Un estratto da “Rocco e Lucia”
Pubblicato da stefy il 23 luglio 2007
Ci sono episodi della mia infanzia che sono rimasti scolpiti nella mia memoria come se qualcuno li avesse impressi con il ferro rovente. Ho marchi indelebili che neppure sforzandomi riuscirei mai a cancellare.
Da bambino aspettavo con ansia la fine della scuola. Contavo i giorni, le ore, i minuti. Finita la scuola, iniziavo il conto alla rovescia per la partenza con i miei in vacanza. In genere, passavamo qualche settimana dai nonni, in Sicilia, vicino Messina, ospitati dagli zii. Il paesino è situato su una zona collinare, ombrosa, ricca di boscaglie e sterpi. Trascorrevo giornate intere a scorazzare per i prati con i miei cugini: ero il più piccolo della combriccola, spesso isolato, tenuto in disparte, considerato per versi il guastafeste. Tommaso era il maggiore, leader della banda: ogni estate sfoderava una bicicletta nuova di zecca, e ci mostrava dall’alto del suo metro e cinquanta di dodicenne precoce e sfrontato, le caratteristiche spaziali del suo mezzo di locomozione. Le bici vecchie restavano in disuso nel garage di nonna, arrugginite, con le ruote sgonfie, tana di qualche vespa o ragno solitario. L’estate del 1983 pioveva quasi sempre, specie il pomeriggio, quando nuvoloni neri comparivano all’improvviso all’orizzonte e spinti da raffiche di vento portavano pioggia lampi e tuoni annacquando la terra secca e arida di una Sicilia desolata. Un pomeriggio i nuvoloni sembravano più lontani del solito: Tommaso verso le due era già in cortile, uno spiazzo di terra battuta ricoperto in parte di ghiaia fangosa, a sgommare con la sua nuova bici. In breve eravamo tutti intorno a lui, a guardare le sue prodezze, accaldati e sudati, sotto un sole che picchiava direttamente sulle nostre teste rasate.
“Facciamo un giro giù al mulino, per la discesa che porta al secondo ponte”, ha proposto infine Tommaso, fermandosi di scatto proprio davanti ai piedi nudi di Davide, suo fratello. Neanche a dirlo, eravamo tutti a pronti a partire, esultanti, schiamazzanti nel silenzio di quel primo pomeriggio. Contammo le bici: precise, una per uno. Ce ne era anche una piccolina per me, forse anche troppo, la più vecchia, arrugginita in modo indecoroso. Dopo le prime pedalate la sentivo gracidare sinistramente sotto i miei piedi.
“Rocco non può venire. E’ troppo piccolo”, ruggì ad un tratto Tommaso, guardando pensieroso quella bicicletta sfasciata.
Io, preso da un’ira e una foga istintiva, ribattei pronto:
“No, invece vengo!!”
“No, sei troppo piccolo! Chi ti riporta su dopo? E’ tutta salita!”
“Io vengo eccome!”, ma la mia voce cominciava già a tremare dal nervosismo, non più convinto che la mia volontà potesse avere presa sugli eventi.
Davide e Tommaso mi guardavano studiando attentamente la mia bici. Io li fissavo, accigliato, accecato dal sole, con i piedi chiusi nei sandalini di pelle marrone e le mani ancorate al manubrio traballante.
“Dai, fallo venire …” si è intromessa alla fine Giulia, un’altra delle mie cugine, mentre con una mano si stringeva un codino nell’elastico e con l’altra si stropicciava un occhio sporco di terra.
“Va bene, viene anche Rocco, ma ti metti dietro a Giulia, e pedali piano piano, ok?”
“Si”, ho risposto pronto io, incredulo della mia buona sorte e dell’improvvisa clemenza di Tommaso.
Il mulino era posto ai piedi del colle: la strada era asfaltata, le macchine raggiungevano il paese attraverso quella via, ma a quell’ora calda e afosa non c’era in giro nessuno. Solo noi, una banda di dieci biciclette, guidate da monelli sudati e scalmanati, che sfrecciavano veloci lungo la discesa. Io mi tenevo dietro Giulia, e avevo le mani sui freni, che stridevano ogni volta che li pigiavo con più forza. Giulia davanti a me, non pedalava, trascinata dal vento e dalla bici, sembrava volare. Diventava sempre più lontana. A un certo punto l’ho vista voltarsi indietro a controllare, poi arrestarsi di botto, poggiando i piedi per terra. Da lontano il suo sbuffare era comunque udibile chiaramente:”Ti muovi? Non devi frenare!! Basta che non pedali!”
