Doppio intrigo per Norman Parker
Pubblicato da salvatorefrancone il 31 marzo 2008
Doppio intrigo per
Norman Parker
Misterioso decesso durante il concerto di apertura della stagione di musica lirica tenuto ieri al Royal Opera House. La famosa soprano francese Yvette Bourgueis aveva concluso brillantemente la prima parte della sua esibizione e si accingeva a ringraziare il pubblico per la moltitudine di omaggi floreali che continuavano a giungere sul palco accompagnati da calorosi applausi. La vedette aveva attirato, nel famoso teatro della zona di Covent Garden, un enorme numero di spettatori che aveva fatto registrare il tutto esaurito. L’intervento degli uomini della polizia è stato tempestivo ma non è riuscito a stabilire la causa di una morte tanto improvvisa quanto inaspettata.
Tutto farebbe pensare ad una paralisi cardiaca ma coloro che la conoscevano escludono l’ipotesi in quanto la donna era sanissima sotto questo aspetto; qualcuno, invece, ipotizza che potrebbe trattarsi di omicidio ma non è stata ritrovata alcuna traccia utile ad avvalorare tale tesi. Sul corpo della sventurata non è stata rinvenuta alcuna ferita ne altri segni che possano indurre a pensare ad un omicidio. Il cadavere, pertanto è stato affidato all’esame del Coroner da cui si attende un responso definitivo. Pertanto tutto sembra coperto dal massimo riserbo mentre il caso si avvolge in una coltre di mistero. Secondo voci non ufficiali, le indagini del caso sarebbero state affidate all’ispettore Norman Parker della sezione omicidi di Scotland Yard, noto per aver già risolto brillantemente altri complicati casi avvenuti nella nostra città .
Così si leggeva alle prime pagine del Times e del Daily News usciti la mattina di…
lunedì 21 febbraio 1937.
Era una mattina talmente grigia ed uggiosa che sembrava scoraggiare la gente dall’uscire dalle proprie case. La neve accumulatasi nei giorni precedenti si stava sciogliendo a causa di una pioggia frustante che, contro ogni possibile previsione, aveva preso il posto dei candidi fiocchi creando sul selciato una fanghiglia gelida ed insidiosa. I passi di Norman Parker risuonavano gracidanti nella strada deserta. Il suo sguardo di rivolse al terzo piano dell’imponente edificio della storica sede di Scotland Yard; la finestra del suo ufficio era già illuminata.
“Complimenti Norman, -disse il detective Gordon- il tuo nome è su tutti i giornali di Londra.”
“Già. -rispose- Vorrei solo sapere chi ha messo in giro questa notizia. Quel caso non è stato affidato a me!”
“Ne sei proprio certo? Se fossi in te guarderei sulla tua scrivania. Se non sbaglio dovrebbe esserci una comunicazione scritta che arriva direttamente dal gran capo. Ieri sera, quando è accaduto il fatto, ti abbiamo cercato ovunque ma tu eri letteralmente sparito. Sembra quasi che diventi invisibile quando non sei in servizio. Ma dov’eri?”
Norman lesse il biglietto dell’ispettore capo Dawson, sul suo viso apparve un sorrisetto ironico.
“E’ vero, -disse- pare proprio che il caso sia di mia pertinenza. Mi chiedevi dov’ero? Ero a cena con mia moglie in un ristorante di Covent Garden, nei pressi del Royal Opera. Purtroppo la notizia della disgrazia mi è giunta troppo tardi. Quando sono arrivato sul luogo voi eravate già andati via ed il corpo era già stato prelevato dal Coroner. A quel punto non mi restava che dare un’occhiata in giro e ritornarmene a casa, tanto più che non ero in servizio né tanto meno sapevo che quel caso venisse affidato a me. Ma ora che lo sappiamo, ci conviene metterci subito al lavoro.”
“Perché parli al plurale?” –domandò Gordon-
“Perché sembra proprio che in questa indagine saremo costretti a lavorare in coppia. Sei stato scelto come mio aiutante e devo ammettere che, se fosse dipeso da me, avrei fatto la stessa scelta.”
“Anche per me è un vero piacere Parker, come intendi procedere?”
“Per prima cosa bisognerà conoscere i risultati dell’autopsia poi interrogare ogni componente dell’orchestra, cominceremo dal direttore. Tu, strada facendo mi racconterai dettagliatamente ciò che hai visto ieri sera quando arrivasti sulla scena del presunto delitto.”
“Quel che mi ha colpito immediatamente, -raccontò Gordon- è stato il suo profumo, era molto dolce ma così penetrante da dar fastidio. Aveva ancora tra le mani un bellissimo fascio di fiori, ma tranne questo non c’era nulla di strano, l’ipotesi di un omicidio mi sembra assolutamente da scartare. Non riuscirei neanche ad immaginare quale arma potrebbe aver usato l’assassino. Un’arma da fuoco sembrerebbe da escludere poiché a detta dei presenti non si sentì alcuno sparo ne altro rumore simile. D’altronde il corpo della vittima non presenta alcun foro da arma da fuoco”
“Non è detto. –rispose Parker- Immagina un revolver di piccolo calibro usato durante l’esecuzione di un brano musicale in un grande teatro come il Royal Opera, nel momento in cui viene dato un colpo di gong, ad esempio, i due suoni si fonderebbero insieme e probabilmente lo sparo si sentirebbe ben poco. Naturalmente questo non è il nostro caso. L’altra ipotesi è quella di escludere qualsiasi arma da fuoco, come dicevi poc’anzi. Ma ciò ci porterebbe a pensare ad armi inusuali per il nostro tempo come balestre, archi, frecce, fionde, lance e cerbottane, ma questa ipotesi mi sembra piuttosto remota anche perchè in mancanza di ferite sono ipotesi da escludere completamente. ”
“Ecco quella che potrebbe essere la causa della morte. –disse il medico legale- Una piccolissima puntura, quella di un’ape, infatti all’interno della puntura abbiamo trovato il suo pungiglione. Come saprete si tratta di un veleno che solitamente non è letale per l’uomo, fatta eccezione per chi ne sia particolarmente allergico. In tal caso potrebbe provocare uno shock anafilattico.”
“In quanto tempo sopraggiunge la morte dopo essere stati punti?” –chiese Parker-
“Non è facile stabilirlo. –rispose- Solitamente il veleno prodotto dalle api, nell’uomo si limita a provocare un banale dolore accompagnato da gonfiore e solo in casi rari provoca la morte; si tratta di soggetti allergici ipersensibili alla tossina. Diciamo che in linea di massima la morte sopraggiunge entro un paio d’ore, se non si è intervenuti con un farmaco appropriato, anche se i tempi di assimilazione del veleno possono variare ampiamente da soggetto a soggetto. L’insetto, invece perde il pungiglione e muore quasi subito dopo.”
“Piuttosto singolare perdere la vita in questo modo, –soggiunse Parker- considerando che due ore prima del decesso la donna era ancora sul palcoscenico o forse nel suo camerino. Consideriamo, anche, che siamo in una grande città dove la presenza di questi insetti è rarissima, specialmente in pieno inverno. Che morte assurda, per quanto si possa lavorare di fantasia, non riesco a capire come sia potuto accadere. Mio caro Gordon, credo che tu debba cominciare ad indagare sulla vita privata della vittima. Io, nel frattempo comincerò ad interrogare i componenti dell’orchestra. E’ un incidente troppo banale per essere una semplice fatalità Ci vediamo domattina in ufficio.”
Parker si recò immediatamente al Royal Opera e dopo aver presentato il suo distintivo al direttore artistico chiese un elenco di tutti coloro che facevano parte dell’orchestra poi gli domandò se la sera dell’omicidio avesse notato qualcosa di strano.
“Assolutamente nulla. –rispose- Vede ispettore i nostri spettacoli vengono provati e riprovati fino a sfiorare la perfezione, per cui difficilmente può accadere qualcosa di anomalo.”
“Capisco ma mi scusi se insisto, non ricorda, per caso, di aver notato del nervosismo, della tensione in qualcuno dei musicisti o degli altri addetti?”
“No, non mi pare. D’altra parte si tratta di decine di persone e, sebbene siano quasi tutti dei veterani, la sera di una prima importante c’è sempre un po’ di emozione e quella sera c’era anche un po’ di tensione poiché il maestro Hunter era arrivato in teatro con un ora di ritardo e quindi le ultime prove che ritualmente si fanno prima di uno spettacolo importante dovettero essere ridotte all’essenziale. Tranne questo particolare, -concluse- non ho notato proprio nulla di strano.”
Dopo essersi congedato, Parker si fece accompagnare nel camerino della cantante nella speranza di trovare una traccia, un indizio. A prima vista sembrava essere tutto in ordine ciononostante elencò scrupolosamente tutto ciò che aveva trovato, una volta chiusa la porta del camerino estrasse la chiave e se la mise in tasca.
“Temo che dovrete fare a meno di questo camerino. L’accesso, per ora, sarà limitato ai soli agenti di polizia.
Uscì dal teatro dirigendosi verso l’abitazione del direttore d’orchestra.
Arrivato davanti al custode gli chiese:
“Abita qui il signor Hunter?”
“Certo signore, terzo piano interno dieci.”
“E’ da molto tempo che vive qui?” –soggiunse-
“Se intende il maestro sono circa tre anni.” –rispose il custode- Io abito qui da quasi cinquant’anni, il che significa più della metà di tutta la mia esistenza.”
“Lei lo conosce bene… il maestro?”
“Ma perché mi fa tutte queste domande? non sarà mica della polizia? non starà indagando sull’omicidio di quella cantante per caso?”
Annuendo Parker mostrò le sue credenziali quindi pregò il suo interlocutore di rispondere alla sua
domanda. L’uomo ebbe un attimo di esitazione poi, dopo aver guardato attentamente il distintivo di Parker , si decise a parlare:
“Non posso certo dire di conoscerlo bene. Il maestro non è un tipo molto loquace, se incontra qualcuno per la strada, saluta a testa bassa e cammina oltre. Posso affermare con certezza di non averlo mai visto in compagnia di alcuno e nessuno mai è venuto a fargli visita. Da tre anni esce e rincasa sempre alla stessa ora. Nel nostro condominio non riscuote le simpatie di nessuno ma nello stesso tempo mai nessuno ha avuto modo di lamentarsi di lui. Io dal mio canto ho cercato varie volte di scambiare quattro chiacchiere ma non c’è stato verso di intavolare un discorso. Dice sempre di essere molto occupato, saluta frettolosamente e sparisce su per le scale.”
Improvvisamente il custode cambiò letteralmente espressione, portando la mano destra alla fronte come se avesse ricordato qualcosa di molto importante.
“Mi perdoni ispettore, -disse- temo di aver detto un’imperdonabile inesattezza affermando che non ha ricevuto mai visite ma le giuro che mi era completamente sparito dalla memoria, tutta colpa della mia veneranda età, ormai sono prossimo ai novanta ma sono ancora attivo, mi creda. Come le dicevo qualcuno è venuto a fargli visita proprio ieri pomeriggio.”
“Suppongo che non avesse mai visto prima quell’uomo.” -disse Parker-
“Mai visto prima, -rispose- ma se devo essere sincero dovrei dire non averlo visto ne prima ne durante ne dopo.”
“Cosa vuol dire.” –chiese Parker-
“Vuol dire che quell’uomo aveva il volto coperto fin sopra il naso da una lunga sciarpa di seta bianca, indossava una bombetta nera e piccoli occhiali fumè, del suo volto non si poteva vedere assolutamente nulla.”
“Non ricorda nessun particolare, qualcosa di insolito, nel suo atteggiamento, o nella voce?”
-chiese Parker-
“Ora che mi ci fa pensare aveva una voce strana, molto bassa. Quando gli ho chiesto dove andasse mi ha risposto semplicemente Hunter. Quando poi è andato via, nel dirmi buonasera, ho avuto l’impressione che fosse addirittura rauco. ”
“Ricorda che ora era e quanto tempo si trattenne dal maestro Hunter?”
“Non doveva essere più tardi delle diciassette, il sole era tramontato da poco. L’uomo non si trattenne molto, mezz’ora, forse tre quarti d’ora. Ricordo di averlo visto andar via, passò davanti alla mia guardiola a testa bassa, mi salutò senza neanche rivolgermi uno sguardo.”
“La ringrazio, -disse Parker- mi è stato di grande utilità. Ora vorrei fare quattro chiacchiere con il maestro, non sa dirmi se è in casa?
“Veramente sono almeno un paio di giorni che non lo vedo uscire ma non me ne meraviglio, non è la prima volta che si chiude in casa senza uscire per giorni e giorni. Una volta, preoccupato, andai a bussare alla sua porta chiedendogli se stesse bene e se avesse bisogno di qualcosa. Per tutta risposta mi disse che non erano affari miei e che non aveva bisogno di nulla. Ora ho imparato la lezione e anche quando per qualche giorno non lo vedo uscire di casa mi astengo dal salire a domandargli il perché.”
“La capisco. –rispose Parker- Terzo piano interno dieci –soggiunse- non è vero?
“Esattamente. –rispose il custode- Dovrà salire a piedi l’ascensore è guasto.”
L’ispettore si incamminò su per le scale di marmo grigio. In quei giorni aveva piovuto a dirotto ed i gradini erano sporchi di fango proveniente dalla strada, trasportato dalle scarpe degli abitanti del palazzo ma arrivato al pianerottolo del terzo piano le impronte di fango si interrompevano.
