ll giorno dell’aquilone
Pubblicato da Alda il 11 novembre 2009
Sembrava una mattinata come tante altre; l’aria era tiepida, il sole brillava ed io, bimba di poco più di cinque anni facevo colazione con un bel “bombolone” inzuccherato che la mamma si premurava sempre di far trovare sia a me che a mio fratello, insieme ad una abbondante tazza di latte.
In quel momento squillò il campanello, la mamma corse ad aprire e la sentii salutare allegramente lo zio Adolfo che ogni tanto veniva a trovarci.
Era questi il fratello minore della mamma, sposato ad una donina buona ma piccola e fragile, egli non aveva avuto la gioia dei figli e perciò riversava tutte le sue attenzioni ed il suo affetto su noi nipoti.
Aveva un fisico minuto ed asciutto, un carattere allegro e non ultimo un meraviglioso senso dell’umorismo, grazie al quale aveva sempre qualcosa di divertente da raccontare.
Egli lavorava alla “FILA” la fabbrica di matite; spesso ci portava una bella matita oppure una scatola di pastelli “Giotto”. Erano queste tutte cose che accettavo con grande piacere, avendo io la mania di scarabocchiare su qualsiasi foglio trovassi.
Quella mattina, appena zio entrò in cucina capii subito che sarebbe stato un giorno diverso dal solito; egli aveva con sé uno splendido aquilone fatto con le sue mani utilizzando leggere e coloratissime carte veline e lo aveva adornato con una lunghissima coda che terminava con una nappa fatta con tante striscioline di carta rossa. Alla vista di tale meraviglia corsi ad abbracciare lo zio ed esultai con grida di gioia tanto da richiamare l’attenzione di mio fratello, incuriosito da tanto chiasso. Anche lui venne dallo zio e rimase affascinato dall’aquilone; però domandò, non senza una punta di risentimento, come mai quel bel regalo fosse stato fatto a me, piccola bambina incapace di far volare qualsiasi pezzo di carta nemmeno se ci avessi soffiato sotto e non invece a lui che, a suo parere era “grande” con i pantaloni al ginocchio, capelli tagliati a spazzola e in più capacissimo di far volare qualsiasi aquilone!!
Subito fu un gran discutere sulle rispettive capacità “aereonautiche”; lo zio naturalmente si buttava dalle risate e ci riconciliò dicendo che il regalo era per tutti e due.
Alla fine, anche se la mamma non fu troppo contenta, mio fratello propose di portarmi con lui in bicicletta, beninteso con l’aquilone, fino al “Campo di Marte” … li si che c’era lo spazio necessario per farlo volare!
Così fu deciso e appena ottenuto il permesso si partì tutti contenti: io seduta in canna con il mio bel vestitino bianco ornato di nastri rosa e mio fratello con in testa un berrettino tipo “Girardengo” (asso del ciclismo di quel tempo).
Arrivati che fummo al Campo di Marte subito ci demmo daffare per il “varo” di questo aquilone; purtroppo però, per quanto si facesse l’aquilone non intendeva assolutamente innalzarsi! Aveva voglia mio fratello di gridare: “Tienilo su! Più su! … aspetta che corro! …VIA … Macché! Non c’era verso!
Io non so di chi fu la colpa di quel fiasco; forse dovuto ad un difetto di costruzione, oppure all’imperizia degli “aquilonisti”. Fatto sta che tenta e ritenta ad un tratto il tempo cambiò repentinamente, il cielo si fece nero di nubi e si alzò un forte vento. Fu qui che mio fratello pensò bene di sfruttare questa forza della natura e diede l’ulteriore comando di lanciare l’aquilone.
Ebbene questa volta si alzò eccome!
“Vai! Vai! Che ora vola! … lo credevo bene! Con quel popò di vento che lo sbatacchiava da tutte la parti! Nel frattempo cominciò a piovere, venne giù un’acqua fitta fitta a goccioloni che ci infradiciò come due pulcini.
Il nostro povero aquilone aveva avuto pochi minuti di gloria, ormai era ridotto a brandelli, inzuppato si afflosciò sul prato, ed era proprio il caso di dire “con la coda tra le gambe”.
Riprendemmo così la strada del ritorno tristi e delusi, conciati non si sa come; per colmo di sfortuna con la bicicletta prendemmo una buca e ci ritrovammo nella mota fino al collo. Giungemmo a casa in uno stato pietoso! E non sto a raccontare quello che la mamma ci disse!
A questo punto non ricordo bene quello che successe dopo, ma certo non fu piacevole, so solo che mentre piangevo come una vite tagliata, fui infilata a forza nel lavandino per ricevere una buona ripulita, mi furono disinfettati i graffi sui ginocchi ed infilata a letto. Da li sentivo suonare il campanello della porta in continuazione; era mio fratello, per castigo la mamma lo aveva lasciato fuori casa! A quelle scampanellata rispondeva arrabbiata: “Sona! Sona! Vedrai quando viene i ttu’ babbo!”
Di quel giorno non ricordo altro ma esso è rimasto indelebile nella mia memoria come “il giorno dell’aquilone”.
Parecchi anni dopo mio fratello divenne Capitano Osservatore della Regia Aereonautica e volava in tutto il mediterraneo con gli idrovolanti, che sia stata una forma di riscatto per l’insuccesso di quel giorno?
20 novembre 2009 alle 15:05
Che bello leggere racconti che, come questo, portano con sè l’immagine di un’Italia semplice e di bambini che si divertono con poco. E’ stato facile immaginare la scena, e bello ascoltare scene di vita vissute di persone “vicine”. A quando la prossima?
24 novembre 2009 alle 09:57
Ciao Alda!
E benvenuta sul sito
Grazie infinite per questo bel pezzo. Mi ricordo anche io un “giorno dell’aquilone”, dagli esiti meno catastrofici ma anche meno soddisfacenti (il nostro non si alzo’ per niente da terra…).
Piacevolissimo il tuo stile, sembra quasi di sentirti raccontare dal vivo, magari attorno ad un camino, con le castagne che arrostiscono…