Cercando di mantenere un equilibrio precario, tenevo le mani rigide sui freni, toccandoli non appena le ruote prendevano una velocità che a mio parere era eccessiva. Non sono mai stato coraggioso e da bambino ero un vero e proprio fifone. Tuttavia non volevo neppure restare troppo indietro. Ho quindi allentato un po’ la stretta sul manubrio e la bici ha cominciato ad acquistare velocità. Ho visto Giulia riprendere a pedalare, sempre sbuffando e maledicendomi. Mi arrivavano da lontano i suoi “Cretino”, come frecce che mi punzecchiavano le orecchie. Ma non vi badavo, preso com’ero dal controllare una bicicletta che tutto era tranne che stabile. Poi, è successo tutto all’improvviso e non lo so bene neppure io come è potuto accadere. Ricordo solo che ad un certo punto la strada si è fatta più ripida, la mia bici stava correndo troppo, ho pigiato allora sui freni con le mani, ma non ho notato nessuna variazione di velocità. Anzi, la mia bici ha preso di colpo a correre all’impazzata, spinta da non so cosa, con me sopra, traballante e incerto. Come un razzo, ho superato Giulia, che appena mi ha visto passare mi ha gridato dietro “Ma dove vai, scemo!!!”
Di seguito, ho superato a tutta birra la bici di Manolo, Francesco, Valeria, poi ho quasi urtato quella di Davide e di altri due miei cugini. Riuscivo a stento a gestire il manubrio che ondeggiava malamente nella mie mani. Sentivo la bicicletta diventare sempre meno salda e il mio equilibrio vacillare.
“Aiutoooooo” gridavo con la bocca spalancata, mentre l’aria mi entrava a folate nei polmoni, soffocandomi il petto e inducendomi a tossire come un tisico. Dietro di me i miei cugini strillavano come pazzi con tutto il fiato che avevano in corpo:
“Frena! Frena!”
“Non funzionano i freni!!”, sono riuscito a gridare mentre schizzavo oltre Tommaso, ultima mia ancora di salvezza, ma in un batter d’occhio mero puntino nero dietro di me.
“Frena con i piedi scemo!!”, mi ha gridato allora Tommaso, mentre mi correva dietro con la bici.
Non ho fatto in tempo a poggiare i piedi per terra: la bicicletta si è spaccata in due, cadendo lateralmente, il manubrio si è inclinato di lato, mentre il sellino è scivolato da sotto il mio sedere. Con un botto incredibile, sono caduto a più riprese sul margine della strada, mentre il brecciolino bollente dell’asfalto mi si infilava nei gomiti, nelle ginocchia, lungo una coscia e la mia faccia finiva frantumata su un ciuffo di rovi spinosi. La bicicletta credo fosse finita di sotto, in quel piccolo burrone che accompagna il sentiero stradale. Tommaso è riuscito a sollevarmi da terra, rimettendomi in piedi, mentre, ormai colabrodo di sangue e spine, piangevo come un forsennato, rigettando tutta l’aria che quella discesa mi aveva conficcato nei polmoni. Piangevo così forte che nessuno dei miei cugini riuscì a far sentire la sua voce o ad avere la meglio sui miei singhiozzi.
La nostra discesa al mulino si concluse lì: alle due e quaranta eravamo già sulla via del ritorno, ognuno con la sua bici in mano, Tommaso che mi trascinava per un braccio, sudato e affaticato, bruciato da quel sole arroventato, incapace di zittire i miei strilli neppure con un “Piantala cretino, l’hai voluto tu!”.
Quella sera a casa, mia madre mi ha messo in punizione. Papà mi ha riempito di scappellotti, Tommaso è stato picchiato a sangue da zia Carmela, fuori di sé quando ha visto la mia faccia rossa tutta pustole e bolle. Solo la nonna ha avuto pietà della mia disavventura: chiuso nello stanzino del pane, senza neppure una branda, mi ha aperto la porta e mi ha portato nella sua camera: qui mi ha offerto il suo letto soffice e il cuscino fresco. Poi, da sotto il grembiule nero ha tirato fuori una caramella e me l’ha data, sorridendomi con quei denti gialli. Frettolosa se ne è andata. Sono rimasto lì per un po’ a succhiare la caramella e mi sono addormentato, steso su un lato, perché avevo il sedere ustionato dalle scorticature e la faccia bollente per i rovi spinosi che mi si erano conficcati sotto la pelle.
24 luglio 2007 alle 1:04 pm
Ciao Stefy, grazie per quest’estratto. Molto bella la descrizione del gruppo di bambini, e il modo in cui parlano/.si comportano (penso in particolare alla bambina che si sistema l’elastico per capelli e si strofina l’occhio).