Il salotto della Battistina
Pubblicato da caterina il 20 aprile 2009
pubblico il racconto con cui ho partecipato ad un concorso letterario indetto dal Comune del mio paese.
Le premiazoni si sono svolte ieri e per la cronaca, non ho vinto.
Giorni addietro, tra l’altro, mi sono accorta che gli organizzatori hanno cambiato le regole a concorso ultimato, annettendo anche i lavori a tema libero, mentre io mi sono attenuta al tema da loro poposto “storie del mio paese”.
e non mi e’ sembrata una bellissima cosa.
sono fiera di aver partecipato comunque.
Com’è cambiato il mio paese.
Di colpo stamattina, la cartolina mi appare chiara in tutta la sua metamorfosi.
Risalgo Via Dante, la via dei negozi, delle caffetterie e della banca, della Rina De Megni e delle Scuole Elementari.
Sulla strada che nel Monopoli sarebbe Parco della Vittoria cedo il passo ad una mamma con il velo in testa e al suo bambino.
Uscivano da un kebab, dove invece una volta c’era il fotografo e alla mia Prima Comunione mi ero sentita orgogliosa della mia foto esposta.
Quanti matrimoni di amici, congelati li’.
Un’idea di marketing alla buona che ha funzionato per anni, quella del Rizzotto fotografo che faceva le fototessere per la carta d’identità e poi per la patente e ogni click sottolineava le tappe importanti della vita.
Ti accorgi che spesso non sono i gesti eclatanti a dirti a che punto sei.
E’ il Rizzotto della situazione a definirti!
In Via Dante trent’anni fa c’era anche il negozio della Battistina, signora cordiale, commerciante nell’anima.
Mi è spiaciuto quando ha deciso di cedere la merceria.
Scatole di bottoni dietro il bancone, pigiami, grembiuli per la scuola, gli ultimi reggicalze che cedevano il passo agli innovativi collants, le sottovesti di raso, le calze di lana a quadrettoni.
Trovavi l’introvabile “te vedarè che prima o dopo lo vendo, ti scolteme mi che go reson”.
E ce l’aveva sì la ragione quella sera gelida del dodici Dicembre .
Questa storia appartiene agli anni 70, quando tutto era semplice.
Non so parlarvi di osterie, carretti della vendemmia e grappoli d’uva appesi.
La cittadina che mi porto nel cuore ha il sapore delle domeniche a piedi e le gare sui pattini, le pastine del Nani e le feste di compleanno aperte ai bambini del quartiere, uno sciame vociante di ginocchia sbucciate e bocche sdentate.
Noi eravamo i “foresti” in un paesino di tremila anime le cui case si spingevano giusto appena “dietro piazza”.
La mia era stata definita la casetta in Canadà e quando in Canada ci andai davvero, mi resi conto che quel signore che l’aveva appellata cosi’, non si era discostato di molto dalla realtà.
Una villetta bianca, moderna ancor oggi, con una magnolia “in fieri” piantata sotto la finestra della mia cameretta.
Tre metri dopo c’era la casa di Antonio che quarant’anni più tardi avrebbe fatto il sindaco e quella della mia amica del cuore.
Il resto campagna.
Intorno a Dicembre il passaparola tra i miei compagni di scuola si fece frenetico.
“A te cosa porta Santa Lucia quest’anno?”
“Da dove vengo io passa la Befana…” mi azzardai a dire.
“La Befana! Puah che ridere! E chi è questa Befana?
Qui arriva Santa Lucia e le devi lasciare un piattino di arance sulla porta e la paglia per l’asinello e lei in cambio ti porta i giocattoli che le chiedi.”
Porco cane che sfortuna!
Siamo appena venuti ad abitare qui, sono sicura che questa Santa Lucia non lo sa! Nessuno le avrà detto che adesso abito qui, in Borgo Trieste 38.
Le potrei scrivere di quel bellissimo salottino nel negozio di quella signora che sorride sempre.
Gli passo davanti andando a scuola e darei tutte le mie bambole in cambio di questa meraviglia, compresa la Paolotta che e’ la mia preferita anche se l’anno scorso le ho staccato un braccio e la mamma dice che rompo tutto, che sono una gran disordinata e non mi merito tutte le belle cose che ho.
