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I Quattro Biker della Pocalisse.

Pubblicato da roberto il 7 dicembre 2010

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Dal portico accarezzato dal tramonto del casone padronale della grande azienda biologica integrata, si scorgevano a perdita d’occhio i poderi del Grande Fattore.
A nord infiniti meleti dal profumo asprigno, vigne dal nettare che sapeva d’inverno e sconfinati campi d’orzo fino alle montagne.
A Sud l’aspra terra bruciata dal sole regalava rotondi rubini dal sangue succoso e perle arancioni con dentro la vita.
A Ovest sconfinati pascoli di spagnara in cui pascolavano mungane stoiche e stalle in cui se la godevano epicureici baghinoni.
A Est oltre il pescoso mare in cui sguazzavano saraghine e tugnini, i possedimenti dell’azienda si estendevano per milioni di acri in paludosi campi di riso e orticelli di odorose spezie.
Sul portico erano parecchie sere che si poteva scorgere il volto preoccupato del Grande Fattore: sulle sue rughe millenarie, appena arrossate da un buon quartino di Sangiovese, si leggeva tutta la sconsolata tristezza di chi aveva lavorato un’eternità ed era stato messo in disparte e frainteso.
Se ne stava lì sulla sua scarana intrecciata di vimini che non voleva buttare nel camino, con i gomiti sullo schienale e la testa fra le mani ad ascoltare la canzone del vento.
Gabriele, uno dei contadini osò chiedergli una sera: “Principale, la vedo un pò triste, vado giù nel grottino a prenderle una boccia di Cognac di quello buono?”, “Ma si Gabriele” rispose il Fattore “E visto che ci sei telefona a quel giuggiolone mezzocomunista di mio figlio Salvatore, e digli di venir su in azienda che ho bisogno di parlargli !”.
Il giorno dopo il Fattore era nelle vigne a spaccarsi la schiena per vangare come l’ultimo dei contadini, quando arrivo il figlio Salvatore sgreppando su una mountain bike.
Il Fattore: “Non ti fai mai vedere te eh? Tocca da farti chiamare, sempre in giro convinto di cambiare il mondo cambiando gli uomini, dai tira giù due pesche dall’albero che facciamo merenda…”
Salvatore: “Ba, non fare il melodrammatico come al solito, te invece sempre qui isolato e non ascolti mai nessuno…”
Salvatore stava mangiando una pesca quando il bruchino lì in affitto gli disse: “Oh, cosa casso combini: mi sfratti e mi vuoi anche mangiare???”, Salvatore disse: “Scusa, hai ragione” ricompattò la pesca e la riattaccò sull’albero.
Il Fattore: “Lo vedi come sei figlio mio: sempre buono con tutti e con tutto, e mi tocca gestire tutto a me! Tocca cominci ad essere un po bastardo con quegli zucconi dei contadini, gli abbiamo affidato la Terra e invece di coltivarla se la stanno divorando!”
Salvatore: “Si ma babbo, il libero arbitrio glielo hai messo te nel contratto di locazione, mica io, non ti scordare! E poi c’è tanta bellezza in quegli zucconi….”
Il Fattore: “Dai stasera ne parliamo dopo cena, te ti fermi da noi e poche storie, adesso chiappa su la vanga e dammi una mano, vagabondo!”
Alla sera, dopo una bella sbaghinata di quelle sane, Padre e Figlio erano intenti a ravvivare il fuocone del camino e a parlare del più e del meno, cercando di evitare il discorso grosso, quando Salvatore disse: “Babboooo, hai già chiamato i cavalieri, fai sempre di testa tua!” e il Fattore replicò: “Te ne sei accorto pure te che una è già arrivata: vieni fuori dall’ombra Thanatya Thanatos, sto vizio di entrare in casa degli altri senza bussare non te lo levi eh?”.
Thanatya si presentò come una strepignoccosa mora bella magra, quasi tuttossa, con due metri di cossia al vento svestita di pizzo verde, con due occhi rubino in cui affogavano sogni e speranze e parlò: “Guarda che mi hai chiamato te vecchio, ho cercato di essere discreta, ho persino parcheggiato la Kawasaki dietro le siepi, e poi lo sai (e qui la voce gli si fece da trans asmatico…) CHE IO ARRIVO SEMPRE!”
Salvatore: “Io ti preferivo quando giravi con quel zinalone nero e il falcione affilato, de gustibus…”
Thanatya: “Salvatore, il nostro abbraccio è stato il mio capolavoro, migliaia di pittori ti hanno raffigurato tra le mie braccia, ma come mi hai ricompensato? Sei stato con me solo tre giorni scarsi… E poi ringraziatemi che sono venuta per prima, di solito gli altri arrivano prima di me!” e si mise in un cantone a limarsi le unghie.
Il Fattore: “Eccone un’altro, quel montato di Ares Deguerre…”, all’esterno si sentiva un gran casino di heavy metal e pistoni sbiellati, sulla sua Harley 2400 Red Flaming Edition il gaggiobarbuto Ares stava sbressando tutto il vialetto, arrivò, scese dalla moto e si presentò calciando il portone d’ingresso, mostrandosi in tutti i suoi due metri di muscoli, spadoni e pistolaggi vari.
Il Fattore gli si avvicinò, gli smollò una scarponata nei maroni e lo prese per il coppino fino a farlo scaranare composto e mogio mogio in disparte, uggiolante di “scusacapononlofaccioppiù”; naturalmente quella bagascia della Thanatya lo corse a coccolare.
