LA BUFERA
Pubblicato da rossanocrotti il 28 luglio 2008
La pioggia bagnava i campi e la buca che Roberto aveva scavato nel campo era piena d’ acqua. Erano settimane che pensava ad un nascondiglio sicuro e quella notte aveva scavato una grossa buca dietro la stalla. Dentro avrebbe nascosto le casse, sigillate alla meglio. Una ragazza passò in bicicletta, una vecchia bicicletta forse troppo pesante per lei. Dietro la sella, legata con uno spago, aveva una cassetta di legno. Chiamò Roberto dalla strada e le fece un cenno con la mano. “Sai chi ci abita qui?”, chiese sorridendogli.“ Ci abito io”, disse Roberto mentre cercava di pulirsi le mani sporche di fango. “Beh, allora piacere …io mi chiamo Irene, passo sempre di qua. Vendo saponette, spolette, pettini … mi fermo domani, dillo a tua madre!”. “Ciao, va bene”. Roberto guardò la ragazza allontanarsi e si chiese quanta forza dovesse fare su quelle pedivelle per mandare avanti la bicicletta. Aveva i capelli neri, appena mossi ed un fare gentile. Sperò di rivederla presto . Il cielo era nero, la buca un lago d’acqua e le casse ancora in soffitta. Roberto entrò in casa e venne investito dal solito tanfo che era l’ odore della pipa del nonno, pipa che Roberto aveva fumato di nascosto da piccolo, rischiando di incendiare la stalla con tutto il bestiame. Accese la radio e cercò di sintonizzarla su qualche canale ma senza successo. Scagliò un pugno su di essa e disse: “ il mondo sta andando in rovina e qua ci fanno sentire le canzonette”, Roberto stava spalmando fango sul pavimento e l’urlo di sua madre che lo rimproverava coprì l’ acuto del tenore alla radio. Quella sera si mangiava polenta. E la famiglia si riunì puntuale alle sette e trenta attorno al grosso tavolo di legno a fianco al camino. Quel giorno non erano arrivate cattive notizie , si mormorava solo di candelotti di dinamite nascosti in chiesa e pronti per essere usati. Roberto smaniava, non vedeva l’ora di avere l’età per arruolarsi. Gli mancava un anno. Sua madre sarebbe morta di crepacuore.Qualcuno bussò al portone con due colpi forti e decisi. Tutti sobbalzarono e all’unisono si scambiarono preoccupati sguardi d’intesa, nel silenzio totale spezzato solo dal crepitio della legna nel camino. Roberto pensò alle casse in soffitta. Suo padre andò a prendere il fucile. La madre si strinse nello scialle e il piccolo giocava con un cuscino. “Chissà che mondo troverà lui”, pensava sempre il fratello maggiore. Altre due botte al portone. Il padre di Roberto spiò da una fessura e vide il vicino che si illuminava la faccia con una torcia. Era il vecchio proprietario dei terreni e della casa a fianco dove abitava Roberto con la famiglia. Era venuto per una partita a carte e un bicchiere di vino. Al signor Ginone (così lo chiamavano) piaceva il camino di quella casa. Sarebbe stato ore lì davanti a guardare il fuoco che consumava il tizzone di legno. Ginone non era sposato (si dice perchè beveva troppo e puzzava di capra). Appena sarebbe andato via, Roberto e il padre, facendo molta attenzione, avrebbero portato le casse dalla soffitta alla buca dietro la stalla . Ore undici e quarantasei. Aveva smesso di piovere. I due trasferirono i pesanti fardelli in mezzo al pantano e Roberto, con l’ aiuto di una pala, sotterrò il tutto. La terra bagnata rese invisibile l’operazione. Dietro la stalla sembrava una palude. Un ronzio lontano fece pensare agli aerei e i due si sbrigarono a rientrare in casa. Ora se avesse bussato qualcuno, non sarebbe stato Ginone. Roberto soffiò e spense la luce. Come ogni notte pensò alle facce che aveva visto partire. E di cui non aveva ancora avuto notizia. Il vento si alzava sempre più forte. Sembrava si preparasse una grossa bufera. L’indomani era l’otto settembre. L’otto settembre 1943. Durante la notte il vento aveva spazzato via tutte le nubi e un sole radioso splendeva in quel piccolo paese in provincia di Reggio Emilia. Roberto, dopo aver dato calci alle galline che puntualmente scappavano dal pollaio e gironzolavano per casa, prese la sua bicicletta color verde