Andrea

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Cercando l’ispirazione (2)

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La
seguì al piano di sopra. Su un corridoio si affacciavano sette porte,
quattro a destra, e tre a sinistra. Un lungo tappeto copriva il
pavimento e alle pareti c’era una carta da parati verde. La signora
Redman si fermò davanti alla seconda porta a sinistra, tirò fuori dalla
sua tasca una chiave e aprì la stanza. Entrarono. Era una normale
stanza da letto, con una grande finestra che dava in un cortile
interno, ben tenuto, con fiori e piante varie in abbondanza.
L’arredamento era essenziale ma non squallido: un letto, un armadio, una
cassettiera, una piccola scrivania e uno specchio appeso alla parete
sopra la cassettiera. Tutto era perfetto, pulito e profumato. Il
materasso era esattamente come lui preferiva, non troppo morbido, ma
neanche troppo duro.

“Qui
c’e il bagno”, disse la signora Redman indicando una porta a destra
della cassettiera. “Purtroppo non abbiamo la televisione. Nessuno in
paese ce l’ha. E’ per colpa delle monta­gne: non si riesce a ricevere
nessun canale. Abbiamo solo una
piccola radio locale. Se vorrà ascoltarla usi pure la radio giù in salotto.”

“Strano che nessuno abbia mai pensato a installare un ripetitore che servisse questa zona.”

“Eppure
l’abbiamo richiesto molte volte. Ma comunque si accorgerà che in paese
troviamo sempre un modo di passare il tempo, e la televisione non le
mancherà, mi creda.”

“Ne sono sicuro. Ad ogni modo meglio così: sa, sono venuto qui per riposare, per rilassarmi, e per cercare un’ispirazione.”

“Ispirazione? Allora lei à un artista!”

“Sono uno scrittore.”

“Uno scrittore, che bello! Ma non credo di aver letto nessuno del suoi libri: purtroppo in paese non ne arrivano molti.”

“A quanto pare, ho trovato il posto tranquillo e isolato che cercavo” disse John sorridendo.

“Oh,
sì!” rispose la signora Redman ricambiando il sorri­so “Qui è molto
isolato, e siamo tutti molto tranquilli: facciamo tutto con calma”.

I
primi due giorni gli bastarono per visitare la gran parte del paese.
Era proprio come gli aveva detto la signora Redman: isolato e
tranquillo. Ed era esattamente quello che aveva cercato. Ancora niente idee, purtroppo, ma era sicuro che
prima o poi sarebbe arrivata quella scintilla che stava aspettando. E
nell’attesa, si riposava. Conobbe varie persone, in prevalenza gestori
di attivita’ commerciali nei dintorni del suo ‘albergo’. Erano tutti
straordinariamente cordiali per uno, come lui, abituato alla vita in
una grande città. Apparentemente non c’erano delinquenti, o senza
tetto. Non aveva mai visto gente così allegra, spensierata,
completamente distaccata da quelli che erano i problemi del resto del
pianeta. Gli sembrava di essere passato in un altro mondo, un posto più
pulito e più bello. Le strade erano pulite, senza buche, i palazzi ben
tenuti. Il tutto contribuiva a creare un’atmosfera particolare che
subito esercitò su di lui il suo fascino. Era già stato in altri
paeselli abbastanza vecchi da poter essere considerati antichi, e
sempre nell’aria c’era quel particolare odore che negli anni aveva
classificato come odore di vissuto. Lo si sentiva di meno nelle strade
principali e nelle piazze, ma non c’era vicolo che non portasse
quell’invisibile segno della sua età. Era un odore indefinibile, for
se
piu una sensazione che altro. Invece quel paese faceva eccezione: era
indubbiamente antico, ma sapeva di vecchio quanto un grattacielo appena
costruito. Questa sua particolarità in vero non ne sminuiva il fascino,
al contrario, e John non ne era minimamente turbato.

Il primo
fatto spiacevole di quel soggiorno accadde la sera del terzo giorno.
Cenò in casa della signora Redman, e dopo aver scoperto che la radio
locale di cui gli aveva parlato al suo arrivo non trasmetteva che
vecchie canzoni fra una poesia e l’altra, decise di mettersi al lavoro
e, sistemato il suo computer portatile sulla scrivania della camera da
letto, vi si sedette davanti in silenzio, aspettando. All’improvviso la
miccia si accese e cominciò a scrivere. Scrisse per tre ore filate,
senza fermarsi, e quando rilesse le venti pagine che aveva realizzato,
a stento trattenne la gioia: erano sicuramente le migliori che
avesse mai scritto. Decise di scendere e di chiedere alla signora
Redman da dove potesse mandare un fax al suo agente.

