Ricordi Complessi – 2 – Francesco: Alto Sgradimento
Pubblicato da piehasen il 25 settembre 2010
*** “Ricordi Complessi” è una raccolta di racconti che un piccolo editore fa scrivere a quattro vecchi amici rintracciati dopo molti anni (siamo nel 1989 – 1990) per comporre un’opera sugli “anni folli” del Sessantotto. Inframmezzati tra i racconti sono riportati anche i verbali delle riunioni di redazione. ***
ALTO SGRADIMENTO
Questa storiella va un po’ indietro negli anni, quando io e Paolo (e Andrea, e Alessio, ed altri del giro) eravamo ancora sui banchi del liceo. Quando Boncompagni & Arbore ci facevano correre a casa dopo la scuola ed agganciarci per un’ora alla radio senza neanche mangiare, pur di non perdere le ultime battute di Scarpantibus, Max Vinella e compagnia.
L’impatto di “Alto gradimento” nel suo primo anno di vita si può paragonare soltanto a “Quelli della notte” di quindici anni dopo. Il cocktail esplosivo di una musica e di un umorismo che non eravamo abituati a trovare sui mass-media (allora radio e TV erano appaltate dai grandi, e anche i c.d. discorsi di rottura rompevano di solito soltanto le scatole: non v’é nulla di peggio, per i giovani, dei luoghi comuni sui giovani!) aveva reso la trasmissione altamente popolare. I tormentoni di Marenco erano entrati nel lessico comune di noi ragazzi, e tutti facevamo l’imitazione dei vari personaggi ad ogni piè sospinto.
Fu per caso che ci ritrovammo io e Paolo una sera a casa mia con un bel po’ di dischi nuovi e di voglia di giocare con il registratore di mio padre; e fu così che nacque ALTO SGRADIMENTO, una presa in giro di quella colossale presa in giro.
Riascoltando il nastro il pomeriggio seguente ci colpi il ritmo indiavolato del nostro show. Avevamo improvvisato tutto in diretta, dandoci dentro abbastanza con argomenti che allora alla radio non si potevano toccare.
Ad esempio, la coppia di presentatori era nascostamente gay, e ad un certo punto, durante un brano lento, si lasciava andare ad effusioni dimenticandosi il microfono acceso, salvo accorgersene più tardi e litigare come zitelle su chi aveva lasciato il volume alzato: la trovata si reggeva per tutto il resto dello show tra dispettucci e ripicche, per poi fare pace sulla sigla finale.
C’era poi un musicologo tedesco (l’accento mi veniva bene) che proponeva brani di musica classica, ma sbagliava la velocità del giradischi e non se n’accorgeva, e decantava la sublimità di un basso che cantava accelerato con voce da soprano o viceversa, e alla fine veniva picchiato dai presentatori (rumori di fondo) nelle parti intime… e se n’andava lui stesso con una bella voce da soprano. Ed altre macchiette di questo tipo. Roba ingenua, d’accordo, ma come ripeto, era un gioco.
Paolo aveva portato un suo amico, un tal Rudy che non era della nostra scuola, e che sentendo il nastro se ne mostrò talmente entusiasta che ne volle una cassetta. Siccome la trasmissione durava un’ora giusta, fu facile riversare il nastro su una C-60 e spedire via il Rudy con intima soddisfazione. Poi non ci pensammo più, credo che cancellai addirittura il nastro per incidervi sopra un long-playing dei Deep Purple.
Qualche giorno dopo Paolo mi telefonò sovreccitato raccontandomi una storia incredibile: era uscito con gente del giro di Rudy, ma senza di lui, e questi gli avevano fatto ascoltare una cassetta esplosiva, una presa in giro clandestina di “Alto gradimento”! Erano restati in macchina tutta la sera ripassandosi il nastro due o tre volte e ripetendo all’infinito i pezzi più divertenti. Ti giuro, mi disse, non la smettevano più di sghignazzare.
Lui s’era informato – poteva sempre essere una cosa concertata – ma non sapete chi sono questi due che l’hanno fatto? Fra l’altro temeva che qualcuno riconoscesse la sua voce, che non c’eravamo minimamente preoccupati di contraffare. Non ne abbiamo idea, risposero; a noi l’ha data Rudy, dice che sono amici suoi. Pensavamo che fosse gente del tuo giro.
A questo punto, mi disse Paolo, non so cosa mi abbia preso. Era talmente facile essere sincero: ma non vi siete accorti che uno dei due sono io? E l’altro é un mio amico che si chiama così e così; e la cosa sarebbe finita lì. Invece aveva finto di ascoltare attentamente le voci, aveva scosso la testa con aria pensosa, non le riconosco, non é gente mia. E li aveva lasciati con i loro dubbi.
Che facciamo, concluse, continuiamo il gioco o confessiamo? C’era la faccenda di Rudy, gli dissi, lui lo sa che siamo noi. Già fatto, mi rassicurò, lui é disposto a reggere il gioco, purché gli diamo l’esclusiva della diffusione. Della diffusione di che, scusa? Ma delle prossime cassette!
