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Nel piccolo paese in provincia di Reggio Emilia, avevo tranquillamente iniziato la mia vita coniugale, prendendo in affitto un appartamento e adottando un cane. L’appartamento dava sulla provinciale nord ed era sopra una tabaccheria. Scoprii di essere poco distante dalla casa di Carlo. Lo incontrai una mattina mentre comprava le sigarette. E fu proprio lì che conobbi il cugino P.Il cugino P si materializza nel boato fragoroso del suo rutto, frutto di litri di birra bevuti nella giornata. Il suo alito era noto come ottimo rimedio per mosche e zanzare, sin da metri di distanza. Nel complesso, il simpatico individuo era una personcina tuttavia accettabile e in questa storia non avrebbe di che esistere, senonchè costui non fosse il nuovo passatempo della Cristina, mentre il Tozzi era in ospedale a pensare di farsi monaco buddista  e con Ennio ormai dimenticato .Il cugino P faceva il camionista (ed era lo stereotipo del camionista): canottiera sudata, pantalone corto sporco di grasso, sandali e calzini corti. “Ciao ragazzi”, disse grattandosi l’inguine, “ siamo qua a non fare un cazzo, eh,” (rutto).“Tabacchino dammi da fumare, zio pera, che stamattina ciò già i coglioni girati”, (rantolo simile a rutto soffocato).“ Non lo voglio, il resto di moneta, stronzone, dammi le caramelle”, (sibilo sommesso da dietro).“ Ciao finocchi, me ne vado affanculo, ci vediamo stasera”, (rutto di chiusura).  N.D.A. L’ autore fa presente di aver tagliato o modificato il dialogo per motivi di pubblica decenza e per rendere il racconto leggibile a chiunque . Il cugino P  non era il massimo della finezza però, sapendolo prendere, era un simpaticone (anche perchè pesava centoventi chili).La tresca con la pubblica zoccola era fresca fresca e ormai la notizia aveva fatto muovere quasi tutte le bocche del piccolo paese. Il secondo avvenimento che turbò l’equilibrio biologico di quella fetta d’Emilia  era l’arrivo di Marilena .

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