“Un
fax?” chiese la signora Redman, guardandolo con uno sguardo a metà fra
l’incuriosito e il divertito. “E cosa sarebbe mai un fax?”

“Andiamo! Non vorrà farmi credere che in paese non avete neanche un fax!”

“Probabilmente l’abbiamo, ma io non so cosa sia”

“E’ un apparecchio che usa la rete telefonica per far arrivare messaggi a distanza”

“Un telefono!”

“No! Un telefono trasmette parole, un fax trasmette pagine scritte”. John trattenne a stento un sorriso.

“Capisco.” Per un attimo lo stette a guardare, sospettosa, poi continuò: “Non mi prende in giro, vero?”

“Niente affatto, mi creda”

“Ma il paese è piccolo, e qualunque messaggio debba mandare, potrà sempre consegnarlo di persona.”

“No,
lei non mi ha capito: vede, ho cominciato un nuovo libro, e devo
mandarne le prime pagine al mio agente. Inoltre vorrei parlargli e
fargli sapere dove mi trovo, per ogni evenien­za.”

“Ora capisco!” Fece la signora Redman, divertita. “C’è stato un malinteso!”

“Esattamente”, rispose John sollevato.

“Credevo
di averglielo detto, ma evidentemente me ne sono dimenticata. Sa, qui
non abbiamo linee telefoniche che escano dal paese. C’è solo una
piccola rete gestita da una società locale. Bene, mi dispiace di non
averglielo detto prima,
ma
sono felice di essermene ricordata. Ora si è fatto tardi, sono quasi le
undici e mi devo preparare per la notte. Dorma bene!” E cosi dicendo se
ne andò, lasciando John solo a meravigliarsi per l’isolamento del
villaggio in cui era capitato, forse un po’ eccessivo. Comunque decise
che l’indornani sarebbe uscito dal paese in cerca almeno di un
telefono.

Non fece mente di simile. Quella mattina si
svegliò alle sette, scese, fece colazione ed informò la signora Redman
che quel giorno non avrebbe pranzato lì, poiché si sarebbe recato in un
paese vicino per telefonare. La signora Redman
stette un attimo sopra pensiero, quindi lo pregò perché rimandasse al giorno dopo il suo viaggio,
e la aiutasse in casa a risolvere un problema alle tubatu­re, dal
momento che l’idraulico del paese si era ammalato, e non sarebbe potuto
venire. John dapprima cercò di convincere la
padrona
di casa a chiedere aiuto a qualcun altro, spiegandole che doveva
assolutamente chiamare il suo agente perché era più di una settimana
che non si faceva vivo, e che voleva almeno leggergli alcune pagine
della nuova storia. Ma tanto la vecchiet­ta insisté che John non se la
sentì di dirle di no, e per il momen­to mise da parte il suo viaggio.
In fondo, non c’era fretta. Ci volle tutta la giornata per individuare
la causa del guasto e ripararla; poi, come se non bastasse, quella sera
la signora Redman invitò a cena alcuni amici del vicinato, e gli fu
chiesto di unirsi alla compagnia. John accettò, deciso a trattenersi il
minimo indispensabile per non offendere nessuno, ma alla fine il tempo
trascorse senza che neanche se ne accorgesse, e quando rientrò in
camera erano già le tre del mattino. La mattina successiva
dormì fino quasi a mezzogiorno, ed essendo troppo tardi per mettersi in
viaggio (aveva notato, la settimana precedente, mentre cercava una
strada per entrare in paese, che non c’erano centri abitati nelle
immediate vicinanze), rimandò di ancora un giorno la ricerca di un
telefono.

Passò
il resto della giornata lavorando alla nuova storia, e la sera cenò
presto e si coricò subito, per essere sicuro di svegliarsi in tempo la
mattina seguente: era deciso a telefonare al suo agente l’indomani,
senza rimandare oltre.