Se lo viene a sapere questa Lucia…
Quest’anno butta male.
Il salotto è composto da un mobile con quattro ante a vetri (col senno di poi…pura plastica), la credenza con lo specchio e i cassetti aperti per mostrare le posate d’argento! (di plastica anche quelle).
La tavola è apparecchiata con una tovaglia di pizzo (plastica traforata), i bicchieri di cristallo, piatti, posate, tantissime per ogni persona (ma perché così tante?), i candelabri e il cestino del pane vicino alla zuppiera di porcellana (rigorosamente in polimero), dentro ci sarà la minestra di sicuro, con questo freddo.
Ma per questo c’è il camino con il portalegna, gli alari e un parascintille in finto ferro battuto per non far uscire i lapilli.
Ogni giorno aggiungevo particolari al salotto arancione con le rifiniture in oro.
Il design era quello dei mobili in stile di Cerea, sontuoso, leggermente barocco.
Per me il gioco perfetto.
Persiste però il grosso scoglio del cambio di indirizzo.
Provo ad accennare alla mamma ma e’ strana in questi giorni, tutta rossa e continua a tossire.
Mi sa che le sta venendo una bella influenza.
Tanto che quel pomeriggio del dodici Dicembre mi spedì a fare la spesa.
Partii imbacuccata in una mantellina fucsia che mi aveva fatto lei.
Avevo solo un po’ di paura ad oltrepassare il muro di sassi, pieno di buchi. Temevo sempre che uscisse un serpente, di quelli che avevo visto sul sussidiario e io invece avevo promesso di starci ben attaccata, al muretto, per non farmi tirar sotto dalle macchine.
Queste promesse che dopo bisogna mantenerle!
Perché anche se la mamma non mi vede, qualcuno un giorno glielo racconterà di sicuro e allora volerà una sberla di quelle che tagliano l’aria, con tanto di lunghe unghie laccate di rosso…Meglio evitare, se posso.
Ma oltre una strettoia si apre il centro del paese con le luci di Natale, il monumento, tre gradini di marmo bianco e sulla destra una grossa pietra cilindrica che fa angolo.
La sfioro ed entro da Esterino.
“Buona sera, vorrei questo e quello e poi per favore può prendere lei i soldi dal portafoglio, che io non li conosco?”
Meravigliosi commercianti del mio paesino: non e’ mai mancata una lira!
Intanto che Esterino dagli occhi sorridenti, pelato e gentilissimo mi affetta il prosciutto, su di un tavolino scorgo alcuni vassoietti colmi di dolcini.
Gnam Gnam!
Le banane della Perugina in carta dorata, i “puoti” con l’uvetta al posto degli occhi, le pesche, merendine rosse di pandispagna, passate nello zucchero, cioccolatini, caramelle…insomma una festa!
“Cosa sono, signore?”
“I dolci de Santa Lussia. Vedrai che stanotte li porta anche a te”.
E no che non me li porta!
Primo perché non sa dove abito e secondo perché non le ho nemmeno scritto.
Fatica sprecata, dati i fatti.
Sono sicura che la Befana mi cercherà come una matta il 6 gennaio ma non mi troverà neanche lei.
Ero diventata trasparente all’anagrafe dei bambini buoni!
Rientro e la mamma e’ a letto, sta davvero malissimo e mi dice di non fare rumore e di andare a letto dopo Carosello.
Il Pippo, mio fratello, russa nel suo lettino, nella stanza adibita a studio del papa’.
Ha il naso chiuso anche lui. Qui tutti ammalati e Santa Lucia intanto sta andando nelle case dei miei amici saltandomi a piè pari.
Anche se ero preparata, questa è una tragedia.
Il mattino dopo mi sveglia il pianto di mio fratello, quel rompiballe, cosi’ piccolo e sempre tutti intorno a lui. Siccome la mamma ha la febbre, corro io dal rompiballe e nell’angolo vicino alla finestra, tra la libreria e la scrivania…c’è il salottino!
Non credo ai miei occhi!
Il cuore mi va di traverso, mio fratello urla, la mamma arriva e mi sorride come solo le mamme sanno fare “hai visto bella che e’ arrivata Santa Lucia? “
Ho sei anni e nella mia vita non sono mai stata più felice.
