FIABA FUNEBRELLA
Pubblicato da Domenico De Ferraro il 22 ottobre 2016
FIABA FUNEBRELLA
Io ho vissuto nel rimorso , del mio tempo passato , fuggiasco per diaspore immaginarie ove il pensiero esule si finge di luce propria , negli anni trascorsi verso un domani che a noi ci conduce nel senso di una ricerca che ci condurrà ad essere migliori di oggi . Già si vede l’ alba colorare il mondo ,quel piccolo mondo di luce propria ,si e davanti ad un muro invalicabile ad una fila interminabile di domande senza risposte, legate l’une all’altre, ermetiche , prigioniere d’un mistero millenario dalla pelle di drago ,domani, oggi, tutto ridicolo in fondo alla coscienza che s’evolve, eletta a grandi imprese , casta ragione che trascende il nostro dire.
Cosi siamo in fondo al gioco intrapreso ,la palla rimbalza ,noi felici la rincorriamo con le nostre paure i nostri amici o nemici , con tutto il nostro amore iconoclasta che ci incute paura , nel travaglio d’una ragione bisbetica, ballerina, figlia della forza d’un popolo, figlia d’un calzolaio , che lavora giorno e notte per questo amore infermo. In molti attendono fuori la sua bottega a migliaia giungono
da lontani paesi con la voglia d’imparare il suo mestiere , poi quando giunge la notte , quel povero ciabattino rimette a posto i suoi arnesi , s’avvicina alla sua figliola ,l’accarezza, gli dice ad un orecchio : ogni uomo e padrone del suo destino.
Ogni uomo fugge dalle sue debolezze ,disperazioni , dal suo martirio che l’accompagnano per dimensioni sconosciuti , nella diaspora che
ci riporta nel tempo in cui noi incontrammo cristo appeso ad una croce e ci ponemmo tante domande , ed un universo era dietro quella croce, angeli e demoni, un futuro oscuro minacciava l’uomo e le sue conquiste, errando per mondi sovrumani et lettere apocalittiche , chino sul corpo d’un veggente ,elevandosi incolume , feroce specie che non conosce perdono.
Quanti amici lasciati per pochi spiccioli , eremiti per immondi luoghi, ora chi ci ripaga dal dubbio che si e insinuato dentro, che ha aperto le porte dell’inferno al povero viandante , orme su orme ,il viaggio prosegue ed il povero ciabattino continua a fare scarpe a risuolarle. Gli orchi si preparano alla battaglia ,già s’odono le loro grida scendere dai monti con asce e martelli ,ubriachi del sangue bevuto degli innocenti ,si sono inebriati ,ora attendono tra le mite radure, tra i boschi che si dischiudono al vento che porta via con se quella morte che non ha corpo , non ha spirito.
Giù in paese il ciabattino ha risuolato scarpe su scarpe , l’aggiusta , ogni giorno , all’ombra d’un crocifisso , in silenzio risuola le membra di quei corpi inermi , l’aggiusta, le pulisce ,le lucida cosi bene che risplendono , scarpe che ti porteranno lontano dal male
che lesto mangia la sua anima che ignuda , dorme insieme al vecchio con i suoi anni , le sue pene. Ed una voce incantata chiama gli dei , nell’eco dello spazio profondo, il povero ciabattino l’ode nel travaglio del suo sogno.
Madre o figlia, amica ,compagna di mille avventure ,perché mi hai abbandonato ,me lassato sulo ,sotto a stà croce senza lacrime con chisto dolore che me stregne in petto.
Cosa ho fatto di male per meritarmi tanta crudeltà, non tengo chiù forze, vorrei, lasciarmi andare, come un ramo lungo le correnti d’un fiume , scendere, a valle ,galleggiare, guardare le nuvole ,pensare che ci sarà qualcosa di buono per me andando avanti.
Tu me lassato in braccia a una janara , me guardasti con le lacrime agli occhi mi diceste : perdonami non sò capace d’accudirti, e chi se scorde chelle parole, chi sò scordo tutto ò male che ho passato , dentro a chillo orfanotrofio , monache cattive che me rignevano di pizzichi, me facevano lava per terra , addirittura con la lengua.
Chi sò scordo tutto ò male che me venuto cuollo.
Pregavo e subivo ogni maledizione , ogni brutture e ti pare bello che una povera creature , abbia a supportà tutte chelle angherie.
Che avevo fatto di male , a chi avevo accise ? quale era a colpa meia, di sapere ,di aver una madre morta , di avere un padre che pensava solo a se stesso.
Sei stato tanto egoista e crudele che mi hai chiuso dentro a un collegio e per anni mi sei venuto a trovare sempre con quello sorriso pittato, sopra a vocca , con quella faccia di chi ha passate chi sa quanti guai , che non tene la forza per reagire al despota destino.
Io mi ricordo ogni cosa , tutti i venerdì che sei venuto con quelle arance rosse, nascoste dentro alla sacca della giacchetta.
Ma io ti volevo bene , non lo sò perché , volevo vederti, perché eri mio padre, sangue del mio sangue , poi quella faccia mi metteva forza , mi faceva sperà.
