SCARPE TECNICHE
Pubblicato da mostarda il 19 dicembre 2007
Fa caldo. Dio se fa caldo!
Forse non dovevo provare il mio record proprio oggi, ma ormai….. meno male che il circuito corre intorno al laghetto, e ogni tanto si infila fra gli alberi, all’ombra.
Che buon odore che hanno questi fiori, chi è che aveva un profumo simile?
….Cecilia…
Accidenti ai fiori!!
Adesso arriva il pezzo al sole, cazzo. DAI!!
Devo ridurre il ritmo. Devo rallentare la falcata se voglio arrivare al terzo giro, e sono solo a metà del primo.
Dopo la curva devo stare attento, ci sono sempre delle pietre sul sentiero, meno male che ho delle scarpe tecniche.
Scarpe tecniche, che menata per le scarpe, per un paio di scarpe. Neanche fossero loro a correre e a sudare, a sentire la milza che pompa.
E invece sei tu che muovi le gambe una dopo l’altra, che insegui, che scappi, che respiri sempre con maggiore fatica.
Che puzza di scarico. Si sente che c’è l’aereoporto qui dietro.
Chissà che fine ha fatto la Rita, lavorava in quell’agenzia viaggi, che tipa!
Così ruvida, così truce e ppure così dolce, quella notte. Che mani lunghe che aveva. Adesso mi hanno detto che lavora a Pisa: E se anche la incontrassi? Dopo tre anni… magari non si ricorda nemmeno.
Meno male che sono ricominciati gli alberi.
Tempo. A che tempo sono? NO!
Non lo guardo prima della fine, manca poco ormai.
Poco.
Le braccia certe volte sembra pesino dei quintali, cerchiamo di rilassarci un po’. Devo correre facendo meno fatica possibile, se tengo i muscoli contratti è peggio.
Ci siamo quasi.
Il primo giro è finito.
Ce la farò? Ce la devo fare ormai non mi rimane più molto tempo. Almeno prima che mi si imbianchino i capelli, essere in gradi di fare venti chilometri di corsa, cominciando dal niente, fra un gin tonic e un negroni.
Super giovane, essere super giovane.
Col cazzo. Senti come pulsa il fegato. Cuore a sinistra, fegato a destra, milza a sinistra, appendicite a destra. L’unico modo per essere sempre sicuri di dove sono le cose.
Accidenti arriva il Sole…
La maglietta è zuppa, la fascia intorno alla testa cola sudore. Gli occhi bruciano.
Andiamo avanti.
Chissà come fanno quelli delle maratone, quelli sono atleti.
Ancora quel profumo, accidenti Cecilia.
Che stanchezza, ma chi me lo fare?
C’ho una voglia di fermarmi…..
Dai, almeno finire il secondo.
Queste cazzo di scarpe tecniche!
Devo essere più leggero sul tallone, più leggero.
Più leggero.
Morbido sulle gambe.
Che gambe che aveva la Simona, sono stato un po’ bastardo con lei, inventarmi tutta quella storia del lavoro a Torino. Che bastardo.
Ma nessuno è perfetto.
Adesso non lo rifarei. Quante cose non rifarei.
Mi fanno male anche le palle, dovevo mettermi il sospensorio. Vaffanculo.
Questa salita è tremenda, sempre peggio.
Sempre. Più. Pesante.
Mi bruciano le scarpe.
Nemmeno so più se sono le scarpe calde o i piedi che sono dentro.
Dai. DAI. Ancora poco e anche il secondo è finito, l’importante è pensare ad altro, respirare con costanza e pensare ad altro.
Pensare.
Tempo.
Va bene, adesso mi fermo. Anche due giri bastano, no?
NO!! CAZZO!!
Se non ne faccio tre sono proprio una merda.
Sono una merda?
DAI!! Inizia l’ultimo pezzo al sole, poi è tutto all’ombra e fila via.
Minchia, non ce la faccio più.
Rallentare.
Se mi fermo non riparto più.
Devo pensare ad altro. I fiori.
Cecilia.
Ma non ce la faccio.
Le ginocchia mi fanno male.
