Andrea

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Cercando l’ispirazione (1)

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Sul comodino accanto al letto il display della sveglia illuminava di una fredda luce verde la stanza da letto. Segnava le sette.
Sul suo letto John Easton
malediceva l’estate appena cominciata e pregava l’inverno di ripensarci
e tornare indietro, spaventato al solo pensiero di dover passare altri
tre mesi sveglio di notte per il caldo.
Un condizionatore d’aria
sarebbe stata la soluzione ideale, se non che per un giovane scrittore
squattrinato, in cerca di un editore che pubblichi il suo primo libro,
la maggior parte delle soluzioni ideali sono purtroppo impraticabili.
Alle
nove cominciò ad aprire la posta: la bolletta del gas, una lettera
della madre, un catalogo di vendita per corrispondenza. La quarta
lettera era della Plyngale,
una casa editrice a cui aveva spedito mesi prima una copia del suo
romanzo. Aveva speso un bel po’ di soldi in fotocopie, mandando copie
del suo lavoro ad una ventina di case editrici, e a poco a poco avevano
cominciato ad arrivargli le lettere che, dopo varie formule
introduttive, finivano tutte allo stesso modo: lo informavano che
purtroppo in quel momento la casa editrice mittente non era
intenzionata a pubblicare la sua storia. Nella lettera della Plyngale non c’era un rifiuto, stranamente, ma un invito a presentarsi negli uffici della direzione la mattina del ventotto giugno alle dieci e trenta. Evidentemente
volevano
dirgli di persona che non volevano pubblicare il suo romanzo, oppure
l’esatto contrario, ma visti i precedenti non se la sentiva di nutrire
troppe speranze circa la seconda ipotesi. Comunque ci sarebbe andato.

La sera del ventotto
cenò per la prima volta da mesi in un ristorante, e la prossima
settimana avrebbe ordinato un condizionatore d’aria per il suo
appartamento.

Quattro mesi dopo la pubblicazione, John Easton
era una celebrità: il libro era in cima alle classifiche di vendita e
lui passava le giornate a rilasciare interviste. Era tornato l’inverno,
e il condizionatore era stato diligentemente imballato e messo da
parte, almeno fino alla prossima estate. John
si era trasferito, e dallo dallo squallido monolocale in cui abitava
era passato ad un signor appartamento, all’ultimo piano di un edificio
nella zona centrale della città. Anche la natura delle lettere che
riceveva era cambiata: ora c’erano anche inviti e richieste
d’intervista, senza contare gli innumerevoli amici che aveva scoperto
di avere da quando era diventato ricco e famoso.
Una mattina era andato a parlare col suo agente:
“La Plyngale
vuole un altro romanzo, oppure una raccolta di racconti, o la tua
autobiografia, o qualunque cosa leggibile con scritto il tuo nome sulla
copertina. Ti offrono parecchio. Molto più di quanto ti hanno dato per Distruzione”
“Certo
che mi darebbero molto di più: per Distruzione non mi hanno dato quasi
niente rispetto a quello che ne hanno ricavato loro. Preferirei non
avere più niente a che fare con la Plyngale, Stu, a meno di non esserci costretto”
“Riguardo
a questo, stai tranquillo: vedrai che appena sarà pronto il nuovo
libro, le offerte degli editori ti pioveranno addosso. Avrai la
possibilità di scegliere, non ti preoccupare. L’avrai.”