Arrivò anche sulla sua Bmw Motorrad nero lucido la elegantissima Mrs. Misery, appena tornata da wall street, sobria come poche con l’unica eccezione degli orecchini d’oro a guisa di bilancia, entrò scusandosi per il ritardo, fece un cenno di saluto ai presenti e si mise composta e silenziosa su una poltrona.
Salvatore vedendo il Padre armeggiare nell’armadio per estrarne una cassetta di prezioso legno intarsiato, disse: “Adesso babbo non cominciare con la solfa alla Bergman e rimetti a posto i sette sigilli, e te lì Gabriele, per favore, riporta l’Agnello nella stalla, sennò qui stasera finisce male! Babbo se hai qualche cosa da dirci, diccelo e poche pusghette!”
Con voce possente, un mix fra Gasmann e Califano, il Fattore parlò: “Il nero manto dell’Empietà ha oscurato la vista al cuore degli uomini, è tempo di PUNIRLI” e di fuori fu un gran scaramazzo di lampi e tuoni a contrappuntare il tutto.
Mentre i tre ospiti già si sfregavano le mani e ripassavano a mente la partitura di tromba per lo show, Salvatore disse: “BOOONI! Te babbo quando fai così sei più a destra di un paracarro, calmati che ti va su la pressione, sempre sta fissa: prima il diluvio, poi le cavallette, poi le ranocchie, poi il sangue nei fiumi… Ooh, cosa vuoi fare stavolta? Vuoi che andiamo giù coi rusponi, e facciamo come i celerini in un campo nomadi?”
Il Fattore: “Te lì dici bene, ma lo sai quanta fatica mi è costata la Terra? Una settimana dicono quegli ignorantoni laggiù: seeeeeeeeh, prima mi son dovuto studiare chimica e fisica e ci ho perso miliardi di anni, quando ancora dovevo inventare il tempo. Poi ho messo tutto in sto gran pignattone che mi è esploso nelle mani: stelle pianeti han cominciato a passeggiare per i cassi loro, e mentre quel disgraziato di tuo Zio Lucio mi pigliava per il ciuffolo inventandosi l’Entropia, io cercavo di radanare sto macello cosmico… Poi ho dovuto tra miliardi, capare un pianeta che non fosse ne troppo vicino ne troppo lontano da una stella, e ho anche dovuto far lo sforzo di inventarmi l’acqua: Io, ho dovuto da inventarmi l’acqua, che ho delle vigne che non fanno vino, fanno benzina per l’anima! E poi: li potevo lasciare sugli alberi a mangiar banane e spulciarsi nei secoli dei secoli? Naaaaah, gli ho rasato il pelo e gli ho dato la parola, da cui han scoperto l’unica roba veramente loro: la scrittura con cui loro han conquistato il mondo. E adesso cosa han fatto loro? Prima gli mando te mio figlio, e mi ti inchiodano a due assi, poi si pentono: e ci inventano su una holding internazionale e nel nostro nome si scannano a vicenda, poi guarda che roba, che affronto!” e tira fuori un biglietto da un dollaro e fa leggere agli astanti quello che c’è scritto sopra:”God bless America”.
Ares alzò la manina e prese timidamente la parola: “Hai ragione capo, ma se mi è permesso, ci siamo io Thanatya e Misery a tenerli boni, e così loro continuano a pregarti…”
Il Fattore: “Si ma non vi accorgete brutti zucconi, che vi stanno prendendo per il ciuffolo anche a voi? Guerre inventate per bisness, Crisi internazionali in cui i potenti si arricchiscono, e te Thanatya, non han neanche più paura di te: ti cacciano nei reality e darebber via l’anima (e alcuni, mi dice mio fratello Lucio, l’abbian fatto…) per riuscire a mostrare il tuo vero volto al tiggì delle otto!”
Tutti ammutolirono, il vecchio aveva quasi convinto tutti che era ora di mettere in scena il Judgement Day Show, quando quel fricchettone di Salvatore prese la parola: “Ok babbo, ma dacci, una settimana, io e gli altri cavalcheremo sulla terra e torneremo con un motivo per convincerti che ti sbagli… E poi siccome dopo millenni, ancora ti devi decidere se darlo a me o allo zio Lucio, tiriamo fuori il tuo Guzzi California Bianco perla, che lo uso io!”
Erano millenni che chiedeva a suo padre di cavalcare quello splendente stallone meccanico, stavolta il padre non potè rifiutare e acconsentì a dare una settimana al figlio…
E fu così che i quattro Biker della Pocalisse cavalcarono in incognito sulla terra. La prima sera la carovana motorizzata fece tappa in una birreria e li quel ruffiano di Salvatore, tra una Guinness e un’ hamburger li convinse a passare dalla sua parte per dare un’altra possibilità agli uomini.
Viaggiarono chilometri e chilometri, a volte constatando quanto il vecchio avesse ragione, a volte capendo quanto diceva Sasà.
Misery mostrò un povero padre di famiglia che si era impiccato perchè aveva perso tutti i risparmi e non riuscendo a pagare il mutuo la banca gli aveva preso la casa: Salvatore innestò la modalità Lazzaro e gli spiegò che bastava il sorriso di sua figlia per farlo l’uomo più ricco del mondo.
Ares gli mostrò gli orrori fabbricati da chi gli aveva rubato il lavoro, e Salvatore gli mostrò lo splendore del sorriso degli uomini di Emergency.
Thanatya mostrò il reparto infettivi terminali in cui vi erano ricoverate persone vittime di una guerra chimica e Salvatore gli mostrò lo sconfinato sorriso di una donna diventata madre grazie all’eterologa.