Cecilia.
Non mi ricordo nemmeno più perchè abbiamo litigato.
Abbiamo litigato? Forse.
Perchè mi ricordo solo i suoi baci?
I suoi occhi quando li avvicinava ai miei così vicino da toccarci le ciglia a vicenda: che occhi ho? Mi domandava.
Cheocchiho? Cheocchihai? sembrava uno scioglilingua.
Bho?
Basta, non ce la faccio più!!
Su questa salita di merda mi sta scoppiando il cuore.
Le scarpe mi pesano.
Il sudore mi brucia sulle gambe.
Mi sta corrodendo.
Il fiato mi manca.
Mi fermo.
Non posso. Non posso. Non posso.
Dai arrivo fino a là. Fino a là e poi mi fermo.
Mi fermo.
Ma se arrivo fino alla fine mi butto direttamente in acqua.
Mi butto. In acqua. Fresca.
Con tutti gli altri che prendono il sole e io passo e mi butto, senza rallentare. SPLASH!!
Dove sono?
La vista mi si offusca, anche.
Sono quasi arrivato.
Concentrazione. Adesso ci vuole concentrazione.
Non sono una merda, ce la sto facendo.
SU!
Mi gira la testa, mi gira, mi gira.
Ancora cento metri.
Ancora.
I polmoni non cela fanno più, più.
Cazzo!
Mi butto?
Vaffanculo tutto.
Ce l’ho fatta, nonostante i negroni.
E i gin tonic.
E basta.
Che stanchezza.
Mi si piegano.
Le gambe.
Dai.
poco ancora.
dai
dai
Acqua.
AHAAAH.
Finalmente è finita.
“Presto! Un’altra dose di cardio tonico!”
“Non ce la può fare a superare anche questa crisi.”
“Dobbiamo provare”
“Non so nemmeno io come ha fato a resistere fino ad adesso. Trauma cranico, due gambe spappolate e un pezzo di volante infilato in un polmone, eppure è ancora vivo.”
“Sta andando”
“Ma cosa ha detto prima? Hai sentito?”
“Nono so mi sembrava delirasse”
“Ha detto scarpe tecniche, e che cacchio vuol dire?”
“Non ci pensare, ormai.”
“E’ morto?”
“E’ morto, ma sembrava che non abbia sofferto, anzi sembra contento. Si sarà buttato apposta nell’altra corsia?”
“Non lo so.”
“Va bè, dopo che fai? Andiamo al bar o in mensa?”
“Al bar, che c’è anche quella dell’ortopedico.”
“Ma chi, la Cecilia? quella carina?”
“Sì, sai domani usciamo a cena.”
“Stai attento, che quella lì con quegli occhi ti rovina.”
“Ma va’, dai; quella lì è da una botta e via.”
Forse non dovevo provare il mio record proprio oggi, ma ormai….. meno male che il circuito corre intorno al laghetto, e ogni tanto si infila fra gli alberi, all’ombra.
Che buon odore che hanno questi fiori, chi è che aveva un profumo simile?
….Cecilia…
Accidenti ai fiori!!
Adesso arriva il pezzo al sole, cazzo. DAI!!
Devo ridurre il ritmo. Devo rallentare la falcata se voglio arrivare al terzo giro, e sono solo a metà del primo.
Dopo la curva devo stare attento, ci sono sempre delle pietre sul sentiero, meno male che ho delle scarpe tecniche.
Scarpe tecniche, che menata per le scarpe, per un paio di scarpe. Neanche fossero loro a correre e a sudare, a sentire la milza che pompa.
E invece sei tu che muovi le gambe una dopo l’altra, che insegui, che scappi, che respiri sempre con maggiore fatica.
Che puzza di scarico. Si sente che c’è l’aereoporto qui dietro.
Chissà che fine ha fatto la Rita, lavorava in quell’agenzia viaggi, che tipa!
Così ruvida, così truce e ppure così dolce, quella notte. Che mani lunghe che aveva. Adesso mi hanno detto che lavora a Pisa: E se anche la incontrassi? Dopo tre anni… magari non si ricorda nemmeno.
