NUOVI VERSI ESTIVI
Pubblicato da Domenico De Ferraro il 24 luglio 2021
NUOVI VERSI ESTIVI
POEMETTO MUSICALE
Languidi i venti cantano per la fresca selva notturna , fin dove spira il vento della sera con i suoi funesti presagi . Fiamminghe immagini ragionano intorno al cuore della mesta fanciulla, seduta sul secchio colmo di versi frizzanti come il vino. Fatui fuochi illuminano la sera irriverente , irraggiano il vivere oscuro nelle frasi d’amore. E la morte accompagna il sogno verso il fondo della strada ,nella sera delle anime perse. Sere di luglio dalla lingua rosa come la sera ignuda davanti allo specchio , riflessa nell’occhio di un Dio senza tempo che riposa dentro di me.
Sere d’estate mesta con il suo fascio di grano maturo in seno , pendulo, dondolante tra le mani , delle donne di ritorno dai campi infiniti e gialli. Grani luccicanti come fili d’oro intrecciati tra la corona d’alloro, circondante il capo del poeta che canta le sue pene ed il suo perduto senno. Sere d’estate ,inseguite in fretta sul finire dei miei versi di fuoco . Nati in alambicchi e lambicchi sotto gli occhi inclini che s’insinuano nelle fessure monelle, ove logiche agonie di milioni di persone , soggiacciono al desiderio sensuale . Sesso che avvolge ed incanta , dona il suo piacere alla prole proletaria ,viva nelle parole elleniche , chete figliole di mezza età , fertili, con la loro vorace fessura . Cantano e raccontano stagioni passate . Mesta estate ,affiori tra i miei versi profumati di limoni e fiori d’arancio. Odo richiami di rime dionisiache, danzare come donzelle nel mio intelletto. Versi dormenti , nella vasta luce plenilunare, dormenti su l’onda che mormora dolce a riva a notte tra i membri nerboruti in nembi d’effluvi . Trascina , inconsci strani amori. Senili passioni etrusche ,eclissi e scioglilingua di dialetti urbani.
In ogni verso , vivo, nel segreto dell’essere funesto , nella forma, fluisco con l’andare oltre il fosso , dove vengono sepolte ogni passione ed ogni mio segreto . Vivo nella forma del fluire per rime meretrice che scavalcano il fosso e s’addossano al corpo della vita matura, al corpo tozzo dell’ignoranza , della bellezza che sboccia in estate , quando le onde cantano le odi al signore del cielo e della terra . Passo e ripasso , sogno e son desto nel mio canto notturno ,nel mio dire per rime mature che fanno ombra alle ossa, sepolte dentro il fosso . Sono ad un passo dal mutare il mio dire nell’andare controcorrente, incontro a questa storia di tenebre, breve come la vita , come il canto che vado componendo , attraverso la sorte che nasce in ogni coscienza ed ogni dire
Cantano i venti:
O voi che vivete nella città dei morti
Voi che adorate il legno dei fucili , fate largo
Fate largo ai feriti
Fate largo
Fate largo al sogno chiuso in questo fragile corpo
Lasciato a pensare dietro il muro di questa civiltà
Lasciato da solo a comprare mele e pere
Siete sicuro di aver chiuso, la porta di casa
Sono scappato , quando ho udito gli spari
Ed il coro della parrocchia cosi cantava
Siamo in ginocchio
Figli e figliastri
Papocchi e capocchie
Siamo ranocchie
Siamo pidocchi
Chi canta con noi
Viviamo lungo ,tronchi ove la linfa, scorre nelle vene come il sangue infetto
Noi , verdi atleti, abbiamo proteso le braccia all’azzurro
Ora affondiamo giù nella terra umida , immersi il piede,
Ascoltate il messaggio del re di maggio
Ascoltate pascale ò scagliuso
Vincenzo se sentito la messa
Non tengo denari
Me fa male a capa
Chi ti sente , senza vergogna
Lontano una vergine sogna su di un monte davanti alla luna,
Sogna divini amori.
Cantano le genti del mio paese
Ecco, le deste foglie sdegnose in un pispiglio , s’odono le fievole pecchie
Chi racconta questi peccati
Chi vede queste recchie dietro gli specchi
Chi agogna nel sogno
Chi sguazza nella pozza d’acqua
Chi vocifera il suo malore , chi il suo amore
Chi nel bosco si nasconde
Chi segue la corsa dei conigli
Chi ascolta il canto della cicala cieca
Chi il canto del ranocchio
Chi si avventura per fitti boschi al chiaro di luna
Mentre la città dorme nel suo peccato
Piegato come un foglio di carta igienica
Chi va per il chiarore , turbando il silenzio sacro?