Mi racconto’ molti anni dopo la Signora Battistina “quella sera verso le dieci e mezzo, una nebbia che si tagliava col coltello, suonano alla porta.
Guardo fuori un po’ titubante.
Un signore distinto mi chiede scusa per l’ora ma proprio non ce l’ha fatta a venire prima. Alla Ferroli stavano provando un altoforno.”
“Mia moglie è fuori causa e domani la bambina va scuola…ho sentito per caso in ufficio che c’è questa tradizione ma noi purtroppo, non essendo di qui…
Mi pare che l’altro giorno parlasse a sua mamma di un salotto per le bambole ma non so, forse ho capito male.”
“In tanti anni è stato il gioco più bello” continua la Battistina.
” Lo avevo già riposto nel suo scatolone per l’anno dopo. Te vedarè che presto o tardi lo vendo!
Poi e’ arrivato il foresto…”
Il mio paese. Via Dante, la via principale dove ho scattato la prima polaroid e i sogni di quella foto in bianco e nero abitano li’, al civico 97.
20 aprile 2009 alle 2:06 pm
Quasi gozzaniano questo raccontino, delicato e nostalgico.
20 aprile 2009 alle 2:53 pm
oh, grazie!
lo prendo come un complimento.
21 aprile 2009 alle 6:53 am
Ciao Cate!
Vale il commento che ti ho fatto tempo fa… aggiungerei solo che il tuo stile è sempre inconfondibile, molto piacevole alla lettura.
21 aprile 2009 alle 9:51 am
Ciao Caterina,
ah che bello finalmente avere un po’ di tempo per leggerti
Bello questo tuo, molto ben reso il pensiero semplice e cristallino di un bambino. L’unica cosa che ho trovato un po’ poco chiara all’inizio e’ che “te vedarè che prima o dopo lo vendo, ti scolteme mi che go reson” si riferice al salottino giocattolo. In genere e’ anche bello scoprire le cose man mano, ma qui ho avuto l’impressione di qualcosa di mancante piuttosto che di qualcosa di nascosto.
Molto bello comunque
Grazie!
21 aprile 2009 alle 1:34 pm
Grazie, Ema!
questa tua considerazione sullo tile inconfondibile mi inorgoglisce e nn so se me la merito.
l’originalita’ e’ sempre una gran cosa da raggiungere
quindi grazie ancora.
a suo tempo discutemmo su qesto racconto e mi aiuto’ molto la tua visione critica delle cose.
Andrea, il piacere e’ mio che tu sia passato a leggere!
hai ragione su quanto dici pe via di qualosa che manca.
purtroppo il dover stare entro un ceto numero di battute mi crea dei paletti che percepisco a volte molto fortemente e mi rendo conto che mi vincolano non poco.
trarro’ profitto dal tuo suggerimento
e grazie sempre
21 aprile 2009 alle 9:27 pm
Me la vedo, Caterina, con l’occhio sognante davanti alla vetrina della Battistina, preoccupata della confusione tra Befana e Santa Lucia e infine sorpresa del regalo ricevuto.
Davvero bello il mondo che hai descritto: un amarcord raccontato con dolcezza e freschezza!
22 aprile 2009 alle 7:59 am
gazie per aver letto, Giangia!
25 aprile 2009 alle 10:57 am
bello, nostalgico eppure scritto in quel modo che ti lascia comunque un sorriso sulle labbra.
PS: sono d’accordo con te…accettare all’ultimo minuto racconti a tema libero non è stata una cosa corretta!
Ciao alla prossima
23 maggio 2009 alle 7:48 pm
ciao Cate
secondo me potresto osare..a scrivere un romanzo
alcune parti sono troppo vere ( questo potrebbe essere un pregio perchè le cose vere sono scritte senza tentennamenti e arrivano al cuore ) ma se posso, lo dico senza mettermi sulla cattedra, boisogna che la storia sia più avvincente. uno scrittore di parma ( vende trentamila copie a libro e vive di questo..) mi ha detto u n piccolo segreto: ogni pagina deve avere una svolta…
ma queste cose le mettereai in pratica nella tua opera magna!!!
comunque mi è piaciuto vivere un momento che non è più! brava!