“Strano saranno state pulite da poco.” –pensò-
Quando arrivò alla porta del maestro, Parker bussò più volte al campanello ma non vi fu alcuna risposta. Aspettò ancora qualche minuto poi iniziò a battere energicamente con la mano ma il risultato non cambiò. Prima di andar via l’ispettore diede un’occhiata alle scale che proseguivano per il quarto piano: fango anche lì. Ritornato al cospetto del custode gli chiese se era veramente sicuro di non averlo visto da un paio di giorni. Il custode affermò che l’ultima volta che lo aveva visto fu poco prima della visita del misterioso personaggio dagli occhiali scuri.
“Era rientrato da poco quando ebbe la visita di quell’uomo.”
“E da allora non è più uscito di casa?” –chiese Parker-
“Proprio così. Vede ispettore, non lasciamo mai la guardiola incustodita. Quando devo allontanarmi c’è sempre mia moglie a sostituirmi. Le assicuro che nessuno potrebbe passare di qui senza essere notato.”
“Devo smentirla, purtroppo. -Affermò Parker- Il maestro Hunter, ieri sera si trovava al Royal Opera a dirigere l’orchestra per l’apertura della stagione lirica, durante la quale è stata uccisa la cantante Yvette Bourgueis. A questo punto viene spontaneo pensare che lei o sua moglie non abbiate notato Hunter che usciva per recarsi a teatro, non le pare?”
“E’ vero, -disse- come avrò fatto a non pensarci prima. Hunter, ieri sera, doveva dirigere l’orchestra e l’ha fatto a quanto pare ma di qui non è uscito, potrei metterci la mano sul fuoco.
La pioggia non aveva dato che brevi, sporadiche tregue ma il freddo non accennava a mitigarsi. C’era da chiedersi come mai non nevicasse. Ovunque si respirava l’odore forte ed acre del fumo dei ceppi ardenti dei camini accesi, un fumo nero che sembrava tingere ogni cosa. Unici punti bianchi i lampioni ancora accesi in quel paesaggio irreale, tenebroso, del tutto simile ad un vecchio disegno a china o a carbone.
Martedì 22 febbraio ore 7,45.
Gordon metteva al corrente Parker dei primi risultati delle sue indagini sulla vittima:
“Yvette Bourgueis era nata a Parigi trentacinque anni prima, da madre francese e padre londinese. Si trasferì a Londra all’età di quindici anni quando suo padre dovette tornare in patria per motivi di lavoro. A venticinque anni era già una cantante di grande successo, richiesta dalle maggiori orchestre d’Europa. Era continuamente in viaggio ma risiedeva stabilmente a Londra nella casa dei genitori ancora viventi. La cosa strana è che, sebbene fosse una donna indubbiamente affascinante, non era sposata ne, pare, avesse alcuna relazione.
“Non è molto ma meglio di niente. -rispose l’ispettore- Purtroppo tra le tue indagini e le mie possiamo dire, senza ombra di dubbio, di essere in alto mare. C’è qualcosa, però che mi lascia perplesso ed è la sicurezza del custode nell’affermare che Hunter non si era mosso di casa da almeno due giorni.”
“Ma di cosa stai parlando?”
“Un attimo di pazienza e lo saprai.”
“Capisci, Gordon? –disse Parker alla fine del suo racconto” Il custode asserisce di essere certo che Hunter non sia uscito di casa pur sapendo benissimo che la sera del giorno 20 il maestro dirigeva l’orchestra al Royal Opera. Vedi –soggiunse- quell’uomo sa perfettamente che la sua affermazione è in netta contraddizione con i fatti ma lungi da lui l’idea che Hunter sia potuto uscire di casa senza che lui l’abbia visto.”
“Tu cosa ne pensi?” –chiese Gordon-
“Non oso pronunciarmi, almeno per ora. Piuttosto, c’è un particolare che forse può sembrare insignificante ma che continua a tormentarmi: il pavimento del pianerottolo del terzo piano del palazzo in cui vive Hunter era perfettamente pulito, mentre l’ingresso ed i primi due piani erano piene di impronte di scarpe bagnate, così come le scale che proseguivano verso il quarto.”
“Può darsi che Hunter fosse un maniaco della pulizia ed avendo notato che fuori dal suo appartamento si era formato del fango si fosse preoccupato di ripulirlo, senza contare che aspettava una visita e che forse l’uomo in nero era una persona di riguardo con la quale, magari, aveva interesse a fare una buona impressione.”
“Non credo, amico mio. Per due buoni motivi: per prima cosa, se il pavimento fosse stato pulito prima dell’arrivo dello sconosciuto, avremmo dovuto trovare almeno le sue impronte. Perciò deduco che la pulizia sia stata fatta dopo la visita dell’uomo in nero. Per seconda, Hunter non aspettava alcuna visita, un tipo puntuale e metodico come lui non avrebbe dato un appuntamento un’ora prima delle prove generali, con il rischio di arrivare tardi a teatro come poi si è verificato. Comunque sia la prima cosa da fare è quella di procurarci immediatamente un mandato di perquisizione onde poter penetrare nell’appartamento di Hunter, forse in quella casa potremo scoprire qualcosa in più.”
Un’ora dopo i due varcavano la soglia del grande portone e avvicinatosi alla guardiola, Parker scorse il pallido viso dell’anziano custode i cui occhietti neri e vispi scintillavano al di sotto di due folte e candide sopracciglia.
“Buongiorno ispettore. –disse- Qual buon vento?”
“Le presento il tenente Gordon, è il collega che mi sta affiancando nelle indagini del caso Bourgueis. Siamo qui con un mandato di perquisizione, dovremmo dare un’occhiata all’apparta-mento di Hunter, sempre che in questo frattempo non si sia fatto vivo.”
“No, ispettore di lui non si è vista nemmeno l’ombra.”
“Bene, -replicò Parker- se permette andiamo a fare un sopralluogo. Può salire anche lei se vuole.”
“Preferisco di no. –rispose- L’ascensore è ancora fuori uso ed alla mia età tre piani di scale sono faticosi da salire.”
“A quanto ho capito lei sale solo con l’ascensore. Non è lei, quindi che si occupa delle pulizie giornaliere!”
“No! Infatti. Sono già diversi anni che, sia io che mia moglie, non ce ne occupiamo più. E’ un ragazzo ad occuparsene per conto nostro ed a nostre spese. Viene a giorni alterni al mattino presto, prima che gli inquilini escano per le loro faccende.”
Arrivati al terzo piano Parker e Gordon bussarono vigorosamente alla porta dell’interno dieci ma come già si aspettavano nessuno rispose. Gordon estrasse dalla tasca del paletot un astuccio con numerosi chiavistelli e cominciò ad armeggiare sapientemente nella serratura. In men che non si dica furono all’interno dell’appartamento. I due entrarono lentamente guardandosi bene dal toccare qualunque cosa. Le tende delle finestre erano completamente chiuse e la luce fioca del pianerottolo entrando dalla porta lasciata aperta non riusciva ad illuminare sufficientemente l’ambiente, bisognava aprirle. Aperte le tende Parker guardò fuori: la pioggia di un improvviso temporale arrivò inaspettata sui vetri delle finestre conferendo all’ambiente un aspetto ancora più austero, quasi lugubre.
“Allegra come casa vero?” –osservò Gordon-
“Già. –rispose Parker- Come tutti gli artisti deve essere un tipo piuttosto trascurato almeno a giudicare dalla polvere e dal disordine. Come vedi ciò smentisce che Hunter potesse essere un maniaco per la pulizia, come tu avevi supposto. Che senso avrebbe avuto preoccuparsi della pulizia del pianerottolo quando la casa era sporca ed in disordine?”
In camera da letto tutto era rimasto come il maestro l’aveva lasciato dall’ultima volta che vi aveva dormito il letto era, quindi, disfatto. Nel guardaroba numerosi abiti da sera impeccabilmente stirati emanavano un gradevolissimo profumo maschile. L’ispettore osservava attentamente ogni cosa nella speranza di poter trovare un idizio che potesse essergli utile per le sue indagini ma la fortuna sembrava non volergli arridere.
“Nulla di interessante, vero Parker?”
“Così sembra, amico mio. Converrà dare una frugatina anche ai cassetti ma mi raccomando non toccare nulla senza prima aver messo i guanti.”
Dalla minuziosa perquisizione non emersero che pochi ed apparentemente insignificanti effetti personali del maestro: diverse partiture musicali, qualche fotografia scattata in compagnia di altri musicisti o mentre dirigeva qualcuna delle molteplici orchestre sparse per l’Europa. Sulla sua scrivania ancora spartiti musicali ed alcune targhe ricordo ricevute nelle sue numerose tourneé.
“Che strano, -osservò Gordon- nemmeno una fotografia di sua moglie o dei familiari, si direbbe un uomo completamente solo.”
“E’ esatto fino ad un certo punto. –rispose Parker- Ho racimolato qualche notizia qua e la nell’ambito del Royal Opera House e pare che sia rimasto vedovo cinque anni or sono, quando viveva ancora nella sua terra natia, la Germania. Pochi mesi dopo si trasferì in Francia dove si stabilì per circa due anni ed infine qui a Londra in questa casa dove vive da circa tre anni per quanto riguarda i genitori non sono riuscito a reperire alcuna notizia, tranne alcune voci secondo cui Hunter padre sarebbe stato un alto ufficiale dell’esercito germanico ma come dicevo si tratta di semplici voci probabilmente senza fondamento. A quanto pare il maestro conduceva una vita piuttosto solitaria e dopo la perdita di sua moglie non ha avuto altre relazioni sentimentali ne ha intrecciato amicizie di alcun genere. Anche con gli elementi dell’orchestra aveva un rapporto formalmente professionale, nulla di più. Si ignora anche dell’esistenza di altri eventuali parenti, ad eccezione di un lontano cugino con il quale aveva uno scambio di corrispondenza ma nulla di assiduo. Come vedi amico mio è davvero una figura a dir poco enigmatica.”
“Scusami Norman mi spieghi perché ne parli al passato? Sembra quasi che tu lo creda morto.”
“Non so dirti il perché, -rispose- ma ho come il presentimento che gli sia accaduto qualcosa di spiacevole.”
I due richiusero la porta con lo stesso sistema con cui era stata aperta e cominciarono a scendere lentamente le scale. Parker procedeva a testa china con l’aria di chi è tormentato da un pensiero assillante. Non riusciva, infatti, a trovare una spiegazione alle affermazioni del custode. Come aveva fatto Hunter ad uscire dall’appartamento e recarsi in teatro senza esser visto? Chi era il misterioso personaggio che gli fece visita? e perché l’ultima rampa di scale era stata pulita nel pomeriggio e da chi, considerato che l’addetto alle pulizie svolgeva il suo lavoro esclusivamente di mattina presto?
Erano queste le domande a cui Parker doveva dare una risposta. Tutto ciò era certamente legato alla scomparsa di Hunter e forse all’assassinio della cantante ma la matassa non era certo facile da dipanare.
“A cosa devo attribuire questo tuo strano mutismo? –chiese Gordon- non dirmi che ti sei già fatto un’idea di quanto sia potuto accadere in quell’appartamento?”
“Mi sopravvaluti. -rispose- E’ pur vero che la persona a cui ti rivolgi è il miglior investigatore di cui Scotland Yard possa avvalersi attualmente, sicuramente colui che conta il maggior numero di casi risolti con successo, ma non certo famoso per avventatezza. Dammi il tempo necessario e qualcosa ne verrà fuori. Tanto per cominciare, ho la precisa sensazione di aver imboccato la strada giusta. Andremo avanti con l’indagare sui componenti dell’orchestra ma è per pura pignoleria. I personaggi del nostro caso stanno già prendendo forma nella mia mente, anche se non so ancora quale ruolo attribuire loro. Le vittime e gli assassini, spesso, diventano tutt’uno. A volte si trovano talmente vicini da essere confusi gli uni con gli altri. Chiaro no?”
“Ci capisco sempre meno, – rispose Gordon – complimenti per la modestia, comunque.”
Arrivati all’ingresso trovarono l’immancabile custode che ansiosamente chiese:
“Trovato niente ispettore?”
“Nulla di interessante temo. Comunque mi avverta immediatamente nel caso in cui il professor Hunter si faccia vivo nell’arco delle 48 ore in caso contrario darò ordine di sigillare l’ingresso del suo appartamento. A presto.”
Parker porse la mano al custode che, per tutta risposta, ritrasse la sua.
“Mi perdoni se non le stringo la mano, ma le mie sono tutte tinte di nero. E’ per colpa di questo pezzo di carbone. E’ stato trovato tra i contatti dell’ascensore. L’operaio dice che il guasto dipendeva proprio da questo. Ora funziona perfettamente.
“Un pezzo di carboncino da disegno. –Osservò Parker- Le risulta che qualcuno degli abitanti in questo palazzo ne faccia uso per professione o per diletto?
“Nessuno, che io sappia. Non ci sono artisti qui, tranne Hunter:”
“Le dispiace se lo tengo io?” -chiese Parker-
“Certo che no, –rispose il custode- lo tenga pure, io non saprei proprio che farmene.”
L’ispettore prese il pezzo di carbone e lo ripose delicatamente in una bustina di carta.
“Mettilo in borsa. –disse rivolgendosi al suo aiutante- Ed ora seguimi, si ritorna al terzo piano e questa volta si sale in ascensore.”