Meno male che sono ricominciati gli alberi.
Tempo. A che tempo sono? NO!
Non lo guardo prima della fine, manca poco ormai.
Poco.
Le braccia certe volte sembra pesino dei quintali, cerchiamo di rilassarci un po’. Devo correre facendo meno fatica possibile, se tengo i muscoli contratti è peggio.
Ci siamo quasi.
Il primo giro è finito.
Ce la farò? Ce la devo fare ormai non mi rimane più molto tempo. Almeno prima che mi si imbianchino i capelli, essere in gradi di fare venti chilometri di corsa, cominciando dal niente, fra un gin tonic e un negroni.
Super giovane, essere super giovane.
Col cazzo. Senti come pulsa il fegato. Cuore a sinistra, fegato a destra, milza a sinistra, appendicite a destra. L’unico modo per essere sempre sicuri di dove sono le cose.
Accidenti arriva il Sole…
La maglietta è zuppa, la fascia intorno alla testa cola sudore. Gli occhi bruciano.
Andiamo avanti.
Chissà come fanno quelli delle maratone, quelli sono atleti.
Ancora quel profumo, accidenti Cecilia.
Che stanchezza, ma chi me lo fare?
C’ho una voglia di fermarmi…..
Dai, almeno finire il secondo.
Queste cazzo di scarpe tecniche!
Devo essere più leggero sul tallone, più leggero.
Più leggero.
Morbido sulle gambe.
Che gambe che aveva la Simona, sono stato un po’ bastardo con lei, inventarmi tutta quella storia del lavoro a Torino. Che bastardo.
Ma nessuno è perfetto.
Adesso non lo rifarei. Quante cose non rifarei.
Mi fanno male anche le palle, dovevo mettermi il sospensorio. Vaffanculo.
Questa salita è tremenda, sempre peggio.
Sempre. Più. Pesante.
Mi bruciano le scarpe.
Nemmeno so più se sono le scarpe calde o i piedi che sono dentro.
Dai. DAI. Ancora poco e anche il secondo è finito, l’importante è pensare ad altro, respirare con costanza e pensare ad altro.
Pensare.
Tempo.
Va bene, adesso mi fermo. Anche due giri bastano, no?
NO!! CAZZO!!
Se non ne faccio tre sono proprio una merda.
Sono una merda?
DAI!! Inizia l’ultimo pezzo al sole, poi è tutto all’ombra e fila via.
Minchia, non ce la faccio più.
Rallentare.
Se mi fermo non riparto più.
Devo pensare ad altro. I fiori.
Cecilia.
Ma non ce la faccio.
Le ginocchia mi fanno male.
Cecilia.
Non mi ricordo nemmeno più perchè abbiamo litigato.
Abbiamo litigato? Forse.
Perchè mi ricordo solo i suoi baci?
I suoi occhi quando li avvicinava ai miei così vicino da toccarci le ciglia a vicenda: che occhi ho? Mi domandava.
Cheocchiho? Cheocchihai? sembrava uno scioglilingua.
Bho?
Basta, non ce la faccio più!!
Su questa salita di merda mi sta scoppiando il cuore.
Le scarpe mi pesano.
Il sudore mi brucia sulle gambe.
Mi sta corrodendo.
Il fiato mi manca.
Mi fermo.
Non posso. Non posso. Non posso.
Dai arrivo fino a là. Fino a là e poi mi fermo.
Mi fermo.
Ma se arrivo fino alla fine mi butto direttamente in acqua.
Mi butto. In acqua. Fresca.
Con tutti gli altri che prendono il sole e io passo e mi butto, senza rallentare. SPLASH!!
Dove sono?
La vista mi si offusca, anche.
Sono quasi arrivato.
Concentrazione. Adesso ci vuole concentrazione.
Non sono una merda, ce la sto facendo.
SU!
Mi gira la testa, mi gira, mi gira.
Ancora cento metri.
Ancora.
I polmoni non cela fanno più, più.
Cazzo!
Mi butto?
Vaffanculo tutto.