Si
svegliò alle sei e trenta e scese per fare colazione. La trovò pronta e
ancora calda sul tavolo, ma non c’era traccia né di Ma­ria né della
padrona di casa. Mangiò ed uscì. Quella notte aveva nevicato, ma non
troppo, cosi dovette mettere le catene alle ruote prima di partire. In
strada c’era poca gente, il che sembrò a John del tutto comprensibile,
vista l’ora ed il freddo. Non aveva piu’ usato la macchina da quando era
giunto in paese, e fu con un sorpiro di sollievo che constatò che era
tutto a posto e che il motore partiva regolarmente. Svoltò nella
strada principale a sinistra, e percorse all’indietro la
strada che aveva fatto al suo arrivo. Fortunatamente la neve non era
troppo alta e poté proseguire, allonandosi dal paese. Mano a mano che
andava avanti, però, lo strato di neve aumentava, e dopo poco fu
costretto a fermarsi. Scese dalla macchina e proseguì per
un tratto a piedi, per controllare se per caso la neve avrebbe
cominciato a diminuire, ma invece aumentava sempre più, e dopo una
decina di metri si ritrovò immerso fino alla vita. A malincuore dovette
tornare in paese. Rientrato in casa trovò la signora Redman che faceva
colazione in cucina; quando lo vide si alzò e gli chiese se volesse
mangiare qualcosa.

“No, grazie, signora Redman, ho già fatto colazione”

“Oh,
bene. Non le dispiace se io continuo, vero?” e così dicendo riprese a
mangiare. John stava per uscire dalla stanza quando gli disse:

“Ha visto che bello?”

“Non
capisco di cosa parli” rispose John disorientato da quell’inaspettata
quanto indecifrabile domanda. Nel corso della settimana che aveva
passato in casa sua, John si era più volte meravigliato della capacità
che aveva quella donna di cambiare così repentinamente discorso,
rivolgendo all’interlocutore do­mande alle quali puntualmente non si
era in grado di rispondere senza prima aver chiesto chlarimenti.

“La neve, dico” e lo guardò fisso negli occhi. “Qui l’inverno arriva presto, e la neve già si vede in questo periodo.”

“Si,
ho visto la neve. Questa mattina sono salito in macchina per cercare un
telefono, ma non sono riuscito ad uscire dal paese, perché la strada
era impraticabile.”

“Oh,
si! Ma è normale! Non mi dirà che non l’avevo avvertita! Qui è sempre
cosi, d’inverno. Quando cominciano le nevicate è impossibile lasciare
il paese fino alla primavera. Eh, sì.”

“Ma non è possibile! Tra tre settimane devo tornare in città, e non posso trattenermi qui più a lungo.”

“Gliel’ho
detto, non si può lasciare il paese” disse lei in tutta tranquillità,
come se lo stesse informando degli ultimi pet­tegolezzi.

“Ma
deve pur esserci qualche contatto con l’esterno, e dovrete pur
acquistare qualcosa da qualche paese vicino: non posso credere che
viviate in completo isolamento.”

“Siamo
del tutto autosufficienti sotto ogni panto di vista: coltiviamo o
alleviamo tutto quello che ci serve, abbiamo una buona scorta di
carburante, e per combustibile usiamo il legno delle foreste sui monti. Non si preoccupi, non le mancherà niente, qui da noi.”

“I giornali! Ma certo! Sicuramente qualcuno vi porterà i quotidiani!”

“No!
Niente affatto! Abbiamo un piccolo glornale locale, e ci basta.
Suvvia, non si preoccupi. Gliel’ho detto, non le mancherà niente. Starà
bene, qui da noi.”

“Signora
Redman, cerchi di capirmi. Prima di partire ho detto al mio agente che
sarei stato via per un mese: non posso mancare più a lungo senza far
sapere niente a nessuno: penseranno che mi sia successo qualcosa e
denunceranno la mia scomparsa. Sono sicuro che deve esserci un modo per uscire dal paese.”

“Oh!
Accidenti, signor Easton! Guardi qui! Si è freddata la colazione. La
temperatura è calata, non trova anche lei? Le dispiacerebbe accendere
il fuoco in salotto, mentre lavo i piatti?”

andrea

Autore: andrea

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3 Commenti

  1. Buono, davvero. C’è qualche errore di battitura e forse qualche periodo andrebbe stringato, ma l’insieme regge bene l’aspettativa. Aspetto il seguito. N.

  2. E’ piaciuto anche a me, sbrigati a rivedere la terza parte… su! HAI FINITO?…E ADESSO?

  3. Carino, mi piace l’atmosfera, sembra che un elastico invisibile tenga attaccato il tuo protagonista a quel paese. Tiene attaccato anche il lettore. Voglio leggere il seguito

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