L’atteggiamento di Parker lasciò il suo collega completamente disorientato. Avevano perquisito l’appartamento di Hunter senza tralasciare neanche il più insignificante dei dettagli ed ora lui decideva di tornare su al terzo piano solo per un pezzetto di carbone trovato tra i contatti elettrici dell’ascensore. Mentre Gordon si arrovellava il cervello per capire il nesso tra il pezzo di carbone e le loro indagini, Parker osservava accuratamente l’interno dell’ascensore. Quando furono al terzo piano aprì le porte e con la lente d’ingrandimento esaminò i contatti elettrici. Sempre con la stessa lente osservò il pavimento del pianerottolo del terzo piano, palmo a palmo. Poi fu la volta della vecchia porta d’ingresso dell’appartamento di Hunter. Non un solo centimetro dell’infisso fu risparmiato ed alla fine sul volto di Parker apparve, come per magia, un sobrio sorriso di compiacimento.
“Vuoi essere così gentile da dirmi cosa sta accadendo? Hai l’aria del segugio che ha appena annusato un tartufo. Io però non vedo altro che una vecchia, consunta, porta d’ingresso.”
“Guarda tu stesso attraverso la lente, osserva questo punto preciso. Non vedi delle linee che formano una figura geometrica?”
“Perbacco! –rispose Gordon- Sono molto lievi ma con la lente riesco a vederle anch’io. Sembrano comporre un triangolo equilatero.”
“Esatto, -rispose- ma se allarghi la visuale noterai che esiste un secondo triangolo capovolto che si interseca con il primo e se guardi il disegno nella sua totalità, noterai che si tratta di una rudimentale stella a sei punte. La cosiddetta stella di David.”
“E’ vero. –osservò Gordon- Se non erro è un simbolo che si incontrava molto spesso nei trattati di alchimia.”
“Non solo in alchimia ma anche in magia. Infatti le si attribuiva un potere benefico che serviva a scacciare le entità maligne e ad invocare quelle benevole ecco perché veniva definita lo scudo di David. Ma chi e perché l’ha disegnata su questa porta? Di certo non il maestro, anzi credo sia stato proprio lui a cancellarla. Ho la vaga idea che l’autore del disegno sia proprio il fantomatico uomo dagli occhiali scuri.”
Dopo essersi procurato un foglio di carta assorbente, Parker lo inumidì e lo stese sul quel disegno quasi invisibile poi facendo pressione con le mani cercò di farlo aderire il più possibile al legno. Quindi lo staccò lentamente. In questo modo il carbone aveva lasciato il suo segno anche sul foglio.
“Può anche darsi che ciò non servirà a nulla ma, di sicuro, questo simbolo deve avere un significato, sia per colui che lo ha eseguito che per colui che ha cercato di eliminarlo. –disse Parker- Ad ogni modo qui non ci resta altro da fare.” –concluse-
Gordon stava per entrare in ascensore ma Parker gli fece cenno di chiuderne le porte e di seguirlo per le scale.
“Domattina manda un agente a sigillare la porta dell’appartamento di Hunter. –ordinò Parker- Nel frattempo avvertiremo il custode di stare con gli occhi ben aperti, non vorrei che qualcuno entrasse in quella casa a nostra insaputa. L’intrusione di chiunque potrebbe compromettere il lavoro della scientifica.”
“Parli di mandare la scientifica, di mettere i sigilli alla porta? Mi pare che tu dimentichi la cosa più importante: qui non è successo nulla di strano tranne un ascensore bloccato da un pezzo di carboncino da disegno ed una stella disegnata su di una porta. Non ti sembra troppo poco per scomodare anche i colleghi della scientifica? Ho l’impressione che tu ti stia arrampicando sugli specchi.”
“Sarà come dici tu… ma non senti uno strano odore nell’aria?” –rispose evasivamente Parker-
“E’ appena percettibile. Magari è qualcuno che sta cucinando del pesce, non trovi?.”
“Sai che ti dico? –riprese Parker- Dimentica quel che ti ho detto prima. Domattina insieme a quell’agente che manderò per apporre i sigilli ci sarò anch’io, Tu, invece, ti dedicherai ad approfondire le indagini sul passato della vittima.”
Finalmente le nuvole erano state spazzate via da un vento freddo e leggero ma costante. L’orologio della cattedrale aveva da poco suonato la mezzanotte e la pioggia aveva smesso di tintinnare sui tetti inzuppati. Solo pochi, isolati, cirri galleggiavano sparsi in un cielo nero punteggiato da poche stelle velate. Il mattino dopo le strade erano coperte da una sottile coltre di ghiaccio resa ancor più candida dal sale che qualcuno di buon senso si era prodigato a spargere senza parsimonia.
Mercoledì 23 Febbraio ore 7,30.
L’ispettore Parker prima di recarsi in centrale passò dal Dr. Preston della scientifica. Gli raccontò del caso su cui stava indagando e di quel poco che era emerso dall’inchiesta appena iniziata.
“Ben poca cosa.” –osservò Preston-
Parker era cosciente che la sua richiesta non era del tutto regolare ma seguiva il suo fiuto, come aveva sempre fatto.
“Agisci come sempre: di tua iniziativa e non pensi al rischio che stai correndo. Se sbagli distruggerai la tua reputazione e tanti anni di ottimo lavoro.”
“Sono certo di aver imboccato la strada giusta.” –rispose-
Il medico legale annuì sorridendo. Sapeva che era inutile cercare di dissuaderlo e sapeva anche che le intuizioni di Parker si erano dimostrate sempre esatte quindi si arrese cedendo alle sue insistenze.
“Ok! Norman, mi hai convinto. –disse- Ci vediamo sul posto alle nove in punto.”
“Ti ringrazio Preston, mi troverai con un mio agente. Aspetteremo il tuo arrivo prima di entrare nell’appartamento del maestro.”
Erano appena le otto e trenta ed il palazzo di Hunter era già aperto e ben pulito. L’immancabile figura del custode faceva capolino, come sempre, dalla vecchia guardiola. Dopo averlo salutato, Parker si avvicinò all’ascensore per salire al terzo piano. Annusò per qualche istante l’aria e si accorse che il cattivo odore avvertito il giorno prima non era affatto sparito anzi ebbe l’impressione che questo fosse diventato perfino più penetrante.
“Senti niente tu.” –chiese all’agente-
“E’ qualcosa di maleodorante, -rispose- ma non saprei dirle di cosa si tratta.”
“Non fateci caso. –intervenne il custode- E’ una tubazione delle fognature. E’ lesionata proprio nel punto che si trova sotto la botola dell’ascensore, e quando piove più forte emana questo odore poco piacevole. Sono anni che tentiamo di convincere i condomini a farla riparare ma non c’è modo di metterli d’accordo. I preventivi sono sempre troppo esosi e la cosa cade come sempre nel dimenticatoio.”
“Oggi però non piove, –rispose Parker- ed il cattivo odore mi sembra essere aumentato rispetto a ieri pomeriggio. Come lo spiega?”
“Non saprei proprio cosa risponderle ma la cosa non mi meraviglia per niente.”
In quel preciso istante due sagome nere varcavano l’androne del palazzo, una delle due era inconfondibile per Parker: alto più di un metro e novanta, robusto e con la sua inseparabile bombetta portata leggermente di traverso. Si trattava di Preston che, in compagnia di un suo collega giungeva puntualissimo all’appuntamento.
“Preciso come sempre.” –disse Parker sorridendo-
“La precisione fa parte del nostro mestiere. –rispose- Precisione, pignoleria e testardaggine e tu di quest’ultima ne hai da vendere. Tanto che anche stavolta sei riuscito a coinvolgermi in una delle tue “intuizioni”. Comunque direi di sbrigarci, abbiamo un mucchio di lavoro da svolgere e non vorrei perdere troppo tempo.”
Preston rilevò accuratamente tutte le impronte scovandole da qualsiasi oggetto che potesse contenerne, quindi le fotografò per poterle confrontare con quelle degli schedari. Infatti nessun oggetto poteva essere prelevato dall’appartamento, l’intrusione stessa, di Preston e di Parker nella casa, non era propriamente ortodossa anzi, per essere precisi, esulava da ogni procedura legale.
“Ma guarda cosa mi tocca fare.” –borbottò Preston-
“Non farla così tragica, -rispose Parker sorridendo- in fondo non ti ho sottratto tantissimo tempo… ma guarda un po’ cosa ci era sfuggito.” –soggiunse-
Così dicendo, Parker si avvicinò al camino , ci si accovacciò davanti e con la delicatezza delle ali di una farfalla prese dalle ceneri quel che restava di un foglio di carta ripiegata più volte e non ancora bruciata del tutto.
“Interessante! -esclamò Preston- Converrà trattarlo con la massima attenzione se vogliamo che questo foglio arrivi ancora intero in laboratorio.”
Poco dopo i quattro richiusero la porta dirigendosi a passo veloce verso l’ascensore. Parker annusò ripetutamente l’aria circostante e meravigliato che nessuno se ne lamentasse chiese nervosamente:
“Possibile che voialtri non avvertiate questo odore nauseante, per lo meno inconsueto?”
“Per tutti i fulmini. –urlò Preston- Devo essermi talmente abituato da non farci più minimamente caso. E’ fin troppo evidente, -soggiunse- che da qualche parte, in questo stabile, c’è qualcosa di organico in stato di decomposizione, il fetore è inconfondibile. Se non me ne ero ancora reso conto è semplicemente perché nel mio laboratorio la si sente quasi ogni giorno… deformazione professionale.” –concluse-
“Di cosa potrebbe trattarsi? –chiese Parker-
“Di tante cose. –rispose- Una ciotola con il cibo del cane o del gatto lasciata in un angolo da qualche giorno, la carogna di qualche animale, della cacciagione dimenticata in dispensa e via di seguito.”
“Ma potrebbe essere anche qualcosa di peggio non è vero?”
“Già. –rispose Preston- Potrebbe essere anche un cadavere al primo stadio di decomposizione nascosto da qualche parte,”
“E’ proprio ciò che troveremo. –affermò Parker con, inspiegabile, ostentatezza- Sono almeno un paio di giorni che avverto quest’odore. Avevo solo bisogno della tua conferma per averne la certezza. Pertanto caro Preston ti devo pregare di trattenerti ancora.”
L’uomo annuì senza batter ciglio. Poi Parker accorgendosi di essersi sbilanciato un po’ troppo si rivolse al suo agente ridimensionando il suo atteggiamento.
“Andiamo a dare un’occhiata alla botola dell’ascensore, ho l’impressione che potremmo trovarvi qualcosa di interessante.
In breve tempo gli agenti si portarono al cospetto del vecchio custode che, dopo aver bloccato la cabina al primo piano li accompagnò nel seminterrato, dove proprio sotto agli ammortizzatori dell’ascensore, era situata la botola coperta da una spessa lastra di ferro. L’odore li vicino era nauseabondo.
“Ci siamo. –disse Parker- Ora ci vorrebbe un attrezzo per far leva sul coperchio.”
“Dovrei avere una grossa tenaglia tra i miei attrezzi. –intervenne il custode- Era proprio con quella che, quando ero più giovane e ne avevo la forza, alzavo la lastra per ispezionare la botola di tanto in tanto. Ma ora che le forze sono venute a mancare lascio che siano gli addetti alla manutenzione a farlo.”
“Immagino che questo lavoro venga eseguito periodicamente.” -rispose Parker-
“Proprio così. La botola viene aperta una volta all’anno e precisamente con l’avvento dell’inverno, quando le piogge iniziano a scendere copiose intasando i tombini. Ma è capitato di dover intervenire anche più volte nello stesso anno, per un imprevedibile temporale estivo, come successe l’altro anno ad esempio.”
L’agente afferrò saldamente il grosso utensile con il quale agganciò l’anello centrale della botola. Iniziò quindi a tirare divaricando le gambe e puntellandosi con i piedi. Doveva essere molto pesante a giudicare dallo sforzo dell’uomo tutt’altro che gracile. La lastra metallica cominciò lentamente a muoversi mentre l’odore diventava sempre più intenso e disgustoso. Quando la botola fu finalmente spalancata, Parker accese la sua torcia elettrica e uno spettacolo raggelante apparve sotto il fascio di luce: il corpo esanime di un uomo in posizione supina coperto da centinaia di fameliche larve bianche. A fianco al corpo la lama luccicante di un grosso coltello da caccia.
“Per l’inferno. –esclamò Preston- Chi diavolo può essere questo poveretto?”
“Non ne ho la più pallida idea. – rispose Parker-”
Nemmeno il custode seppe dire di chi si trattasse.
“Credo di non averlo mai visto in tutta la mia vita.” –affermò-
“Che strano. –osservò Preston- Costui nonostante il freddo non indossa un soprabito e nemmeno un cappello ma solo un vecchio abito di pessimo gusto ed un paio di scarpe che in origine dovevano essere di pelle nera.
“Non doveva passarsela troppo bene in vita, suppongo. -osservò Preston-”
“ Potrebbe trattarsi di un travestimento. -interloquì Parker-”
“Bisognerà scoprirne l’identità, la natura del decesso mi sembra evidente, un colpo alla testa molto violento e ben assestato. –disse Parker- Naturalmente si dovrà operare un’autopsia e per farlo si dovrà trasferire il corpo nel tuo laboratorio, inoltre bisognerà rilevare le eventuali impronte lasciate sul coltello, che a prima vista escluderei essere l’arma del delitto. Buon divertimento amico mio e non dimenticare di far scattare delle fotografie, principalmente del volto. Lei, agente si occupi di mandare un fonogramma urgente a tutte le stazioni ferroviarie di frontiera con l’ordine di fermare Il passeggero di nome Karl Hunter che dovrà essere ricondotto a Londra, sotto scorta, presso il mio ufficio all’FBI.”