La settimana passò, davanti al caminone della casa padronale si era giunti alla resa dei conti e il fattore parlò: “Allora Salvatore, cosa mi hai portato?” e giù aveva in mano la scatola intarsiata dei sette sigilli.
Salvatore: “Questo babbo, vieni Thanatya!”
Thanatya uscì dall’ombra (adorava ste robe da film horror) con una bambina timidosa di cinque anni con due occhi azzurri come il mare, un sorriso triste , senza un capello in testa e con un’orsetto nella manina.
Salvatore continuò: “Lei è Sara, Thanatya le ha dato l’ultima carezza al reparto di oncologia pediatrica, il dottore che stava trovando la cura per lei è saltato su una mina di Ares mentre faceva il volontario per Medici senza Frontiere, e i suoi genitori per cercare di salvarla hanno venduto tutto, hanno addirittura invocato e pregato zio Lucio, e sono finiti nelle grinfie di Misery: e io il Re Bianco, con che coraggio potrei giudicare i miliardi di genitori che sperano, i milioni di figli che soffrono, la miriade di persone che lottano per dare una migliorata al mondo! Mi dispiace babbo, ma se permetti, finchè sul pianeta terra ci sarà una storia come quella di Sara, io e te ce ne dobbiamo restare in disparte e amarli senza pretendere nulla in cambio, come fanno i genitori con i figli!”
Salvatore strappò di mano al padre la chiave della scatola di legno intarsiata, affidò Sara al padre che subito cominciò a ribaltargli casa e a ridare il sorriso a quel vecchio stanco.

I Quattro Biker della Pocalisse sgommando nella notte ripresero le strade del mondo.

Un commento a “I Quattro Biker della Pocalisse.”

  1. andrea dice:

    Ciao Roberto,
    intanto benvenuto sul sito!
    Simpatico questo tuo. Si lascia leggere con facilità, aiutato da una prosa ironica e scorrevole.
    L’idea di base poi è stuzzicante, e invoglia a leggerti fino in fondo per vedere dove andrai a parare.

    Grazie per avercelo fatto leggere!

    Andrea.

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