeriggio, visto come si erano messe le cose, avevo deciso di recarmi alle terme.
Il chiasso di quel posto era veramente infernale.
Avevo davanti un tale che giocava a palla e gridava mentre faceva gli esercizi, avrei voluto prenderlo a pedate.
Quel giorno ero particolarmente nervoso per via di come erano andati gli affari.
Avevo il padrone di casa intenzionato a domandarmi più soldi, s’era fatto l’idea che il mio banchetto mi rendesse un sacco di soldi. Povero me!
Ero costretto ad abitare all’ultimo piano di quell’insula perché al piano terra gli affitti erano proibitivi, 600 sesterzi.
Anni fa abitavo al piano terra di un’altra insula.
Pagavo l’affitto a un amico di mio padre, Lucio Caio Mela, che mi faceva un prezzo di vero favore, quasi un regalo in nome dell’amicizia che lo legava con mio papà.
Un giorno, di rientro dal lavoro, vedo un affanno di gente vicino alla mia via, l’insula aveva preso fuoco.
Dovetti cercare un’altra sistemazione.
In città, i prezzi delle case sono proibitivi.
Trovai una sistemazione provvisoria, almeno così credevo, un piccolo appartamento all’ultimo piano, per 300 sesterzi e un affitto, se così vogliamo definirlo, di 50 sesterzi, a un inquilino del piano terra per tenermi il banchetto e le mie cose, che non potevo portarmi in casa.
Non sono mai stato fortunato, anzi, penso che la fortuna non sappia neanche che esisto, semplicemente mi ignora, almeno mi rimane la salute, pensavo tra me davanti alle varie disgrazie che la vita di forniva.
Camminavo in mezzo alla folla, che pareva più numerosa del solito.
In lontananza vidi un amico, gli fecci un cenno di saluto.
Stupidamente camminai con passo veloce verso di lui.
Fu un attimo, un lasso brevissimo di tempo.
Scivolai su quel pavimento bagnato.
Caddi.
Andai a sbattere contro quel marmo freddo, duro.
Ruzzolai nei gradini di marmo bianco come la neve.
Mi alzai, un capannello di persone mi si parò davanti.
Tornai dolorante a casa.
Contrariamente a quanto pensava qualcuno, non ero ricco.
Non avevo schiavi e molto del mio guadagno finiva per pagare la casa al quarto piano dell’insula Felix.
La gamba mi faceva male, sembrava anche gonfia, scivolando nel marmo avevo trovato dei gradini su cui la mia gamba destra aveva pesantemente sbattuto.
Vivevo solo.
La mia Attilia era morta due anni fa durante il parto.
Il mio unico parente è mio fratello, che vive da qualche parte della Gallia assieme ai suoi commilitoni.
La mattina dopo il dolore si fece più forte.
Dalla finestra vedevo la vita scorrere.
I miei rumorosi vicini mi facevano scoppiare la testa.
Non era la prima volta che si gonfiava un piede, quella volta, però, la cosa sembrava diversa.
Per fortuna quel giorno non c’erano spettacoli e decisi di rimanere in casa; il dolore, quasi sicuramente, mi avrebbe impedito di trasportare il carretto con tutta la roba.
Pensavo, anzi direi meglio, speravo che il dolore si attenuasse con un po’ di riposo, invece non fu così.
La notte dopo non riuscì a dormire.
Non facevo più caso al rumore dei carri che passavano, quella volta, complice il mal di testa, la cosa sembrava insopportabile.
Un vero e proprio martellamento.
Nel cuore della notte vidi, dalla finestra, una luce.
Mi affacciai per vedere meglio.
Un tipo grosso, coperto da un mantello, girava con una torcia.
Guardai incuriosito.
Con un caldo del genere quel mantello era certamente fuori luogo, quel tipo doveva avere in mente qualcosa di losco.
La mia intuizione era corretta.
Lo sconosciuto lanciò la torcia all’interno di una finestra e se la diede a gambe.
A dire il vero non lo vidi lanciare la torcia, lo capii in seguito, lo vidi solamente correre.
Non ci volle molto per sentire la puzza di fumo.
Dopo il fumo le grida. Urla, chiasso che non lasciavano presagire a nulla di buono.
La gamba mi faceva malissimo.
Mi diressi immediatamente fuori.
Il buio e il fumo non mi facevano capire dove stessi andando.
Le scale erano invase dal fumo.
Ogni gradino era uno strazio, mi tenni al muro per cercare di sforzare quella gamba il meno possibile.
Sentivo la gente scendere di corsa le scale, chi gridando, chi tossendo.
Improvvisamente qualcuno mi diede un colpo, ero negli ultimi gradini del corridoio del secondo piano.
Mi ritrovai a terra. Non riuscivo ad alzarmi, il fumo mi stava distruggendo, tossivo pesantemente.
Una mano mi sollevò da terra.
Caio Giulio vieni da questa parte, disse un voce che non riuscivo a identificare.
Segui la voce ma il mio passo era talmente lento, a causa del dolore, che in pochi attimi mi ritrovai solo nel corridoio del secondo piano.
Dalle voci sembrava imminente l’arrivo dei vigiles, intanto molti si buttavano dal primo piano.
Il piano terra era in preda alle fiamme, le quali diventavano sempre più potenti.
Non riuscivo a camminare. Il fumo sembrava diventare sempre più denso.
Da una finestra vidi che le fiamme erano avanzate ulteriormente.
Dei vigiles nessuna traccia. Capii che non sarei mai riuscito a arrivare fuori dall’insula senza bruciarmi.
Guardai giù dalla finestra.
Non volevo morire bruciato; forse lanciandomi dal secondo piano avrei avuto una speranza di cavarmela.
Entrai dentro una casa, spostai un piccolo tavolino che usai come trampolino, con tutte le forze a mia disposizione mi posizionai sopra la finestra e mi lanciai.
21 giugno 2010 alle 09:47
Ciao Poetto,
interessante questo tuo, soprattutto per l’ambientazione “esotica” che da sempre un qualcosa in più. Io però ne ricavo un’impressione come di incompiutezza. Pare quasi che ci sia un seguito, che non sia finito lì.
Grazie per averclo fatto leggere!
Andrea.