La città si era vestita ancora una volta con l’abito ad essa più congeniale. La neve era ricomparsa fitta e lieve mentre il sole, di quando in quando, con la sua calda luce illuminava d’argento il respiro dei passanti e quello emanato dalle forti narici dei cavalli da traino.
Giovedì 24 Febbraio ore 16,45
“Come ti dicevo stamani, sono stato a casa dei genitori della vittima. -disse Gordon- Ma non sono riuscito a scoprire nulla di interessante e inoltre ho avuto la netta impressione che avessero qualcosa da nascondere.”
“Cosa te lo fa pensare.” –chiese Parker-
“Vedi, mi ha sempre meravigliato che una donna di tale bellezza e con centinaia e centinaia di ammiratori, non avesse una storia sentimentale. Se la Bourgueis ne avesse avuta una chi poteva saperlo meglio dei suoi vecchi? Ebbene, essi, non facevano altro che tergiversare quando toccavo l’argomento. A sentir loro era una donna dedita al lavoro ed alla famiglia, usciva poco la sera e non aveva che poche selezionate amicizie. A quanto pare aveva un carattere mite e cordiale, una donna allegra e piena di vita e tutti coloro che la conoscevano nutrivano per lei una profonda stima, insomma sapeva farsi voler bene.”
“Secondo il tuo racconto quindi, nessuno poteva trarre giovamento dalla sua fine.” –disse Parker-
“Così sembra. –rispose- Ma torniamo alle amicizie della vittima, anzi dovrei dire all’amica del cuore ed è appunto questa la cosa interessante. Colei alla quale la cantante confidava anche i più intimi segreti: Annabelle Lafayette. E’ così che si chiama ed oltre ad essere grandi amiche avevano anche un rapporto di lavoro. Questa Annabelle infatti, era la sua amministratrice, era lei ad occuparsi delle trattative con gli impresari ed a curare gli interessi della cantante. Si conoscevano sin da ragazze e pare che costei abbia seguito la vittima in ogni passo della sua carriera, seguendola in tutti i suoi viaggi di lavoro ed in tutte le sue tourneé.”
“Ottimo lavoro. -disse Parker compiaciuto- quella donna potrebbe esserci di molto aiuto, conosci il suo indirizzo?”
“Ma certo. Il suo appartamento è proprio nel palazzo di fronte alla casa dei Bourgueis.”
“Molto bene! –esclamò Parker- vado subito a farle visita, tu invece farai un salto dal Dr. Preston e ti farai consegnare l’esito dell’autopsia, fotografie comprese. Ci aggiorneremo più tardi in ufficio.”
“Ok! Parker.” –rispose l’altro-
Il quartiere dove abitava Annabelle Lafayette era uno dei più lussuosi di tutta Londra ed il suo palazzo non era certo da meno. La donna che gli aprì la porta era alta , bruna e con i capelli raccolti sulla nuca in una impeccabile acconciatura, vestita in modo molto elegante anche se austero. Non poteva trattarsi della Lafayette poiché la descrizione fatta dal suo amico Gordon non corrispondeva alle fattezze della donna che aveva davanti. Questa, infatti, aveva certamente più di cinquant’anni ed il suo accento londinese gli diede la conferma definitiva.
“Buonasera ispettore. –disse la donna guardando la tessera che Parker aveva estratto dalla tasca prima di bussare- Immagino che lei sia qui per la morte della povera signorina Yvette. Immagino, altresì che lei voglia parlare con la signorina Lafayette, non è vero?”
“Proprio così” –rispose, non sapendo cos’altro aggiungere-
“Vado subito ad avvertirla della sua visita. Io sono solo la governante.”
L’entrata di Annabelle disattese l’immaginazione di Parker, la donna era l’opposto di come lui l’aveva immaginata: capelli corti; statura media; trucco leggerissimo, quasi inesistente; nessun gioiello tranne un braccialetto portato con molto charme alla caviglia destra. Parker lo notò subito per il semplice motivo che la donna lo ricevette scalza. La sua espressione era stranamente lontana da quella di una donna addolorata, così come colei che ha perso la sua migliore amica. Nei suoi occhi brillava una sorta di energia negativa che Parker non riusciva a tradurre. Indosso aveva una spartanissima tunica nera ricamata, di tipica fattura indiana mentre il suo incedere era sicuro ed elegantemente disinvolto. Si trattava indubbiamente di una donna dal temperamento ferreo, da cui difficilmente sarebbe trapelata alcuna emozione. Guardava l’ispettore con aria provocatoria quasi di sfida.
“Lieta di fare la sua conoscenza. –disse la donna evitando inutili convenevoli- Se posso esserle utile in qualcosa disponga pure di me ma, la prego sia telegrafico, ho pochissimo tempo e tantissime altre cosa da fare.”
“Stia tranquilla, -rispose Parker per nulla intimidito- neanche io posso permettermi delle inutili perdite di tempo quindi verrò subito al sodo: si tratta dell’omicidio della sua amica Yvette. Mi racconti brevemente le sue impressioni su quanto è accaduto. So che lei era la sua migliore, se non unica amica, quindi conosceva meglio di chiunque altro l’ambito delle sue conoscenze. Magari aveva dei nemici oppure qualcuno che avrebbe potuto trarre dei benefici dalla sua scomparsa.”
“La sua morte è qualcosa di inspiegabile, un mistero indecifrabile. Per quanto possa sforzarmi non riesco ad immaginare una persona tanto mostruosa da poter commettere una simile infamia. Mi creda ispettore e chi l’ha conosciuta glielo potrà confermare, Yvette era una donna adorabile; assolutamente priva di cattiveria e sempre disponibile verso chiunque avesse bisogno di un aiuto anche se tendenzialmente era una donna estremamente riservata. Io la conoscevo da quasi diciotto anni. La prima volta che la vidi di persona fu il giorno del mio compleanno. Ero appena ventenne ed in compagnia di alcuni amici decidemmo di andare a teatro per assistere ad un suo concerto, davano l’Aida. Mi sentii subito catturata dal suo fascino e non seppi resistere alla tentazione di conoscerla personalmente. Aspettai la fine della rappresentazione e riuscii, non ricordo neanche come, ad introdurmi furtivamente nel suo camerino. Temevo seriamente che quella inaspettata irruzione potesse scatenare il suo disappunto ma, con mio grande stupore, Yvette non si scompose minimamente, restò calma e silenziosa ascoltando le mie adulazioni che poco a poco sembrò accettare quasi con orgoglio. Mai nessuno aveva osato tanto solo per riuscire a conoscerla, mi disse, per giunta mi regalò dei biglietti per il suo successivo concerto. In pochi mesi diventammo amiche indivisibili. Ricordo che in quel periodo lavoravo come segretaria presso lo studio di un notaio. Non guadagnavo male ma non navigavo certo nell’oro! Un giorno confessai ad Yvette che ero veramente stanca del mio lavoro, avevo avuto una lite furibonda con il figlio del notaio che, forte dell’autorità di suo padre, si credeva in diritto di molestare ogni impiegata dello studio.
Fu allora che Yvette mi propose di lavorare per lei; Disse che non amava occuparsi personalmente delle trattative di lavoro e che io ero senz’altro la persona adatta per farlo. Mi offrì uno stipendio innegabilmente allettante ed io, naturalmente, accettai.”
Cosicché lei non ha neanche un piccolo sospetto, un dubbio, una traccia sbiadita che, in qualche modo ci possa condurre all’assassino?”
“No, proprio no! Spero vivamente che quell’uomo possa ricevere al più presto quel che merita ma non posso fare di più. Ora vi prego di scusarmi, ma ho ancora tantissime cose da sbrigare”
“La ringrazio –disse Parker- e la prego di non lasciare la città, almeno finché non sarà fatta piena luce sul caso.”
Sceso in strada l’ispettore ripensava al breve racconto della enigmatica donna ed alle espressioni del suo volto. Parlava della cantante come farebbe una persona innamorata ma, nei suoi occhi c’era tanta rabbia, tanto rancore.”
Più tardi negli uffici della centrale, l’investigatore Gordon era seduto dietro la propria scrivania immerso nella lettura. Le dita della sua mano destra, come martelletti di un pianoforte, si alternavano in un fastidioso tamburellare. Parker entrò nella stanza ma, l’altro non se ne avvide finchè non gli fu davanti.”
“Accidenti Parker mi hai spaventato!”
“Sei un po’ teso a quanto pare.”
“Vorrei vedere te dopo aver passato un paio d’ore in obitorio. Ti posso assicurare che non è affatto divertente.”
“Non posso darti torto, anch’io ho i brividi quando entro in quel luogo. Qualcosa di interessante nei risultati dell’autopsia?”
“In verità non molto. -rispose- La morte risale a quattro giorni fa ed è stata causata da un colpo alla testa, come ben sai. L’oggetto con cui è stato colpito doveva essere piuttosto pesante a giudicare dai danni che ha provocato, ma la cosa strana è che aveva solo una piccola ferita. Voglio dire che il colpo ricevuto doveva aprire una ferita ben più estesa e profonda; penso che la vittima indossasse ancora il cappello e che questo abbia attutito il colpo.”
“Si ha un’idea di quale possa essere l’oggetto?” –chiese Parker-
“Non si può stabilire con precisione, proprio perché aveva il capo coperto, ma a quanto dice Preston potrebbe trattarsi di un tubo metallico o di qualcosa di simile. Ah dimenticavo, aveva tracce di carbone sulle dita ed era privo di documenti, anzi per la verità le sue tasche erano completamente vuote e sul coltello le uniche impronte rilevate erano proprio le sue. In questa busta, poi, ci troverai le fotografie del suo volto.”
“Un viso non comune, -osservò Parker i suoi lineamenti sono davvero marcati: naso sottile; mascella quadrata; occhi grigi e capelli di un brizzolato misto al biondo. Doveva avere circa cinquant’anni e dai tratti somatici direi che aveva origini germaniche. Dicevi che aveva le tasche vuote, -soggiunse- ma io sarei curioso di vedere i suoi abiti.”
In meno di mezz’ora i due agenti federali erano alla scientifica, al cospetto di Preston che, data l’ora stava per concludere la sua giornata di lavoro.
“Immagino che le mie deduzioni scritte non ti abbiano soddisfatto.” –disse Preston con una vena di ironia-
“Tutt’altro amico mio. Il fatto è che mi sono ricordato che la vittima numero due non indossava un cappotto, quindi volevo dare un’occhiata agli abiti che aveva indosso.”
“A proposito, -disse Preston- ho notato qualcosa di curioso… ma guarda tu stesso: l’abito è vecchio e consumato la stoffa è di pessima qualità, sicuramente non si tratta di tessuto inglese e la giacca è talmente stretta che non riusciva nemmeno ad abbottonarsi. La camicia è di flanella ed il gilet fa parte certamente di un altro abito, comunque tutta roba molto usata. Per non parlare delle scarpe, un vero pugno nell’occhio.”
“E’ vero! –assentì Parker- Sono davvero orribilmente vecchie e consumate; non solo, sono enormi quest’uomo benchè non fosse molto alto ha dei piedi veramente smisurati. Saranno non meno di taglia 9 e ½; non è facile in giro trovarne un paio simile. Chissà che questo piccolo particolare non ci torni utile prima o poi.”
“Cosa significa?” –domandò Gordon-
“Ogni cosa a suo tempo, -rispose- finalmente comincio a vedere uno spiraglio di luce, ma è solo un’ipotesi quella che sto elaborando, ma che per ora preferisco tacere.”
Il cielo terso cancellava piano piano il tedio dei giorni passati. Sembrava quasi un ritorno alla vita: ovunque gruppi di fanciulli avvolti nelle loro sciarpe colorate si avviavano allegramente verso la scuola e le coppie di anziani stretti nei loro pesanti cappotti passeggiavano lentamente tra i giardini del parco. Qualcun altro più in la seduto su di una panchina affondava gli spessi occhiali tra le pagine di un giornale gualcito, forse di qualche giorno prima, forse trovato lì per caso; ma in fondo che importa “le brutte notizie sono sempre uguali”.
Venerdì 25 febbraio ore 9,00
Ho controllato il nostro casellario giudiziario e l’uomo denominato vittima numero due non risulta essere schedato. –affermò Gordon- Scoprirne l’identità non sarà semplice neanche per te caro Parker.”
“Può darsi che tu abbia ragione, ma potrebbe anche essere più facile di quanto tu possa credere.”
“Cosa intendi dire?”
“Vedi, mio buon amico, il fatto che quell’uomo sia stato trovato morto nel palazzo di Hunter, non indica necessariamente che l’autore del delitto debba essere il maestro, ma prova senz’altro che i due si conoscevano. Tuttavia se vuoi la mia opinione, credo che la cosiddetta vittima numero due sia la stessa persona vista dal custode salire da Hunter prima che quest’ultimo sparisse. Supponiamo che Hunter avesse un movente che lo avesse indotto ad ucciderlo, supponiamo anche che non vi era alcuna premeditazione. L’uomo si presenta senza preavviso a casa del maestro, entra nella sua casa e qualche minuto dopo scoppia un violento diverbio, Hunter perde il controllo e con il primo oggetto che gli capita sottomano sferra, senza misurarne la violenza, il colpo fatale. A questo punto, resosi conto di ciò che ha fatto, cade in una totale confusione, non vuole chiamare la polizia, forse non può. Inizia a fare cose senza senso. Per prima cerca di far sparire ogni traccia della visita dello sconosciuto pulendo le sue impronte sia dall’appartamento che dal ballatoio, poi cancella la stella che l’uomo, chissà perché, aveva disegnato sulla sua porta quindi indossa il mantello del malcapitato inclusi sciarpa cappello ed occhiali scuri. Esce dal palazzo e passando davanti alla guardiola saluta il custode che non si accorge del travestimento. Una volta in strada si libera del travestimento e si reca a teatro. Con insospettabile sangue freddo dirige la sua orchestra. Chi mai potrebbe sospettare che ha appena commesso un omicidio e che la vittima è chiusa nel suo appartamento? Durante il concerto, però, accade qualcosa che nessuno poteva prevedere: l’assassinio della cantante francese. Probabilmente per il maestro fu una sfortunata coincidenza, la polizia avrebbe concentrato la sua attenzione sulla morte della Bourgueis, di conseguenza anche lui sarebbe stato interrogato; si rendeva necessario far sparire quel corpo nel più breve tempo possibile.