oliva sbiadito e andò alla cooperativa a prendere quello che poteva prendere. Mentre sbuffava pedalando sulla strada non asfaltata, passando di fianco al caseificio, Roberto rivide la ragazza del giorno prima. Aveva un abito lungo scuro che finiva con dei merletti e dei ricami. Roberto la soprannominò “principessa”. E incrociando il suo sguardo gli fece un gran sorriso. Fecero un pezzo di strada insieme, parlarono un po’ e si salutarono.Quel giorno, nei campi, il sole picchiava ancora forte e di lavoro da fare ce n’ era parecchio. La terra pressata sopra le casse si stava seccando e non si sarebbe notata. Quel giorno doveva essere successo qualcosa di strano. Infatti il Ginone raccontò che a casa sua erano andati dei Carabinieri in divisa, chiesero dei vestit , si cambiarono e lasciarono là le uniformi. Roberto si mise a ridere pensando a un qualsiasi uomo normale con addosso i vestiti del Ginone (che pesava un quintale e mezzo) e si augurò che i vestiti fossero almeno lavati. La casa era poco distante e Roberto non resistette. L’anno venturo si sarebbe arruolato e gli sembrava giusto vedere l’ effetto che dava una divisa. Così andò a casa del suo vicino e indossò un’uniforme di Maresciallo dei Carabinieri. Si specchiò e gli sembrò di aver davanti non quel ragazzino che era, ma un eroe. Anche senza aver fatto niente. L’abito c’era. E in certi casi l’abito fa il monaco. Sognò un giorno di indossare veramente quella divisa e di farsi vedere così dalla ragazza della bicicletta. L’emozione durò poco anche perchè Ginone scappò in città per sapere cosa diavolo era successo quel giorno.“Nei campi le notizie arrivano sempre in ritardo!”, imprecò buttandosi un cappello in testa, dondolando la sua pancia e cercando goffamente di saltare sulla bicicletta.Il sole stava per tramontare e Roberto quella sera aveva appuntamento con degli amici nella cantina della cooperativa, per giocare a carte e fumare qualche sigaretta fatta con le cartine e il tabacco della pipa del nonno. Era ancora presto e mentre stava per uscire di casa, bussò alla porta la ragazza della bicicletta. “ Buonasera” disse. “Ho appuntamento con tua madre, stai uscendo?”. “No,no, magari dopo …entra pure” disse Roberto impacciato, mentre cercava di squadrare la ragazza. Fu colpito dalla sua semplicità. Da come muoveva le mani. Dalle scarpe che indossava. Da come sorrideva. Roberto bighellonò per casa finché la ragazza e sua madre non ebbero finito le chiacchiere, poi si offrì di nascosto di riaccompagnarla verso casa, prima che scendesse la sera. La ragazza non rispose e prese dalla cassetta ciò che la madre aveva acquistato, la salutò e montò sulla bicicletta. “Roberto tu dove vai?”, chiese la madre. “Mi riaccompagna a casa, signora, arrivederci” rispose lei. E Roberto senza replicare nulla montò in sella. I due pedalavano e parlavano, ridevano e scherzavano. Roberto la guardava negli occhi. Poi si fermarono, di fianco alla fontanella, nella piazzetta della cooperativa. La ragazza abitava li vicino. Quella sera il tramonto era rosso, ma grosse nubi all’orizzonte stavano per avvicinarsi. Roberto non ci pensò, le prese le mani, la portò verso di se. Si avvicinò a lei e la baciò. Era l’otto settembre. Scappavano tutti. I tedeschi sparavano. Gli aerei passavano. Alla casa di Ginone qualcuno diede fuoco. Non si scoprì mai il colpevole. Ed il povero Gino quella notte rimase a vedere le fiamme che lentamente divoravano la sua casa.A Roberto tutto questo ruotava attorno, ma l’ unico mondo che voleva vedere era dentro gli occhi di quella ragazza. Poco più di cinquant’anni dopo Roberto morì, in un letto d’ ospedale. Mentre il nipote (che si chiamava come lui ) rientrava a casa dalla bottega del padre.Ai funerali, in disparte e lontano da tutti, qualcuno vide una vecchietta che nessuno conosceva. Era minuta e ricurva su un bastone. Era vestita di nero, in un’ abito ricamato di merletti. Aveva un fare semplice e molto educato. Arrivò, sfiorò le mani del defunto e se ne andò.
29 luglio 2008 alle 6:48 pm
continua il tuo romanzo a puntate
grazie