Chi conosce la mia sorte ?
Chi vorrebbe pareggiare i conti
Cantano gli ultimi la loro pena
Cantano le donne ai limiti della decenza il loro essere sincero
Fatto di pochi indumenti
Molti mestrui
Pochi slanci lirici
Pochi baci
Pochi piedi la inseguono , nella tarda sera di luglio
Nessuno ride all’alba sul paonazzo mare;
Neppure il sole , svanisce sovra le acque , frementi all’inno della luce.
Ne la tonda luna splende in cielo con la sua aurora nella sua tenue luce Pulsante dentro gli anni trascorsi , sfiorando il vivere negletto del ghetto.
Dentro il letto il vecchio si riposò , dentro le fresche lenzuola
Profumate di fresco di rose e di camelie.
Si abbandonò , dentro il mio letto , per poi spegnersi nella sera
Ed espressi il mio desiderio di vivere , di rinascere
Di crescere all’ombra di un albero frondoso, pieno di foglie
Sotto il poggio di rose rosse , mi riposai a luglio
Sotto il colle dei dolori , mi addormentai innocente
Sotto l’aura della luna mi finsi folle
In questo incubo, brutto come l’errore che avevo commesso
Mi persi di nuovo
Nello scrivere e nel cantare
Giunsi ad un passo dall’essere me stesso
Felice come un fanciullo in questo sogno
mi destai in questo canto incantevole
Mi destai in su l’alba per le nozze:
Era così dolce il sonno, nei venticelli, ancora;
Era così dolce il sonno! -
Languiva tra i ‘ rami secchi
Passavano a torme le candide nugole
come portanti nel grembo un amplesso di numi,
voluttuosamente si dileguarono nel mio dialogo
In questo canto magrebino
Quasi nibelungo
Chisto sicchio e cozze verace
Struttumacchio e screanzato
Ripieno di ardori sapienti ed amori , affini al nume tutelare.
Oh bella dalla sagace foga dai ‘ lombi stupendi
Seduta tra le prunaie rosse , laggiù sulla china audace.
Socchiudevi le nari ferine nell’odore della selva,
Sedevi nei miei pensieri audace come Odorico
Brindavi con la vittoria la sua prossima mossa
Nel prossimo tentativo di vivere felice
Schiuse le mille foglie ed i suoni ministri , travasati in recipienti di brocche scarlatte che ritagliavano il chiarore della saggezza.
E la donna si attorcigliava per cigli nell’udire un pianino suonare per strada da un povero ambulante , sotto i raggi della luna a sera . A sera quando desto nel mio perire , mi inchinai alla forma confusa del sapere. Ed ogni cosa m’apparve , regale, ammantato di molte vesti e di molti versi astrusi, figli della mia scelleratezza e della mia distopia che lungi nel mio vedere si destarono nel dolore del mio tempo.
Mi rifocillo nel bar giù al porto con un solo soldo , acquisto il senso dell’amore.
Ed il tempo ritorna , moribondo con il morbo ballerino al mercato del pesce .
Figlio non lasciarmi da solo con la mia anima
Il mostro della scelleratezza mi tenta
Ed io sono alle poste , vestito come un signore inglese
Sono alla fermata dell’autobus, come un ambulante di sogni
E cerco di essere gentile con il mio prossimo
Ma il mio amore è un cortometraggio , un miraggio
Una gigantesca pantegana rosa.
Apparsa tutto ad un tratto al sole, molto simile ad una bella stornellatrice.
Dove conduci musa stregonesca , questo mio pensiero meretricio ?
Dove mi porti per luoghi e larghi , per piazze e lungomari sognanti
Mano nella mano , diletta sposa , fedele mia compagna
Anima mia anelante , figlia della mia nostalgia
Voce cilestre , strumento accordato al suono delle onde del mare
Nel canto delle sirene sparute
Tu svestita m’appari mia musa , sulla soglia dei mie maturi anni
Sulla soglia del mio canto orfico.
Nella buona e nella cattiva sorte io canto l’ossesso.
M’arresto nell’ombra .
Nell’ alito dello scirocco per i bianchi filari d’ulivi,
languido lungo le rive del mare; splendidamente azzurro s’affaccia
il gran mare tra gli ulivi cinerei, argentei…
Fiuta ella odore di sale?