Probabilmente aspettò che il custode andasse a dormire e poi salì nel suo appartamento, non sapeva proprio come disfarsi di quel pericoloso fardello. Forse fu proprio il cattivo odore che gli suggerì la soluzione: la botola era un ottimo nascondiglio per il corpo dello sventurato, ma doveva fare tutto silenziosamente. Dopo aver bloccato l’ascensore con il primo oggetto che gli capitò sottomano, scese a piedi dalle scale di servizio ed aperta la botola vi lasciò scivolare il corpo. Richiuse accuratamente e salì in casa, raccolse lo stretto indispensabile che poteva servirgli e partì per chissà quale destinazione, forse la sua terra d’origine.”
“Un racconto suggestivo, -osservò Gordon- ma pieno di lati oscuri, uno di questi è il motivo della lite oppure il significato della stella disegnata sulla porta. Anche il fatto che Hunter si sia preoccupato di pulire le impronte dell’uomo mi sembra stupido ed inutile, considerando che prima o poi il corpo sarebbe stato certamente ritrovato.”
“La risposta alla tua prima domanda potrebbe trovarsi proprio nel significato della stella a cinque punte che l’uomo aveva disegnato sulla porta di Hunter. Non dimentichiamoci che quel simbolo veniva usato nell’antisemitismo per identificare le abitazioni degli ebrei.”
“Non vorrai farmi credere che un uomo con un cognome come Hunter sia un ebreo?”
“Non lo sto affermando, -rispose Parker- sto solo continuando a supporre e visto che ci siamo, supponiamo anche che Hunter non sia il suo vero nome e che la vittima conoscendo la sua vera identità, lo ricattava con la minaccia di rivelare tutto.”
“Perbacco! Se i fatti si sono svolti veramente così, il nostro amico musicista si trova davvero in un mare di guai. C’è qualcosa, però, che non riesco a collegare ed è l’omicidio della cantante. Non riesco proprio a trovare un minimo legame che possa connettere i due crimini. Tu cosa ne pensi?”
“Hai messo il dito sulla piaga, amico mio. Sembrerebbe proprio che i due casi non abbiano alcun legame tra loro, eppure il mio intuito mi dice che non è così. Vedrai che prima o poi l’elemento catalizzatore salterà fuori. Per ora dobbiamo solo sperare di rintracciare Hunter; scommetto che una volta acciuffato potrà raccontarci qualcosa di molto interessante.”
“Se non hai nulla in contrario io andrei a prendere qualcosa da mangiare, è quasi ora di pranzo. –disse Gordon- Vuoi che prenda un panino anche per te?”
“No grazie, preferisco fare un salto a casa, oggi c’è il mio piatto preferito. Dopo pranzo andrò a fare una visitina in casa della Bourgueis, vorrei vedere la sua camera, magari sarò più fortunato di te. Tu, intanto, cerca di sapere se le fotografie dello sconosciuto che abbiamo distribuito, hanno prodotto qualche risultato. Non so se stasera riuscirò a ritornare in centrale, mal che vada ci aggiorneremo domattina.
I signori Bourgueis erano davvero una bella coppia di aristocratici: lei sui cinquant’anni, scura di carnagione e con degli occhi nerissimi, così come i capelli: neri e lunghi ma raccolti in una impeccabile acconciatura. Snella ma non molto alta, aveva un’aria severa. Il marito dall’aria sorniona doveva avere qualche anno più di lei; un uomo robusto ma non grasso, di media statura e con un paio di baffi bianchi ben curati ma un po ingialliti dal fumo. Di sicuro tra i due era il più socievole. Quando Parker chiese di poter dare un occhiata alla camera della figlia, fu proprio la moglie a porre delle difficoltà ma il tatto di Parker vinse ogni ostilità. I due lo accompagnarono al piano superiore ed gli aprirono la porta ma non vollero assistere alla perquisizione. Preferivano evitare di vederlo mentre frugava tra i ricordi della figlia. “Meglio così, -pensò Parker- da solo potrò lavorare senza preoccuparmi di urtare la loro sensibilità.”
L’enorme guardaroba addossato alla parete di destra conteneva decine e decine di abiti per ogni occasione, tutti di eccellente fattura e confezionati con le stoffe più costose. Modelli parigini molto elaborati che solo poche persone potevano permettersi di acquistare. Senza parlare delle scarpe che ad occhio e croce potevano essere non meno di quaranta paia, tutte diverse e di ogni tinta e pellame. Richiuse le ante del guardaroba e solo allora notò che la stanza si era sprigionato un intenso profumo di tuberosa che prima non aveva avvertito. Di certo, il guardaroba ne era impregnato. Difatti aprendolo di nuovo si accorse che l’odore veniva proprio dagli abiti. Nella camera tutto era in perfetto ordine: lo scrittoio era immacolato, non una sola macchia di inchiostro, neppure una matita spuntata o un foglio fuori posto. Nei cassetti lo stesso meticoloso ordine ma nulla di interessante per Parker. Sulla tolettina, abbellita con finissimo pizzo e raso di un azzurro tenue, delicatissimo, c’era il suo profumo ve ne erano ben cinque flaconi, l’etichetta era di una ben nota casa profumiera. Vicino al profumo un prezioso cofanetto portagioie in radica ed argento con le cifre YB in oro applicate sul coperchio. Al suo interno, alcuni fiori secchi e diverse fotografie di lei, quasi tutte la ritraevano durante gli spettacoli, molte in compagnia della sua amica Lafayette. Ad un certo punto l’attenzione di Parker fu attirata da una fotografia di gruppo, scattata in platea mentre la cantante elargiva autografi, attorniata da una folla di ammiratori. Parker estrasse la piccola lente d’ingrandimento dalla sua tasca per esaminare meglio l’immagine… non si era sbagliato. Dietro la cantante, proprio vicino ad Annabelle Lafayette c’era il misterioso uomo trovato morto nella botola; i due, nella foto, avevano tutta l’aria di conoscersi. Presa la foto, l’ispettore uscì dalla camera e raggiunse i coniugi Bourgueis mostrandogliela.
“Avete mai visto quest’uomo?” –chiese-
“Non mi pare, -rispose lui- no, non mi pare proprio.”
“No, -ripeté la moglie- sono certa di non averlo mai visto. Ma perché si interessa tanto a quell’uomo, forse si tratta semplicemente di un ammiratore trovatosi lì per caso nel momento in cui scattarono quella foto.”
“Può darsi, -rispose Parker- in ogni caso temo che dovrò portarla via, questa foto potrebbe essere un indizio importante. L’uomo che vedete sul ritratto è stato trovato ucciso proprio nel palazzo del maestro Hunter e non credo che questa sia una coincidenza.”
Parker era sicuro che Annabelle Lafayette e la vittima numero due si conoscessero, era quindi d’uopo una visita a quest’ultima. Stavolta, magari sarebbe emerso qualcosa di interessante.
“L’ispettore Parker, -disse Annabelle- qual buon vento?”
“Vento di incertezze. -rispose- La faccenda si fa sempre più ingarbugliata ma io non dispero. Guardi attentamente questa fotografia. -soggiunse – Immagino che lei conosca l’uomo che le è accanto vero?”
“A prima vista direi di no, ma la mia vista non è delle migliori… mi faccia mettere gli occhiali, forse andrà meglio. No! non l’ho mai conosciuto.” –rispose-
Ma si vedeva benissimo che la vista di quella foto la aveva profondamente scossa. Finalmente quella donna imperturbabile dimostrò un minimo di debolezza.
“Ne è proprio certa? Ci pensi bene prima di rispondere, si tratta di omicidio.”
“Certo, quello di Yvette!”
“Mi scusi l’imperdonabile inesattezza, avrei dovuto dire omicidi, anche l’uomo della foto è rimasto vittima di un omicidio.”
Il viso della donna assunse improvvisamente il pallore della morte, le sue mani cominciarono a tremare ma nonostante l’evidente emozione cercò ad ogni costo di controllare i suoi nervi e di darsi un contegno; a Parker, però era bastato guardarla in volto per capire che la morte dell’uomo l’aveva profondamente turbata.
“Lo conosceva, non è vero?”
“E’ così. -rispose- Lo conobbi in teatro, era un appassionato di lirica ed uno dei più ferventi ammiratori di Yvette. Era sempre in prima fila quando Yvette si esibiva, una persona perbene dai modi gentili e dal carattere mite. Aveva sempre un pensiero galante per Yvette, non si presentava mai senza un fascio di fiori. La notizia del suo assassinio mi ha sinceramente scosso.”
“Suppongo che lei lo conoscesse abbastanza bene.”
“Affatto, -rispose- lo incontravamo solo in occasione di qualche rappresentazione teatrale. Come le ho già detto non se ne perdeva neanche una.”
“Come si chiamava?”
“Steve Davies, era così che si firmava sui biglietti che accompagnavano i fiori che mandava a Yvette.”
“Mi sa dire come viveva, intendo dire se aveva una professione, un lavoro…”
“Non so che dirle, aveva l’aria di essere un benestante. Vestiva sempre in modo elegante ed era sempre molto curato ma non so di cosa si occupasse nella vita. Ora la prego non mi faccia altre domande, ho bisogno di restare da sola, per favore.”
“Va bene, -rispose Parker- ma resti a nostra disposizione. Mio malgrado dovrò importunarla ancora.”
E’ sorprendente come le condizioni del tempo riescano ad influenzare l’umore dell’uomo o come ne possano condizionare il comportamento. La luna piena aveva rischiarato le strade per tutta la notte e a mattino inoltrato la sfera lucente era ancora visibile, ancora per poco. Ancora poca vita per l’astro notturno che poi si sarebbe spento per far posto al sole. Così come l’assassino sparisce per dar posto al gentiluomo che cela in sé. Così come innalza le maree la luna fa emergere dall’intimo dell’uomo comune la parte più infima e malvagia celata nei recessi del suo animo?
Colpa della luna o di un innato, dannato istinto?
Sabato 26 Febbraio ore 9,30
“Come vedi, mio caro Gordon, il puzzle comincia a prendere forma. Il maestro Hunter è stato fermato mentre cercava di imbarcarsi per l’Irlanda e in più c’è il ritrovamento del passaporto della vittima numero due. A proposito dove è stato ritrovato il documento?”
“Lo ha trovato un mendicante in un cassone dei rifiuti e lo ha portato subito alla polizia, forse sperava in una ricompensa.”
Parker prese il passaporto ed iniziò ad esaminarlo con cura.
“Stephen Davies, nato a Pittsburgh (Pennsylvania) il 12 luglio 1898, di professione giornalista.
Dunque aveva 39 anni, -disse Parker- ne dimostrava di più ma a parte ciò c’è qualcos’altro che non mi convince: come può un giornalista dare l’impressione di un benestante come afferma la Lafayette? Ma quel che mi lascia perplesso più di ogni altra cosa è la fotografia del documento: facendo fede alla data di rilascio la foto dovrebbe essere vecchia di dodici anni. Com’è possibile che in tanti anni il suo viso non sia cambiato quasi per niente? Questa foto, per me, è stata fatta al massimo tre anni fa.”
“Un passaporto contraffatto!” –esclamò Gordon-
“E’ proprio quel che penso. –rispose- Comunque sarà opportuna la conferma degli esperti, di questo potresti occupartene tu e, giacché ci sei, cerca di scoprire costui dove alloggiava.”
Poco più tardi, il maestro Hunter faceva il suo ingresso nell’ufficio di Parker accompagnato da due agenti.
“Buongiorno maestro. Finalmente possiamo scambiare quattro chiacchiere. Sono l’ispettore Norman Parker e sto indagando sull’omicidio della signorina Yvette Bourgueis.”
“Cosa volete da me? perché mi avete sequestrato e condotto qui contro la mia volontà? Sono una persona rispettabile io, non sono abituato e non amo essere trattato come un criminale, me ne darete conto!”
“Si calmi, maestro… si calmi, ci troviamo di fronte a un duplice omicidio ed il motivo per cui è stato condotto qui, se non lo sa, è perché uno dei due cadaveri è stato trovato proprio nel palazzo dove abita lei.”
“Ma lei farnetica!”
“La prego di moderare i termini e la invito per la seconda volta a calmarsi, piuttosto il nome Stephen Davies, le dice qualcosa?”
“Non so proprio di chi stia parlando.”