Sò cresciuto io nun t’aggio detto mai niente di chelle che passavo dentro a quelle mure. Non ti ho detto delle violenze che mi hanno fatto le monache, insieme al priore.
Mi dicevano tu sei innocente e la tua innocenza ci renderà puri ,laverà le nostre colpe. Lacrime, quante lacrime dentro chillo lietto, con la paura che un momento all’altro venissero tutti quanti e abusassero di me.
Tu non mi credi , tu non te ne accorgevi , come potevi , tu pensavi a faticà, a fare le scarpe , tacchi , sole, scarpe per milioni di persone, tu eri sulo con la tua sfortuna, ed io ti ho ammirato , che non ti sei più sposato , ma forse avresti fatto meglio a trovarti
un altra femmina, forse una nuova vita, ti avrebbe cambiato , forse saresti stato felice.
Perché mi dici adesso tutte queste brutte cose , sono stato un padre snaturale, io che mi sono sempre astipati i soldi per vederti frequentare ò meglio collegio , io ti volevo darti una educazione . Che di persona, forse non sarei , mai stato capace di darti. Ho fatto male , mi sono fatto male i conti. Sono una schifezza di padre , non serve a niente, ma Dio e lui che mi devi giudicare e lui che conosce il mio cuore, il mio spirito.
Ho fatto tutto quello che ho fatto , perché ti volevo troppo bene , non volevo che ti sentissi sola, legato a me, a questa mia eterna maledetta disgrazia, non volevo , ma no ho capito , non ho mai voluto capire gli altri , ho sempre avuto paura d’affrontare la vita a muso duro. Ho sbagliato ti ho condannata ad una vita infame , carogne, possa iddio gettarli nell’inferno , possa non aver mai pietà di loro ,
di cosa ti hanno fatto.
Sono addolorato , vorrei tornare indietro , far si che tutto ciò non fosse mai accaduto.
Vorrei fermare questo mondo , far scendere tutti i cattivi, farli camminare a piedi nudi su un tappeto di carboni ardenti.
Cosa m’aspetta , come posso riparare ai torti subiti?
Te lo ripeto, tu non hai colpa,
Allora non mi guardare con quei occhi pieni di sangue. Mi perdoni?
Perché dovrei perdonarti ,perché tu hai perdonate te stesso?
Ho paura ,non voglio morire solo come un cane. Voglio sperare che almeno tu mia figlia , venga un giorno a portarmi dei fiori sulla mia tomba.
Ora ho solo voglio riposare , affianco alla tomba di tua madre, guardare il cielo e volare con lei , insieme agli angeli , verso un mondo meno crudele.
Ed ora che sono ad un passo dalla morte , riposo in pace, affianco mia moglie , ora riposo nella nuda terra e non ho più paura di nulla, neppure di chi ci ha creati. Vedo , il mondo, lo continuo a vedere da questo luogo, vedo le stagioni, vedo ed odo il canto degli uomini , non ho più paura, ogni giorno , passeggio insieme a mia moglie per i campi elisi , ridiamo , ricordiamo di chi eravamo, ed e bello vedere tanti angeli volare nel cielo azzurro, rincorrere le anime che provano a ritornare in vita su quella terra che li aveva castigati , umiliati. Molti ,vogliono ritornare ai loro affetti, forse per riparare torti, forse per rinascere, c’è chi canta dolci canzoni , c’è chi prega tanto, ed bello andare mano nella mano , poter dire d’essere morto ,d’esser finalmente libero.
La mia tomba è piccola, modesta all’ombra d’un cipresso , attendo che mia figlia venga a trovarmi , l’attendo a volte impaziente, poi rido , rido , penso che forse lei è felice con i suoi figli, con suo marito. Ed io prego e canto , cerco tra le ombre dell’averno antichi miti , ,persone che ho conosciuto quando ero in vita. Cammino nella valle dei morti , ignudo, fiutando l’odore dei demoni che si giocano a dadi le anime dannate. Fuggo dai demoni antichi i più crudeli che non hanno pietà per nessuno, neppure dei loro simili. Fuggo per luoghi inenarrabili, piango in cima ad un monte , cercando la mia amata.
Questa mia condanna , questo mio lento morire, sento l’ore che passano , mentre cucio una suola, mentre inchiodo un tacco, odorano di buono le scarpe, che contengono sogni , meraviglie , viaggi fantastici. Alcune scarpe ti possono condurre fino alla felicita , fino alla fine di questo racconto, oltre forse ogni aspettativa , noi andremo senza chiederci perché, noi andremo con passo lento nella polvere d’un tempo che ha imprigionato le nostre vite, li ha resi, tale e quale alla sua sostanza. Ora io , ho solo voglia di chiudere gli occhi , con la mente continuare a viaggiare , lontano dall’odio, dal rancore, lontano , oltre questo sogno , tra le braccia di mia moglie. Dimenticare non posso, ma perdonare forse posso, nello spirito della resurrezione , nella pace dei secoli, nell’amore che provo per mia figlia. Riposo in un sogno millenario, nelle urla del popolo , nelle cantilene che echeggiano sotto le volte delle chiese, vivo imperituro , immutabile nel tempo, con la mia tristezza, sotto un cielo bastardo , nell’odore delle mie scarpe.