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L’INIZIO

Pubblicato da rossanocrotti il 15 agosto 2008

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Roberto accettò l’ invito di Cristiano per quella. Andarono a vedere un concerto. Dopo il funerale, anche se non aveva granché voglia di divertirsi, sentiva comunque il bisogno di distrarsi. Salì al decimo piano e l’amico aprì la porta del ben arredato bilocale. “ Vuoi una canna?”, gli chiese accogliendolo in mutande e con un panino al tonno in mano che gocciolava olio sulla moquette. Roberto gli rispose con uno sguardo che non lasciava interpretazioni. La stanza era ordinata nel suo disordine. Lo stereo era appoggiato su una pila di giornali, in un angolo il sacco del pattume e sul divano un piatto con i resti della misera cena. Al centro della parete, la grande finestra mostrava un panorama di luci che si muovevano freneticamente in quel Venerdì sera qualunque.Roberto e Cristiano decollarono con la macchina verso quel carnaio umano maleodorante di sudore e birra a sentire uno stronzo che urlava. Lo chiamavano  “concerto”. Il loro mezzo di trasporto rimase diffidentemente parcheggiata in un campo in mezzo ad altre sue simili, tutte con un bigliettino colorato sotto al tergicristallo. Il rumore era già percettibile. I due erano a circa cinquanta metri dalla folla. L’imbecille stava per cominciare. E Roberto  si stava già pentendo di essere lì. Stavano per essere inglobati da una massa di corpi urlanti (cazzo urlano?, pensò) mentre Cristiano era sempre più preso da quell’assordante frastuono che si disperdeva nel campo dell’arena per poi venire coperto dalle urla e di nuovo rimbombare e crescere volando sopra le loro teste.Fu un attimo. Quando il rumore cessò per un istante, Roberto vide un ciuffo di capelli raggruppato  con un fiocco colorato. E sentì  nettamente un profumo che già aveva sentito. Forse lei lo riconobbe, o forse no . Comunque fra i due c’era stato uno sguardo d’intesa chiaro e pulito. Il cielo con le sue stelle brillava. L’ aria era calda. Il rumore diventava sempre meno importante. Il cuore di Roberto batteva forte. Si fece coraggio, alzò la mano e la appoggiò sulla spalla della ragazza. Lei si girò e sorrise. I suoi occhi erano nerissimi. Non era alta ma ben proporzionata e come accadde più di cinquant’ anni prima, piano piano tutto quello che ruotava intorno perdeva importanza. Roberto si tuffò in quegli occhi come un beduino si tufferebbe nell’oasi dopo aver attraversato il deserto. I due senza parlarsi si allontanarono piano piano.“Non ce la facevo più” , disse lei ansimando. (Allora parla), pensò lui  e i due iniziarono una chiacchierata  spontanea che senza presentazioni tirarono avanti per un paio d’ore.Sembrava si conoscessero da una vita. E Roberto quella sera, seduto in disparte con un filo d’erba in bocca e accanto alla ragazza, per la prima volta dopo anni si sentiva a suo agio. Non aveva timori su come comportarsi. Cristiano era disperso, ma Roberto gli avrebbe fatto un monumento. A notte tarda diede appuntamento alla ragazza per il giorno dopo. E per quello dopo ancora. Li potevi trovare ovunque, per strada o dentro i bar che chiacchieravano e ridevano.  Così, Roberto smise di dar vita al suo mondo parallelo. Si era innamorato. Si sentiva realizzato. Ora aveva uno scopo, ora sapeva con chi passare le Domeniche e chi sognare la notte. Ora si. Ora tutto prese vita.Da allora io diventai Roberto.Diventammo una sola unica persona. Il sogno divenne realtà definitivamente  e  il piccolo paese in provincia di Reggio Emilia rimase un mitico posto che tutti potevano immaginare come un qualsiasi pezzo del nostro paese o magari una buona idea per scriverci un libro. E la mia Valeriana rimase sola, nella sua dimensione. Rimase nell’ immaginario collettivo di chiunque cerca il valore vero e concreto di una vita da costruire. Nell’ultimo sogno Valeriana traslocò, in una giornata di primavera, in un luogo senza tempo. E rimase solo il ricordo. Ora era vita reale i sogni solo sogni .   “Porco cane, è ora che le sistemino le strade, porco cazzo, sennò le sospensioni gliele faccio pagare al comune”…….(pernacchia acuta da dietro). Disse il cugino P scendendo dal camion. “Ciao mezze seghe, chi è lo stronzo che mi offre da bere”, esclamò entrando in bar. Quella mattina, nel piccolo paese, le nubi si spostavano velocemente in cielo e il cugino P. le guardava e pensava al suo sogno. Il sogno di guidare il suo camion e accelerare sempre più forte sino ad alzarsi da terra per poi spiccare il volo. E volare, sopra tutto e tutti e dall’ alto partorire un grosso rutto liberatorio.Il cugino P uscì dal bar, la temperatura quel giorno era ideale, forse era primavera o forse autunno. Era una giornata di questo pezzo di storia di fine millennio.  

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