“Sto parlando dell’uomo che abbiamo trovato morto nella botola sotto l’ascensore del suo palazzo. Aveva il cranio sfondato da un colpo infertogli con un oggetto metallico, probabilmente un portacandele. Abbiamo ragione di credere che costui venne a farle visita lo stesso giorno in cui fu uccisa la signorina Yvette. Che tipo di rapporto sussisteva tra voi due? E’ inutile continuare a mentire, persino Annabelle Lafayette ha ammesso di conoscerlo; era un appassionato di musica lirica ed un grande ammiratore della cantante francese, anzi la stessa Lafayette mi ha fatto intendere che forse ne era invaghito. Se ciò non dovesse bastare, abbiamo constatato che l’uomo in questione, al momento del ritrovamento, aveva le dita ancora sporche di carbone, quello stesso carbone che aveva usato per disegnare sulla sua porta una enigmatica stella a cinque punte. Cosa cercava da lei Davies?”
Hunter continuò a ripetere di non conoscerlo ma Parker era certo che il maestro mentiva.
“Non credevo che fosse così caparbio –disse Parker- e purtroppo non ho prove concrete per trattenerla ma si ricordi che dovrà essere a mia disposizione in qualunque momento fino a che il caso non sarà definitivamente risolto. Abbandoni quindi qualsiasi programma di viaggio.”
Il maestro si allontanò a testa bassa, aveva tutta l’aria del proverbiale “cane bastonato” mentre, a sua insaputa, un agente in borghese era già alle sue calcagna.
“Crede che commetta un passo falso?” –chiese uno degli agenti-
“Può scommetterci, tenente.”
Un’ora dopo Gordon tornava con i risultati dell’esame del passaporto:
“Non ci eravamo sbagliati, è spudoratamente contraffatto.” – disse-
“Bene, ora non ci resta che attendere e, se le mie previsioni sono esatte, tra non molto avremo notizie di Hunter. E’ solo questione di ore.”
Le previsioni di Parker si dimostrarono esatte. Nel tardo pomeriggio l’agente in borghese che era stato messo sulle tracce di Hunter, portava notizie davvero interessanti: il maestro dopo essersi recato a casa per cambiarsi era uscito di nuovo ed aveva raggiunto con molta circospezione la casa di Annabelle Lafayette.
“Ho fatto esattamente come mi ha detto lei. –disse l’agente- L’ho seguito a debita distanza facendo molta attenzione a non farmi notare. Lui, infatti non si è accorto di nulla. Dopo essere stato a casa sua per una trentina di minuti è sceso di nuovo, aveva l’aria di essere molto nervoso, camminava a passo spedito e sembrava dirigersi verso una meta ben precisa. Quando è arrivato in quel palazzo mi sono avvicinato per vedere in quale appartamento entrasse: era quello di Annabelle Lafayette. Mi misi ad origliare e capii che erano rimasti a discutere proprio nella sala d’ingresso. In un primo momento colloquiarono su quanto fosse stata assurda la morte della cantante e di quanto entrambe ne fossero rimasti addolorati, ma dopo un po’ il maestro deviò il discorso su Stephen Davies, provava in tutti i modi di scoprirne l’indirizzo anche se cercava di non darlo a vedere. I suoi sforzi, però, risultarono vani, la donna lo ignorava o fingeva di non sapere. Si sono dilungati ancora per qualche minuto in banali convenevoli, poi si sono salutati molto freddamente; io mi sono allontanato rapidamente ed ho ripreso il mio pedinamento per assicurarmi che tornasse a casa.”
“E così il nostro Hunter cercava di scoprire l’indirizzo di Davies! –borbottò Parker-”
“A cosa può servire l’indirizzo di un morto? –domandò l’agente-”
“Suppongo che Hunter stia cercando qualcosa… qualcosa di molto importante di cui Davies era in possesso, forse qualcosa di compromettente visto che Hunter ha sempre negato di conoscerlo.
Nello stesso istante Gordon annunciò una visita inaspettata per l’ispettore Parker, strano ma vero si trattava di Annabelle Lafayette. La donna aveva i nervi a fior di pelle, entrò nell’ufficio con la furia di un ciclone; salutò a stento.
“Ma cosa le sta accadendo?” –domandò l’ispettore-
“Mi scusi per l’irruzione, ispettore ma sono molto agitata. Se ne sarà accorto, immagino.”
“La prego si segga e cerchi di calmarsi. Le farò portare qualcosa di forte, vedrà che si sentirà meglio, dopo mi dirà il motivo della sua venuta.”
Una volta riacquistato il controllo dei suoi nervi, la donna spiegò:
“Non più tardi di un ora fa ho ricevuto una visita da qualcuno che non avrei mai potuto immaginare…”
“Il maestro Hunter, suppongo.” –la apostrofò Parker-
“Proprio lui, ma come fa a saperlo? Già, che sciocca. Lo avrà affidato alle cure di qualcuno dei suoi angeli custodi. Come le dicevo, -proseguì- quell’uomo è venuto nella mia casa oggi, per la prima volta. Tra noi non c’è mai stato nulla di più di un semplice rapporto di lavoro, così come per Yvette. Dai giornali avevo appreso che era sparito e che era ricercato da voi della polizia, è anche per questo che mi sono tanto meravigliata di vederlo. Ad ogni modo era venuto da me con il pretesto di farmi le condoglianze per la morte della mia amica ma il suo unico scopo era carpirmi l’indirizzo di Stephen Davies, chissà a cosa poteva servirgli. Se davvero era l’indirizzo che voleva, non è riuscito ad ottenerlo e per quanto insistesse ho sempre negato di esserne a conoscenza ma mentivo. Non volevo diventare la complice inconsapevole di qualcuno che potenzialmente potrebbe essere l’assassino di Davies e che sicuramente è uno dei primi ad essere sospettato dell’omicidio, anzi, degli omicidi. L’indirizzo è scritto su questo biglietto. Se devo collaborare con qualcuno, preferisco farlo con la giustizia. Vi auguro di trovare il bandolo della matassa, ispettore.”
Le strade buie del mattino, quando il cielo è scuro, sembrano nascondere in ogni angolo ombre fugaci. In un solo attimo la mente umana cerca nella logica un rifugio da quelle tenebrose apparizioni anche se il brivido ci attraversa ancora la schiena.
Un riflesso di luce…forse, un ramo mosso dal vento…magari. Non c’era nulla, –pensiamo- ammettere il contrario sarebbe da folli.
Ma non è forse follia cercare la ragione in qualcosa che nulla ha di razionale?
Domenica 27 Febbraio ore 7,15
La casa di Davies in realtà era un seminterrato ai margini della periferia di Londra, un luogo abitato da poveri diavoli abituati a vivere nella più totale indigenza ma anche da loschi figuri dediti al vizio, al furto ed al gozzoviglio. Non era certo la prima volta che Parker si doveva avventurare in quei vicoli per questioni di lavoro; quel dedalo di viuzze poco illuminate era, infatti, il nascondiglio ideale per chiunque avesse compiuto un misfatto e volesse sfuggire alla giustizia. Ma sfuggire all’ispettore Parker non era certo un gioco da ragazzi, molti dei casi da lui brillantemente risolti, si erano conclusi proprio nello squallore di quei luoghi che, visti come un buon rifugio si erano rivelati una trappola per i malviventi. Una quindicina di scalini conducevano alla cantina del vecchio stabile; una porta dai battenti ingrossati dall’umidità era tenuta chiusa da un grosso lucchetto mezzo arrugginito. Bisognava forzarlo, nessun grimaldello, sebbene adoperato dalle abili mani di Gordon sarebbe mai riuscito ad aprirlo. Un calcio ben assestato e i cardini cedettero, all’interno altri tre scalini in discesa, un forte odore di chiuso ed il buio più totale. Parker accese un fiammifero e si accorse che alla sua destra c’era un candelabro con mezza candela, la accese e subito un barlume di luce rischiarò l’ambiente: un letto disfatto, un tavolo con due vecchie sedie ed un armadio addossato alla parete sinistra. Una stufa a legna su cui era appoggiata una pentola per metà piena d’acqua, faceva intuire che spesso fungeva da fornello. Sopra una mensola alcune bottiglie di liquore vuote e pochi bicchieri capovolti su un tovagliolo aperto.
“Che strano, -osservò Gordon- escludendo il letto mi sembra tutto abbastanza pulito e in ordine, anche il pavimento sembrerebbe spazzato da poco. Ma mi dici cosa stiamo cercando?”
“Una lettera, un documento, qualcosa che riguarda il maestro Hunter…qualcosa di cui egli ha paura. Sono certo che si trova qui, bisogna solo trovare il nascondiglio.”
Parker si avvicinò all’armadio e spalancò le due ante.
“Si trattava bene il nostro amico, -osservò Gordon- abiti, camicie, cravatte, tutto di ottima qualità e c’è anche un buon profumo.”
“E’ vero, ma non è questo che mi interessa sapere.”
Parker cercò di richiudere l’armadio ma invano le due ante urtando tra loro non consentivano più una chiusura perfetta .
“E’ stato spostato da poco per questo non si chiude più. Inoltre c’è quella parte più chiara sul muro retrostante. Ciò indica che l’armadio è stato portato in avanti e che quando è stato riaccostato al muro non è stato rimesso precisamente nella posizione originaria. Dammi una mano a spostarlo, sono proprio curioso di vedere cosa c’è dietro.”
Il mobile era molto pesante e i due dovettero faticare per riuscirlo a spostare quel tanto che bastava per poter esaminare il muro retrostante. Ancora una volta Parker aveva colto nel segno, una piccola parte dell’intonaco era stata rifatta di recente. I due agenti non si persero d’animo e preso un ceppo di legno dalla stufa cominciarono a battere sul muro. In breve qualcosa cominciò a cedere finché venne alla luce una piccola nicchia; al suo interno un pacchetto fatto con carta di giornale.
“Per Giove! -esclamò Gordon- Un passaporto… ma questo è il maestro Hunter.”
La foto del passaporto, infatti, era quella dell’uomo conosciuto sotto il nome di Hunter, ma sul documento il nome del titolare era completamente diverso. Parker non sembrò affatto meravigliato di questa inaspettata scoperta.
“Il maestro Hunter, -disse- in realtà si chiama Miklos Kanitz, senza dubbio è un nome ebreo, questo spiega diverse cose: Davies sapeva benissimo che il maestro Hunter aveva cambiato identità e probabilmente lo ricattava minacciandolo di rivelare le sue vere origini. Naturalmente l’altro era terrorizzato, di questi tempi per gli ebrei c’è poco da stare allegri. Ciò spiegherebbe anche la stella che Davies aveva disegnato sulla porta del maestro, quel simbolo aveva un significato preciso, quasi
una condanna a morte, senza contare che Hunter come maestro d’orchestra aveva raggiunto l’apice di una carriera prestigiosa, un personaggio costruito minuziosamente con il lavoro di anni. In fondo ho compassione di quell’uomo, chissà per quanti anni ha subito i ricatti di Davies e quanti soldi gli sarà costato il suo silenzio. L’unico che potrà dare una risposta a queste domande è proprio il nostro Miklos Kanitz alias Gustav Hunter, credo che andremo a fargli una visitina.
Quando il maestro aprì l’uscio il suo viso apparve nella penombra, era talmente pallido che sembrava invecchiato improvvisamente, i lunghi capelli grigi scompigliati e le mani tremolanti gli conferivano ancora di più l’aspetto di un vecchio debole ed impaurito eppure quell’uomo non aveva che cinquant’anni e solo qualche giorno prima era l’impetuoso direttore di una delle più prestigiose
orchestre di Londra. Appena riconobbe i due agenti balbettò qualcosa, forse un imprecazione. Parker estrasse dalla tasca l’indirizzo di Davies e lo porse al maestro.
“Buonasera signor Kanitz, era questo che cercava?”
“E’ stata lei a darvelo! –disse- Sapevo che l’aveva, che l’inferno la ingoi, maledetta arpia.”
“Spero non voglia lasciarci sulla soglia, le dispiace se entriamo?”
“Credo che siate già entrati in mia assenza e non me ne avete certo chiesto il permesso. Entrate pure, comunque.”
“Come avrà avuto modo di capire, caro maestro, siamo all’epilogo. Continuare a mentire non le servirà a nulla se non ad aggravare la sua posizione. Collabori con noi e le prometto che avrà tutto il nostro appoggio per evitare le sue origini vengano rese note, le do la mia parola.”
“Sono così confuso, -disse- mi sembra di vivere in un terribile incubo, i miei nervi sono a pezzi non riuscirei a reggere oltre questa situazione, vi dirò ogni cosa.”
Qualche attimo di esitazione, un lungo respiro poi cominciò a narrare.