Fiuta il mio odore di uomo
Fiuta il mio nome
Il mio timore di vivere
Per rime ed altri esperimenti
Tutto coincide con l’indice delle cose dette
Con questo vivere , con questo venire ed andare nella gioia di essere padre
Non giunge odore salso;
Ma acre tra le erbe selvagge, effluvî di sentimenti patiti
si susseguono nella loro forma amara
Intrisa di falsità , buffi baffi, pungono il corpo vivo.
Entrano fra le acacie, lungo il clivo, ella ride,
Mentre io l’inseguo come fosse la sposa dell’eterna estate
Figlia lunare , meretrice femmina asiatica , cheta nella sua forma amorfa
Calda nella sua follia , nella sua fisionomica irriverenza
Benemerenza altezza mito
Odo il cuore della città , battere
Odo il tuo cuore battere al canto delle lucciole
Odo il mare parlare d’amore
Vedo le ombre dei miei pensieri , perseguire fra le acacie basse.
Come due serpi in caldo si piegano tra il verde dei prati
Tra i rami troncati un profumo inebriante sprizza,
si spande nello spazio antistante ,vermiglio figlio della voluttà
Non senti giù per i ginocchi, per le reni la languida voluttà fluire?
Questo amore rinnegato
Venduto per pochi euro
Per pochi averi come fosse un cencio stracciato
Un anima africana ubriaca di estasi
Forse principio o fine di una storia limpida
Impura sul selciato del viottolo di campagna
Compagna, amica mia
Perdono per il tuo dolore
Perdona il mio dire
L’infinito fluire dell’essere e del perspicace cilestre strumento che pomposo
risuona con la tromba , nella corda del violino elettrico.
Nella cupa ambizione di possedere il mondo ed il sedere di molte donne
Mio incantevole e Mefistofele intelletto
Forma gaudente figlia della concupiscenza
Azione e danza , questa prosa campestre
Amica hai venduto il mio amore fatto a pezzi
Lo hai portato al mercato
Senza la tunica
Con indosso una croce
Lo hai messo accanto alla donna del mio intelletto.
Ed io a sera rimango tacito;
Annego nell’acqua del fiume Lete
Ove si specchia il fallo di creta, ove si specchiano le verdi canne.
Si specchia il mio disonore , si sente l’odore della carne , mi porto addosso
Sotto il vento, lascio andare il mio canto
Sotto questo colle
Sotto questo albero , dove e stato impiccata la rana
Dove ho sepolto il corpo del Dio degli occhi di ghiaccio
Nei fossi rossi
E sono solo a rincorrere il mito e la forma dell’acqua che scende a valle
Ed ella mi trasporta come fossi una foglia, figlia della sorte che aspetta d’essere chi sa che cosa.
E sono in tanti in piazza vicino al castello, parlano ed ascoltano il canto delle sirene.
Chi esprime il suo sogno
Ed il suo morire per rime e vaghe encicliche scritte in ecloghe ingannevoli
Mi trovo a soccorre me stesso
A soccorre questa estate che ferita siede tra la folla come fosse una dea d’altri tempi
Tutto scorre
E non saccio chi sei
Avite portato la seggia
Mi sono mangiato ò gelato
Mo’ non voglio capi chiù niente
Facite largo allo straniero
Giovà sei arrivato in barca
Sono tre giorni che cammino a piedi
Sia fatta a volontà di nostro signore
Squilla fra le canne una nota d’argento, infantile.
oscilla nell’aria, palpita stanca, e muore…
Poi non odo più nulla e stancamente evado
dalla grigia realtà degli incompresi
Con la mia poesia stacciata di netto
Fatta ad immagine di ciò che credo
Mi hanno strappato il senso da un sogno felice d’amore
In questa notte d’argento seduto tra la verdura muta,
Va il mio sogno per altri lidi per l’azzurro, va lungi portato dal desiderio ,
Va con il sogno a batter l’ala sulla pergola verde ove siede una bianca fanciulla . In quel luogo ove sono fitte le tele, sotto l’industre mano.
Filtrano i raggi d’oro per il fresco fogliame e brillano i raggi tra i neri capelli
Biancastro mento ovale; due tortore tubano un gentil madrigale nell’atto musicale. Mentre ella pensa , dietro i suoi grandi occhi a quale nuovo Dio tendere le sue mani .