Purtroppo
la pioggia di offerte degli editori era ben lontana dal venire, visto
che non aveva neppure iniziato il nuovo libro, e non aveva ancora
neanche un’idea sull’argomento delle storia che insistentemente gli
veniva richiesta.
“Devi scrivere un altro romanzo in fretta, John” gli aveva detto Stu quella mattina, “prima che la gente si dimentichi di Distruzione, se vuoi guadagnare tanto da poterti sistemare per tutta la vita”.
“Lo so Stu, e ti prometto che comincerò al più presto. Mi farò venire qualche idea.”
“Prenditi una vacanza, di solito funziona.”
“Lo farò, non preoccuparti.”
Tre
giorni dopo partiva con la sua macchina; aveva in programma di stare
via per almeno un mese, e non sapeva ancora dove sarebbe stato; avrebbe
cercato un paese in campagna, tranquillo, possibilmente isolato, dove
magari non lo riconoscessero, avrebbe preso una stanza in un mote e lì
avrebbe aspettato, avrebbe pazientato finché un’impressione, una
sensazione, un’immagine, qualsiasi cosa, avrebbe fatto da scintilla
alla miccia della sua creatività.
Girò per quattro giorni senza
trovare il posto che cercava: il primo giorno si era fermato in uno
squallido paesino di provincia, non antico, probabilmente sorto
nell’ultimo cinquantennio. Gli edifici erano per lo più case
d’abitazione (poche le villette unifamiliari, quasi tutti palazzi con
più appartamenti), con negozi al pianterreno; c’erano poi un cinema, un
supermercato e per fortuna un motel, dove passò la notte e da dove
partì la mattina successiva. Nei tre giorni successivi attraversò vari
paesi, alcuni simili a questo, altri migliori, altri addirittura
peggiori, ma nessuno gli era sembrato adatto; non c’era un motivo
particolare: semplicemente voleva cercare qualcosa di meglio. Il quinto
giorno, quando ormai si era deciso a tornare in città, vide in
lontananza, in una valle tra due monti non troppo alti, un piccolo
paese, molto più piccolo di quelli che aveva visitato nei giorni
precedenti. Sembrava piuttosto vecchio, con le piccole case di mattoni
e la chiesa bianca, addossata al monte più a est. Si fermò e scese
dalla macchina per dare un’occhiata da lontano e decidere se valesse la
pena di entrare in paese per chiedere di un albergo nelle vicinanze, e
magari stare lì un paio di giorni, prima di tornare in città. Era senza
dubbio un bel paese, e per quanto potesse essere visto da quella
distanza, sembrava tranquillo. Decise di deviare dalla strada
principale e passare a vedere il paesino. Prese una strada che sembrava
andare in quella direzione, ma presto si trovò ad andare da tutt’altra
parte; tornò sulla strada principale e andò avanti, cercando con lo
sguardo un cartello che indicasse il nome del paese, e magari come
arrivarci.
Dopo tre credeva di aver percorso tutte le strade dei
dintorni, e nessuna portava al paese: certamente era abbastanza isolato
per i suoi gusti. Il Sole stava ormai per tramontare quando finalmente
vide un cartello segnaletico: era un rettangolo di legno sorretto da
due pali in metallo, sul lato sinistro della strada; una volta c’era
stato scritto forse un nome, ma ormai non era più leggibile: rimaneva
solo una freccia, che indicava una stradina in terra battuta. Si diede
dello stupido per non aver notato prima quel bivio, pur essendo passato
di lì almeno due volte, e imboccò la stradina. Questa procedeva sotto
un’interminabile volta naturale di alberi, con ai lati un sottobosco
così fitto da non permettere all’occhio di vedere l’interno della
foresta. Nel frattempo alle sue spalle il Sole era tramontato, e già John
iniziava a rassegnarsi all’idea di passare la notte in macchina, quando
l’alta volta sembrò quasi scoperchiarsi, lasciando vedere il cielo
notturno, ancora senza stelle. Poco dopo anche gli alberi ai lati della
strada si diradarono e si trovò su una piccola strada, ora asfaltata.
Il paesino era finalmente davanti a lui.
Si stava avvicinando ad un
altro cartello e quando lesse cosa c’era scritto rabbrividì e rallentò,
per assicurarsi di aver letto bene:

BENVENUTI
A
TYNEMOUTH

Diceva il cartello: nient’altro, ma era più che sufficiente.