“La mia infanzia è stata breve e molto dura, ero l’unico figlio di una famiglia medio borghese. Eravamo sempre in fuga per evitare gli aguzzini di noialtri ebrei; a volte eravamo costretti a rimanere nascosti in qualche nascondiglio di fortuna per interi mesi senza mai vedere la luce del giorno, razionando al massimo quel poco cibo che i miei genitori riuscivano a reperire in un modo o nell’altro. Questo stile di vita andò avanti per anni finché un brutto giorno, mio padre fu costretto ad uscire dal rifugio in pieno giorno, eravamo rimasti senza una briciola di pane e dopo sei giorni di digiuno avevamo fame. Io avevo diciannove anni e quella fu l’ultima volta che lo vidi. Rimanemmo soli io e mia madre e riuscimmo a sopravvivere spostandoci di notte da un paese all’altro e mangiando quel che capitava. La fortuna ci aveva aiutato ancora, ma due anni dopo, durante uno dei nostri spostamenti notturni, fummo sorpresi da un drappello di militari nazisti; mia madre cadde loro prigioniera mentre io, per puro miracolo, riuscii a dileguarmi nell’oscurità. Ormai ero rimasto solo ed ero disperato, ma fu proprio la forza della disperazione che mi aiutò ad andare avanti. Conobbi Davies mentre viaggiavo clandestinamente su un treno che conduceva qui a Londra. Mi promise una nuova identità, disse che conosceva qualcuno che mi avrebbe potuto procurarmi dei documenti falsi. Gli risposi che non avevo danaro e che non avrei potuto pagare, mi rassicurò dicendo che mi avrebbe aiutato lui. Fu lui, infatti a pagarmi i documenti falsi anzi fece di più mi diede dei soldi, ma io al momento non sapevo ne come ne quando avrei potuto restituirglieli. Mi disse che era sicuro che un giorno o l’altro avrei saldato il mio debito e che gli avrei restituito molto più di quanto lui mi aveva dato. Con la mia nuova identità mi sentivo finalmente libero e smisi di nascondermi, trovai persino un lavoro come barista in un locale notturno e con i guadagni riuscii a riprendere i miei studi al conservatorio. Non fu facile: di notte lavoravo e di giorno studiavo, dormivo solo tre o quattro ore per notte. Andò avanti così per più di cinque anni poi uno dei miei maestri mi prese a benvolere e cominciai a lavorare in piccole orchestre come direttore e talvolta anche come pianista, i guadagni salivano ed il mio stile di vita anche. Passo dopo passo il nome di Gustav Hunter diveniva sempre più popolare finchè un giorno fui chiamato a dirigere una grande orchestra in Francia, fu proprio a Parigi che conobbi Yvette e fu proprio li che cominciò la mia ascesa al successo e con essa i miei guai. Davies non tardò a farsi vivo e a reclamare il suo credito nei miei confronti, io senza batter ciglio gli restituii quanto gli dovevo ed in più gli elargii una congrua somma per ricompensarlo di quanto aveva fatto per me. Credevo che non lo avrei più rivisto ma mi sbagliavo. Qualche anno più tardi tornò a farsi vivo, era al corrente di ogni mia mossa e sapeva che ormai disponevo di molto denaro. Disse che il mio debito non era ancora estinto e mi consigliò di pagarlo senza fare storie, in fondo era merito suo se io ero diventato una celebrità. –disse- Assecondai la sua richiesta senza fiatare e lui per tutta risposta mi minacciò chiaramente: sarebbe tornato ancora per riscuotere ed io avrei dovuto pagare se volevo evitare guai. Lui conosceva la mia vera identità e l’avrebbe usata come arma per ricattarmi. Cercavo di sfuggirgli; cambiai alloggio tre o quattro volte ma lui riusciva sempre a trovarmi e le sue pretese divenivano di volta in volta sempre più esose, doveva vestire elegantemente per far bella figura con colei che amava e poi doveva regalarle fiori, gioielli e le cose di lusso costano –mi disse un giorno. La donna a cui si riferiva era Yvette Bourgueis ma non so se l’amava davvero o se mirava solo ai suoi quattrini. Domenica scorsa, infine, avvenne l’irreparabile. Si presentò a casa mia con l’intenzione di spillarmi altro danaro, stavolta era una cifra davvero ragguardevole ma io ero deciso a non cedere. Ormai avevo capito che l’unica arma era tenere duro; le sue armi, però, erano ben più pericolose delle mie: mi mostrò il mio passaporto originale, quello che ora è nelle vostre mani. Non capivo come fosse riuscito ad impossessarsene, quel documento non doveva più esistere, io stesso lo avevo dato alle fiamme quando il falsificatore, dopo essersene servito per creare quello contraffatto me lo restituì. Davies mi rivelò che quella che mi fu restituita altro non era che un’altra copia del mio documento, commissionata da lui per impossessarsi di quello autentico. Risposi che non gli avrei dato nulla e sarebbe stato meglio per lui andar via dopo avermi restituito il passaporto. Con un gesto di sfida mi tirò il documento sulla faccia dicendo che anche quella era una copia e che quello autentico era ben nascosto. A quel punto estrasse un coltello dalla tasca minacciando di uccidermi: “Non ci vuole nulla a farti fuori –disse- non è certo la prima volta che faccio fuori un bastardo, ne sa qualcosa quello che tu chiami “il mio amico falsario”. Credeva che l’avrei pagato… povero illuso. Mentre parlava continuava ad avanzare verso di me brandendo l’arma con uno sguardo allucinato e rabbioso, fui assalito dal panico ed istintivamente afferrai il primo oggetto che mi capitò… il candeliere, era proprio a portata di mano.
Lo scagliai con tutte le mie forze contro di lui, ma il suo cappello sembrò attutire il colpo, il coltello gli scivolò dalle mani mentre lentamente si accasciava sul pavimento. L’avevo ucciso, solo in quel momento mi resi conto del delitto di cui mi ero macchiato. La mia mente lavorava febbrilmente ma non riuscivo a avere il controllo del mio corpo, ero tutto un tremore, sentivo il mio cuore battere freneticamente. Presi la bottiglia del cognac e bevvi lunghe sorsate; finalmente il tremore scemò. Dopo aver pulito ogni sua traccia dalle scale e dall’appartamento mi accorsi che aveva tracciato un segno a forma di stella sulla mia porta, cancellai anche quel minaccioso simbolo di morte quindi spogliai il cadavere dei suoi panni e lo occultai sotto il mio divano. Io indossai il mio paletot e su questo il suo mantello nero gli occhiali ed il cappello, uscii di casa. Il custode mi vide uscire ma non si accorse della sostituzione. Andando a teatro mi liberai del travestimento gettandolo in un cassone dei rifiuti. Stavo riacquistando il mio autocontrollo convincendomi sempre più che tutto sarebbe andato nel migliore dei modi. Anche a teatro tutto andò alla perfezione tranne l’omicidio di quella povera ragazza, questo provocò un tale scompiglio che nessuno fece caso a me che ne approfittai per lasciare il teatro dall’uscita di sicurezza. Arrivato a casa mi accorsi che il custode era ancora seduto nella sua guardiola ma, buon per me, dormiva profondamente e non mi vide salire. Attesi che giungesse l’ora della chiusura del portone poi bloccai l’ascensore con un pezzo di carboncino trovato per terra e con fatica trascinai il cadavere giù per le scale di servizio, raggiunsi la botola dell’ascensore, la aprii facendo leva con il suo coltello e lo scaraventai all’interno insieme al corpo.
Ritornai su in casa e presi la valigia nella quale avevo messo tutto ciò che mi sarebbe potuto servire e scappai, il resto della storia lo conoscete. ”
“Un essere abietto. In fondo se la è proprio voluta. – disse Parker- Stia tranquillo, maestro, -soggiunse mettendogli le manette- terremo conto delle attenuanti.”
Il desiderio della scoperta nasce con l’uomo, è parte dei suoi istinti e con ogni probabilità è uno dei più forti. Il desiderio di scoprire la verità risale alla notte dei tempi ed è il motore che muove l’ingegno dell’uomo.
La sete di giustizia, in fondo è parte del desiderio di scoprire la verità. Ma quante volte si è fatta “giustizia” mentre la verità non era ancora svelata?
Lunedì 28 Febbraio ore 0,10
Nel suo ufficio Parker commentava col fedele Gordon gli ultimi avvenimenti del caso.
“Cosicchè il maestro sarebbe del tutto estraneo alla morte della cantante? Io sarei propenso a non crederci.”
“Fai male, mio buon amico. Il nostro maestro è colpevole, ma di uno solo degli omicidi, potremmo dire che Hunter o meglio Kanitz sia diventato un assassino solo per caso, in effetti era lui ad essere la vittima e l’altro l’aguzzino. Per quanto riguarda l’omicidio della cantante, ho idea che la morte della Bourgueis sia opera di ben altra persona. A proposito, domattina arriverò in ufficio due o tre ore più tardi, tu nel frattempo farai un giro dei vari negozi di fiori che si trovano nelle vicinanze del teatro e chiedi se il giorno 20 qualcuno di loro ha ricevuto qualche richiesta inusuale come ad esempio una varietà di fiori particolare o una composizione fuori dal consueto.”
“Ma che significa tutto questo, cosa c’entrano i fiori?”
“Mio caro Gordon, fino ad ora abbiamo concentrato le nostre indagini sulla morte di Davies facendo luce solo su una delle due morti ma il caso principale ovvero il delitto Bourgueis non è stato ancora risolto. A questo proposito sto riesaminando gli appunti presi durante il mio sopralluogo effettuato a suo tempo nel camerino della cantante e ti posso garantire che i fiori c’entrano ma ti dirò di più: l’assassino di Yvette non potrà mai essere messo in manette, egli è già uscito dalla scena.”
Il giorno dopo Parker arrivò in ufficio alle diciassette e quarantacinque.
“Alla buon ora!” –esclamò Gordon vedendolo arrivare-
“E’ stato meno semplice di quanto pensassi, ma ne è valsa la pena.”
Parker si tolse cappotto e cappello e li appese all’attaccapanni accanto alla sua scrivania sulla quale appoggiò la sciarpa ed i guanti, quindi si avvicinò alla vecchia stufa per riscaldarsi le mani, poi con tutta calma si avvicinò alla sua poltrona da lavoro e finalmente si sedette. Gordon osservò nervosamente quei movimenti flemmatici ma non riuscì a trattenere oltre la sua impazienza.
“Insomma, ti decidi a parlare? Avevi annunciato di arrivare con due o tre ore di ritardo ed invece arrivi in ufficio a sera inoltrata. Dici che però ne è valsa la pena e intanto ti metti a gironzolare per l’ufficio senza aprir bocca. Si può sapere cosa hai scoperto?”
“Calma Gordon, calma. Ora siedi e rilassati, un po’ di pazienza e saprai tutto. Sto aspettando qualcuno che troverà il mio racconto molto interessante, tu intanto dimmi com’è andata.
Pochi minuti dopo, infatti, un agente annunciò l’arrivo di Annabelle Lafayette.
“Buonasera ispettore, spero che il motivo per il quale mi ha fatto accompagnare da lei sia per lo meno “un buon motivo” visto che ero nella mia vasca da bagno. Tanto più che non avevo alcuna intenzione di uscire questa sera.”
“Il motivo lo capirà quando avrà ascoltato quel che è emerso dalle indagini che stiamo svolgendo sul caso Bourgueis e precisamente di quanto ho appreso in queste ultime ore. Ma la prego si sieda poiché il mio racconto non sarà troppo breve.”
“Cominci pure, sono pronta per ascoltarla.”
“Per prima cosa devo dire che la mia visita al medico della signorina Yvette è stata a dir poco illuminante. Ascoltatemi con attenzione: tre anni or sono ella si trovava in campagna per una breve vacanza che rischiò di tramutarsi in tragedia per una semplice puntura d’ape. La sua amica ebbe la fortuna che proprio nel suo albergo alloggiava uno dei più noti medici di tutta Londra che la soccorse immediatamente salvandole la vita. Un minuto più tardi e per lei non ci sarebbe stato più nulla da fare. Più tardi si scoprì la sua ipersensibilità a quella particolare tossina. Yvette, da allora, fu costretta ad evitare nel modo più categorico tutti gli ambienti dove l’insetto poteva essere presente, in particolare le campagne e le zone lacustri, non solo ma era talmente terrorizzata da un probabile attacco di qualche ape che prima di andare a letto usava cospergersi di creme repellenti. Una ossessione divenuta quasi paranoica quindi, che però contrastava fortemente con un’abitudine di cui non riusciva a fare a meno, quella di usare un fortissimo profumo a base di tuberosa.
Quando andai nella sua casa per un sopralluogo ne trovai diversi flaconi. Il giorno della prima al Royal, la signorina Yvette tra gli altri fiori ricevette una particolare qualità di orchidee: Ansellia africana, più comunemente nota come orchidea leopardo. E’ una varietà molto rara dalle nostre parti, ma si da il caso che il proprietario del negozio dove sono state acquistate, possegga una serra dove le coltiva personalmente e dove ha creato il clima ideale per la loro crescita. L’acquirente le volle in una confezione davvero singolare: una scatola di cartone completamente chiusa con centinaia di minuscoli fori del diametro di una capocchia di spillo. I fiori furono acquistati solo un’ora prima dell’inizio dello spettacolo e l’acquirente non volle incaricare un fattorino per la consegna, come si fa di solito, ma li portò via personalmente. Stamattina presto sono ritornato a teatro per riesaminare il camerino della Bourgueis. Ho osservato ogni angolo e mi è sembrato che la prima volta non mi era sfuggito nulla, avevo annotato ogni cosa sul mio taccuino ma mi sbagliavo. In un angolo del guardaroba c’era qualcosa di veramente inconsueto per un camerino e maggiormente per quello di Yvette: un’ape morta e ad un attento esame dell’insetto abbiamo potuto constatare che era priva del pungiglione.
Il negoziante di fiori è riuscito a fare una descrizione precisa dell’acquirente ed io non ho dubbi, si tratta di lei, signorina Lafayette.”
A questa affermazione l’accusata cominciò e protestare violentemente, Gordon intervenne tempestivamente riuscendo, a malapena a farla tacere.