Ce l’ho fatta, nonostante i negroni.
E i gin tonic.
E basta.
Che stanchezza.
Mi si piegano.
Le gambe.
Dai.
poco ancora.
dai
dai
Acqua.
AHAAAH.
Finalmente è finita.
“Presto! Un’altra dose di cardio tonico!”
“Non ce la può fare a superare anche questa crisi.”
“Dobbiamo provare”
“Non so nemmeno io come ha fato a resistere fino ad adesso. Trauma cranico, due gambe spappolate e un pezzo di volante infilato in un polmone, eppure è ancora vivo.”
“Sta andando”
“Ma cosa ha detto prima? Hai sentito?”
“Nono so mi sembrava delirasse”
“Ha detto scarpe tecniche, e che cacchio vuol dire?”
“Non ci pensare, ormai.”
“E’ morto?”
“E’ morto, ma sembrava che non abbia sofferto, anzi sembra contento. Si sarà buttato apposta nell’altra corsia?”
“Non lo so.”
“Va bè, dopo che fai? Andiamo al bar o in mensa?”
“Al bar, che c’è anche quella dell’ortopedico.”
“Ma chi, la Cecilia? quella carina?”
“Sì, sai domani usciamo a cena.”
“Stai attento, che quella lì con quegli occhi ti rovina.”
“Ma va’, dai; quella lì è da una botta e via.”
fine.
21 dicembre 2007 alle 10:31 am
Ciao Ivano,
intanto benvenuto tra noi
Il tuo racconto mi è piaciuto molto. La parte della corsa è molto ben scritta: la fatica fisica è quasi palpabile, e le divagazioni sulle storie amorose del protagonista danno un tocco di originalità.
Il finale a sorpresa poi è sempre gradito
21 dicembre 2007 alle 6:32 pm
Condivido appieno il giudizio di Andrea. Davvero bello, complimenti!
22 dicembre 2007 alle 4:16 pm
Grazie per l’incoraggiamento.
sono molto attaccato a questo racconto.
ciao
23 dicembre 2007 alle 10:14 pm
ricambio la lettura e la cortesia di avermi letto.
in piccolo e’ come la mia maratona, alla fine , solo che io ci ho infilato molte meno parolacce che se all’inizio mi possono far sorridere e CI STA, poi diventano pesanti e mi “infastidiscono” la lettura.
scusa la franchezza.
Caterina
23 dicembre 2007 alle 11:01 pm
OH!
ti ringrazio per la “cortesia e la franchezza”.
non leggere i miei racconti : sono pieni di “parolacce”.
d’altra parte ho avvertito che uso dei termini coloriti.
Non penso che sia mia intenzione far sorridere utilizzando questi termini crudi, anzi.
Direi che il dramma che il protagonista vive mentre affronta l’ultima sua fatica, ripercorrere i suoi passi, le sue relazioni le sue esperienze i suoi sbagli che lo hanno portato FORSE al suicidio, questo sì può essere pesante e infastidire.
Difficile usare dei vezzeggiativi in questi casi.
In altri racconti sono meno “volgare”.
Mi spiace.
23 dicembre 2007 alle 11:25 pm
aggiungo solo che affermare che il mio racconto è : “in piccolo come la mia maratona, alla fine, solo che io ci ho infilato meno parolacce…….”
mi sembra francamente di cattivo gusto.
Prova e immaginare altro oltre alle tue gesta.
…sono veramente perplesso…
24 dicembre 2007 alle 10:17 am
sconcertata….
i due racconti non sono neppure lontanamente paragonabili….
compllimenti mostarda, un racconto molto duro, la fatica è davvero palpabile, così come l’indifferenza (forse necessaria per sopravvivere) del personale medico… sinceramente delle cosiddette parolacce mi sono accorta solo dopo che è stato fatto notare…c’è molto altro in questo racconto , soffermarsi a questo mi sembra eccessiva superficialità.
11 febbraio 2008 alle 1:33 am
Caro Ivano, in merito alle “Parolacce” ricorda che quando il saggio indica la luna lo sciocco guarda il dito… quindi non farci caso.
BdA