Tynemouth
era il nome del paese dove aveva ambientato il suo ultimo (nonché
primo) romanzo. Cominciò a ridere: era una sensazione stranissima,
aver vissuto credendo che qualcosa non esistesse se non nella propria
mente e scoprire che invce esiste realmente. Si diede di nuovo dello stupido, anzi questa
volta diede della stupida alla sua amica alla quale aveva chiesto di controllare in biblioteca se il paese che aveva inventato esistesse sul serio.
Comunque proseguì, e poco dopo si ritrovò nella via principale del
paese, piena di gente che passeggiava osservando le vetrine o
parlandogli amici o facendo tutte quelle cose che ci si aspetta che la
gente di paese faccia il sabato sera sulla via principale. La strada
correva dritta davanti a lui, dividendo in due il paese; alla fine,
lontano, di John si trovava la la chiesa bianca che aveva già visto da lontano. Non c’erano macchine, la gente era vestita in modo un po’ strano, un po’ antiquato; erano tutti allegri e nessuno si curava di lui, benché la
sua fosse apparentemente l’unica automobile a percorrere le strade del
paese. Dopo una cinquantina di metri, svoltò a destra e parcheggiò.
Tornato sulla via principale, fermò un passante. Era una omone alto sul
metro e novanta e ancora piu’ largo, che lo guardò e gli augurò buona
serata:
“Buona sera, in cosa posso aiutarla?”
“Sono un turista,
sono appena arrivato in paese e vorrei chiedervi se potreste indicarmi
un buon albergo dove passare la notte.”
“Un forestiero! Non capitano
speso da noi, e quei pochi che vengono sono molto graditi.” Fece una
breve pausa, guardandolo, poi annuì e continuò: “L’unica cosa che
assomiglio ad un albergo qui in paese è la casa della signora …
dunque… non ricordo il suo nome, comunque è facile arrivarci: svolti
a destra alla prossima traversa, c’è un’insegna, non può sbagliare.”
Seguì
le indicazioni dell’omone e tornò quindi sui suoi passi, imboccando la
traversa dove aveva parcheggiato la macchina e per la terza volta in
quel giorno si diede dello stupido: l’insegna era proprio di fronte
alla macchina e diceva: “SIGNORA REDMAN
- AFFITTACAMERE”. Di nuovo sorrise, stupito di come le conseguenze a
volte sembrino accadere tutte insieme per stravolgere la logica
casualità del reale. Anne Redman era anche il nome di un protagonista secondario del suo romanzo. Era però vero che Redman era un cognome abbastanza comune e ci sarebbe stato da stupirsi se nel paese non ci fosse stata nessuna signora Redman.
Suonò alla porta ed una ragazza, probabilmente una cameriera, venne
ad aprire. Entrò in casa della signora Redman. Occupava tutto un
edificio di due piani, non troppo grande, e non sembrava minimamente un
albergo. Si trovava in una specie di soggiorno, molto ben arredato, sul
quale davano altre tre porte, chiuse. In fondo alla stanza delle scale
salivano al piano di sopra; sulla stessa parete c’era una porticina,
aperta, ma John non riusciva a vedere niente di quello che c’era dietro, poiché la luce era spenta. Ad un certo punto da dietro a porticina giunse una voce:
“Abbiamo ospiti! Dopo tanto tempo! Maria, presto, prepara una camera!”
Finalmente si accese una luce dietro la porticina e John poté vedere cosa c’era dietro: le scale che portavano al piano sottostante, forse una cantina, e da quelle scale stava salendo quella che doveva essere la signora Redman. Era esattamente il tipo di persona che John si sarebbe aspettato di vedere in un
ambiente come quello: una dolce vecchina, che gli ricordava sua nonna,
con vistosi occhiali montati in finta tartaruga, capelli bianchi,
unghie corte, pantofole, occhiali chiari; non indossava gioielli,
tranne un braccialetto al polso della mano destra, ma anche quello non
era d’oro: per la verità on sembrava neanche di argento o di qualche
altro materiale prezioso.
La signora Redman entrò e chiuse la porta dalla quale era entrata, senza spegnere la luce; gli si avvicinò e gli tese la mano; John la strinse e lei cominciò:
“Sono la singora Redman, proprietaria di questa casa”
“John Easton,
piacere. Sono un turista, e mi hanno detto che qui avrei potuto trovare
una stanza in affitto; ho intenzione di fermarmi per…”
“L’hanno indirizzata bene, signor Easton; sono l’unica in paese ad affittare stanze ai forestieri.” Una breve pausa, poi continuò:
“Non vengono molto spesso, sa?”
“Cosa?”
“I forestieri, non ne vengono molti qui a Tynemouth,
soprattutto in questa stagione. Ecco perché non abbiamo un vero e
proprio albergo. Le darò la migliore stanza che abbiamo, vedrà che le
piacerà. Venga, mi segua. Dia pure a me le valigie!”
“No, grazie, signora, sono pesanti e non credo che lei ce la possa…”
Come se non l’avesse sentito, gli prese le valigie di mano. Era molto forte, per una donna della sua età: riusciva
a portare quelle due valigie, che persino per lui erano abbastanza
pesanti, come se fossero vuote. Cominciò a salire le scale. A metà
della prima rampa si accorse che lui non la seguiva e si fermò:
“Avanti mi segua! Non ci avrà mica ripensato, vero?”

andrea

Autore: andrea

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4 Commenti

  1. Anche se scritto un pochino di tempo fa, la tua impronta è decisamente riconoscibile. Interessante questa vecchietta che si incolla due valigie su per le scale! Io a questo punto già sarei fuggito a gambe elevate. ^_^

  2. aspetto con curiosità il seguito

  3. Molto carino, aspetto anche io con ansia il seguito!!

  4. Intrigante davvero! Un poco lunga l’introdizione, ma sicuramente il testo aggancia piacevolmente ed è pieno di suspence. N.

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