“Mi lasci finire, -l’apostrofò Parker- dopo sarò pronto ad ascoltare tutte le sue obiezioni. Il pomeriggio del 20 febbraio scorso lei si recò al negozio di fiori del signor Patton per ritirare delle orchidee; per la precisione orchidee leopardo, una varietà molto costosa e non facilmente reperibile qui a Londra, tranne che in quel negozio, dove vengono coltivate in speciali serre. Lei, infatti, si era già prenotata diversi giorni prima per non correre il rischio di non trovarle. La signorina Bourgueis amava riceverle ogni volta che si esibiva in pubblico. Era quasi un rituale, una ossessione scaramantica alla quale non riusciva a sottrarsi. Erano anni ormai che le trovava nel suo camerino prima di ogni sua esibizione e, naturalmente, era la sua amministratrice nonché amica del cuore che si interessava di farle trovare i fiori sul tavolo da trucco, sempre allo stesso posto: davanti allo specchio. Il fioraio, Patton, le aveva già preparate varie volte ma questa volta la sua richiesta fu davvero originale: una scatola di cartone che gli aveva procurato lei stessa. Una scatola di cartone con dei piccoli fori su tutte e quatto le pareti. Patton le chiese il perché di una scatola chiusa che, avrebbe impedito di poter ammirare la bellezza di quei costosissimi fiori, senza contare che la mancanza d’aria avrebbe potuto sciuparli. Lei rispose che era uno scherzo, voleva fingere di non aver trovato le orchidee, facendo credere alla sua amica che nella scatola vi fosse un’altra varietà di fiori. Per quanto riguardava l’aria, non c’era da preoccuparsi, la scatola era tutta forata. –affermò-
Ma ora facciamo un passo indietro nel tempo: da quando lei iniziò a lavorare con Yvette Bourgueis molte cose sono cambiate. All’inizio le era molto riconoscente ma pian piano qualcosa stava mutando in lei. Probabilmente, a causa del suo passato, aveva maturato una profonda avversità verso il sesso opposto, in lei cominciò a crescere giorno dopo giorno una innaturale attrazione verso la sua benefattrice. Non le bastava più tutto quello che aveva ottenuto: un bellissimo appartamento, gioielli e danaro; ora voleva di più… molto di più: voleva lei… il suo amore. Ma Yvette era una vera donna e non aveva alcuna intenzione di cambiare, accettò passivamente le sue attenzioni per anni senza mai concedersi completamente. Solo negli ultimi anni Yvette le lasciò intravedere che i suoi sentimenti stavano cambiando, dandole così nuove speranze ma la comparsa di Davies sovvertì l’andamento degli eventi. Il signor Davies era diventato un rivale pericoloso, lui non mirava all’amore della Bourgueis, come voleva far intendere, bensì ai suoi soldi. Si era costruito un personaggio indubbiamente affascinante che era riuscito a far innamorare la Bourgueis con un lavoro di indicibile perseveranza e grande pazienza. Davvero ammirevole per un volgare malvivente.”
“Moderi i termini, ispettore.” -interloquì inaspettatamente Annabelle-
“Mi aspettavo questa sua reazione. -affermò Parker- Devo ammettere che era un trabocchetto, dovevo avere la conferma ad un mio sospetto. Come dicevo, Stephen Davies si era ingraziato la signorina Yvette con una corte spietata, ma portata avanti con una classe insospettabile, decine e decine di lettere in cui manifestava i propri sentimenti; poesie sdolcinate ma di sicuro effetto su un animo gentile e nobile e poi i fiori che lei amava tanto, non dimenticava mai di mandarglieli almeno una, due volte al mese. L’uomo aveva portato avanti questo tipo di comportamento per svariati mesi ma solo dopo più di un anno la bella Yvette cominciò a nutrire un certo interesse, fu allora che i due iniziarono a frequentarsi sporadicamente anche se il loro rapporto rimase ad uno stato squisitamente platonico. Yvette non amava che la cosa divenisse di dominio pubblico ed i loro incontri avvenivano sempre nel più rigoroso riserbo, ecco perché nessuno ne sapeva alcunché. Tranne lei signorina Annabelle e naturalmente i signori Bourgueis, ai quali il signor Davies piaceva ben poco. Il signor Stephen Davies… ma forse sarebbe più giusto dire il signor André Lafayette, vale a dire suo fratello.”
Seguirono attimi di interminabile silenzio, l’atmosfera si incupì improvvisamente, l’unica fonte di luce quella del lume della scrivania di Parker si spense, forse a causa di un lampo; intanto il temporale imperversava tra il fragore dei tuoni e lo scrosciare della fitta pioggia che il forte vento faceva ondeggiare a destra e a sinistra sotto i lampioni della strada appena riaccesi, quasi come il grigio sipario di un palcoscenico sotto le luci dei riflettori all’ultima scena della commedia.
“Mio fratello! -disse la donna rompendo il silenzio- Ci siamo sempre odiati fin da bambini, dopo tutto non eravamo dei veri fratelli e per lui sono stata sempre un’intrusa, un usurpatrice, colei che aveva preso il posto della sua vera sorella. I signori Lafayette mi avevano adottata quando la loro figlia di appena cinque anni morì per una banale caduta. Il dolore fu tale che pochi mesi dopo l’accaduto decisero di adottarmi. Speravano che affezionandosi a me avrebbero potuto dimenticare la perdita della loro figlia diletta ma non fu mai così. Crebbi in un clima di ostilità e di tensione, André non sopportava la mia presenza e non perdeva mai l’occasione per rinfacciarmi le mie origini, anche sua madre era contro di me; solo il vecchio padre mi dimostrava un poco di affetto, ma era un uomo debole e malato e non visse abbastanza a lungo per potermi difendere. Decisi di scappare via da quella vita d’inferno e lo feci quando avevo appena quindici anni ma ciò mi fece cadere dalla padella alla brace. Finii per vendermi sulla strada, vittima del mio nuovo aguzzino.
Andai avanti così per anni finché non incontrai Yvette, fu la mia ancora di salvezza, con lei riuscii a dimenticare il mio passato ed a ricostruirmi una nuova esistenza: avevo denaro ed ero rispettata da tutti. Nella mia vita non avevo mai amato e forse fu per questo che finii per innamorarmene ma lei, all’inizio, non mi accettava ed io, pur soffrendone, mi sentivo sempre più attratta . Quando, finalmente, il nostro rapporto stava per concretizzarsi ecco apparire André, che in tutti quegli anni si era dato alla brutta vita ed al crimine. Aveva cambiato identità e da qualche tempo ricattava il maestro Hunter, ma quando scoprì della mia amicizia con Yvette, cominciò a corteggiarla spietatamente.”
“Un corteggiamento che piano piano cominciò a dare i suoi frutti: -interloquì Parker- Yvette se ne stava innamorando e lei lo odiava sempre di più, avrebbe voluto ucciderlo e forse l’avrebbe anche fatto se il caso non avesse voluto che il maestro lo facesse prima di lei, ma torniamo a suo fratello; quell’uomo non nutriva alcun sentimento verso la povera Yvette, quel che voleva raggiungere era ben altro che il suo cuore. La signorina Yvette aveva accumulato un capitale davvero ragguardevole ed era proprio a quello che l’uomo mirava. I soldi che riusciva ad estorcere a Kanitz gli servivano per pagarsi la lussuosa camera d’albergo che usava per i suoi incontri galanti con la vittima e per farsi confezionare abiti costosi. Il sottoscala alla periferia era solo un rifugio che usava quando voleva sparire per qualche tempo dalla circolazione. Il giorno della morte della Buorgueis, lei ordinò le orchidee con quella particolare confezione perchè quella stessa scatola doveva contenere oltre ai fiori, anche delle api che avrebbero aggredito Yvette nel momento in cui la scatola sarebbe stata aperta. Ecco a cosa servivano i fori: per dare ossigeno agli insetti che, altrimenti sarebbero morti in pochi minuti. Le api una volta liberate sarebbero state attratte dal profumo di tuberosa che la donna usava indossare in abbondanza Ma non era sua intenzione ucciderla infatti, dalle mie indagini risulta che si era procurata un medicinale che opportunamente iniettato avrebbe reso inerte il veleno. Tutto ciò per dimostrarle il suo amore e, forse, per tentare di riavvicinarla a se. Ogni cosa avvenne secondo i suoi piani, e quando Yvette aprì la scatola delle orchidee venne subito assalita da uno dei temibili insetti, prontamente intervenne lei con il suo antidoto ottenendo così la sua riconoscenza, era certa di averle salvato la vita e sperava con tutta se stessa in un ritorno di fiamma. Yvette si vestì per andare in scena e lei la aiutò amorevolmente… come sempre. Yvette Bourgueis era sul palco da quasi un’ora e stava dando ancora una volta il meglio di se stessa quando all’improvviso si accasciò al suolo priva di vita. Il terrore di averla uccisa si impossessò di lei immediatamente. Cos’era accaduto? L’antidoto non aveva funzionato? Si precipitò nel camerino per cercare di far sparire qualsiasi prova che potesse far luce sul suo piano ma era terrorizzata e suo malgrado le sfuggì qualcosa: l’insetto morto, ecco il piccolo indizio che mi ha permesso di ricostruire gli avvenimenti. Tutto questo le costerà qualche anno di prigione per tentato omicidio anche se lei, forse, era l’unica persona a non ricavare alcun beneficio dalla sua morte. Colui che ne avrebbe ricavato grande giovamento era il suo compianto fratello che, riuscì ad essere nominato nel testamento della defunta, per il quale sarebbe venuto in possesso di circa il settanta percento dei suoi averi.”
Parker fece cenno a Gordon di evitare alla donna l’umiliazione delle manette; Annabelle lo capì.
“Credo che dobbiate portarmi via vero?” -chiese-
“Si Purtroppo, si renderà conto di ciò che ha fatto. Ammetterà che è stata una follia?”
“E’ vero, a volte i sentimenti ci offuscano la mente impedendoci di usare la ragione facendoci comportare oltre i limiti della pazzia. Ma chi l’ha uccisa, ispettore? Se lei mi sta accusando di tentato omicidio vuol dire che l’assassino è qualcun altro… ma chi?”
“Qualcuno che ha già pagato per il crimine commesso, suo fratello signorina Lafayette. Egli aveva sfruttato una delle tante fobie della Bourgueis: lei era convinta che sarebbe morta molto giovane, ecco perché aveva fatto testamento in così prematuramente.”
“E in che modo l’avrebbe uccisa?” -chiese Gordon-
“Con un semplice regalo. Une bellissima collana di perle, una delle quali aveva solo l’aspetto di una perla, in realtà si trattava di una piccola ampollina di vetro munita di una punta acuminata pronta a iniettare una buona dose di curaro: un estratto vegetale ricavato da numerose piante della foresta amazzonica utilizzato dagli indigeni della zona per avvelenare la punta dei loro dardi da caccia.”
“Ma perchè complicare tanto le cose? -si interrogò Gordon- non sarebbe stato più semplice propinarle il veleno in una bevanda, magari in un bicchiere di Porto, visto che la Bourgueis era solita berne almeno due o tre al giorno?”
“Non avrebbe potuto. -rispose Parker- poiché per fare come dici, egli si sarebbe dovuto recare di persona a teatro prima che iniziasse la serata. Il suo alibi, invece, era quello di non essersi mai mosso dalla sua camera d’albergo come avrebbe confermato anche l’addetto alla reception. Infatti quando André si ritirò disse al portiere di non voler ricevere nessuno poiché non si sentiva bene, si sarebbe messo a letto e non sarebbe uscito di casa prima del giorno successivo. Invece uscì dalla scala di servizio con il travestimento con il quale è stato visto dal custode di Hunter la sera stessa in cui fu ucciso. La collana, invece, avrebbe funzionato anche in sua assenza poiché egli l’aveva regalata ad Yvette facendosi promettere che l’avrebbe indossata solo prima di entrare in scena. Quando la donna avrebbe fatto scattare la chiusura del collier, avrebbe involontariamente attivato il minuscolo congegno che le avrebbe iniettato il veleno. Veleno che non è stato di facile individuazione neanche con l’autopsia a causa della presenza di un altro veleno, quello dell’insetto e del medicinale iniettato da lei. Tutti questi elementi si erano confusi nel sangue della vittima fuorviando le analisi del Coroner che solo stamattina è riuscito a darmi un responso definitivo.”
“E la collana? Quella era il corpo del reato!” -intervenne Gordon-
“La collana era volutamente troppo stretta per il collo di Yvette ed il nodo che teneva insieme le perle si sarebbe sciolto subito dopo lo scatto e fu proprio ciò che accadde, ecco perchè non fu indossata. E’ stato facile per me ricostruire la collana raccogliendone i vari pezzi sparsi sul pavimento del camerino ed accorgermi che mancava una perla, al suo posto trovai quel che rimaneva della piccola sfera di cristallo.”
“Che menti contorte.” -bisbigliò Gordon con voce sgomenta-
“E’ vero. -rispose Parker- ma non credere che questo sia un caso particolarmente singolare ho visto di peggio in vita mia e, se vuoi il mio parere, tra qualche tempo crimini del genere saranno considerati banali se non addirittura ridicoli. Fra meno di cent’anni il crimine avrà assunto forme ben più agghiaccianti e la mente degli uomini ben più contorta nella sua cruda follia. Saranno brutti tempi, amico mio quelli cui si va incontro .”
“Per fortuna noi non ci saremo.”
31 marzo 2008 alle 4:51 pm
Ciao Salvatore!
Intanto benvenuto sul sito
Mi ci vorra’ un po’ per leggere tutto quello che hai pubblicato. Ma prima o poi ce la faro’, promesso
17 ottobre 2009 alle 10:52 am
bel e avvincente racconto. Salvatore, di dove sei?
17 ottobre 2009 alle 10:53 am
Racconto bello e avvincente. Salvatore, dove abiti?
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