Un momento, mi allarmai, chi ha mai parlato di fare delle altre puntate? Quella ci é venuta bene perché era un gioco, ma a riprovarci…
Riuscì a convincermi a fare un altro tentativo. Ci ritrovammo a casa mia dopo un paio di sere, bevemmo parecchio scotch, e il secondo nastro ci parve anche meglio del primo. Il giorno dopo consegnammo tre cassette a Rudy ed aspettammo le reazioni.
Fu un altro successo: evidentemente avevamo trovato una formula vincente. Rudy stesso coniò uno slogan: “Quello che Boncompagni ed Arbore non possono fare alla RAI”. Decidemmo di uscire con regolarità due volte il mese.
Notare che nessuno aveva parlato di volerci guadagnare su: né noi due, per cui la faccenda era rimasta un gioco, né Rudy, a cui piaceva la parte di cospiratore e non chiedeva altro. Facemmo una colletta tra tutti e tre per comprare altre cassette (rigorosamente C-60: volevamo che ogni puntata non durasse più di un’ora), e pensammo a come sviluppare altre idee.
Per la quarta trasmissione decidemmo di inserire una ragazza nel cast. Discutemmo a tavolino il personaggio: la sorella di Paolo ci sarebbe venuta a trovare e sarebbe poi rimasta con noi. Intenditrice di musica, prepotente e bizzosa, ci avrebbe regolarmente colti in fallo e presi a male parole ogni volta che sbagliavamo un titolo o un autore; vieppiù esacerbata in quanto molto assatanata e quindi non certo entusiasta all’idea di dover convivere con una coppia gay. Dopo un po’ avrebbe cercato in tutti i modi di sedurmi, ottenendo sdegnati rifiuti e suscitando la gelosia di Paolo. Ad un certo punto mi avrebbe messo in imbarazzo alludendo a qualcosa che sarebbe successo tra noi: io negavo, lei confermava, Paolo si arrabbiava, e tutti dovevano restare nel dubbio se avevo “capitolato” o no. E tutto ciò parecchi anni prima che uscisse “Il Vizietto”.
Il canovaccio prometteva bene, a patto di trovare la ragazza giusta. A quei tempi non era facile trovare un tipo cosi disinibito e spiritoso da reggere una parte come quella senza cadere nella volgarità. Per di più doveva essere una persona incline a farsi i fatti suoi, per via dell’anonimato che non volevamo abbandonare.
E poi dovevamo stare attenti a non propalare troppo la cosa. Mettiamo che avessimo chiesto a qualcuna: senti, noi siamo quelli di Alto Sgradimento, vogliamo mettere una ragazza nel cast per fare un personaggio così e così, ci stai? E quella dicesse, no grazie, non me la sento, la mamma non vuole, qualsiasi motivo per rifiutare; a quel punto era una persona in più che sapeva chi eravamo. Non ci fidavamo neanche a subappaltare la ricerca a Rudy, poi in studio eravamo noi che ci dovevamo combattere, e preferivamo scegliere la persona di persona.
Infine Paolo ebbe una delle sue solite idee contorte. Fingiamo, disse, di voler fare un altro Alto Sgradimento: diciamo che abbiamo sentito quelle cassette e che ci vogliamo divertire a provarci pure noi. Mi stupisce anzi come non ci sia ancora giunta un’onda riflessa di questo tipo.
A parte che Milano ha due milioni di abitanti, e chissà quanti hanno avuto la nostra stessa idea senza aver neanche mai sentito le nostre registrazioni, risposi, la cosa mi pare fattibile. Una volta in studio non ci metterà molto a capire da sola che noi siamo gli originali. No, gli originali sono Boncompagni e Arbore: insomma, il falso autentico, come per i quadri.
Non sto a raccontare le peripezie che passammo per trovare questa benedetta figliola. Ed é proprio il caso di dirlo, perché la prescelta fu una ragazza di nome Benedetta, venuta da Verona qualche mese prima, e che scovammo ai margini della nostra compagnia (stava in classe con la sorella di uno). Oltre ad essere simpatica e piena di verve, aveva anche un delizioso accento veneto che all’occorrenza sapeva caricare con effetti da Commedia dell’Arte. E cosi c’era anche una nuova gag sulle ascendenze venete di Paolo, che la sorella avrebbe accusato di aver completamente perduto a furia di stare in mezzo ai milanesi.
Ci fu davvero da sbellicarsi a sentire il primo nastro con gli interventi di Benedetta. Profittando del fatto che la radio si sente ma non si vede, cominciò ad improvvisare lamentandosi per il caldo che faceva in studio. Per forza, le diceva Paolo, ti xe vegnuda coverta como in montagna, e reggevamo il suo gioco senza capire dove volesse andare a parare: pensavamo alla gag sul cattivo accento veneto. E lei continuava, che caldo, ostrega che caldo, al punto che cominciavamo a chiederci se facesse apposta o sul serio.
E verso metà puntata sbotta: no ghe la fasso più, scusate, ma mi metto in libertà, tanto a voi non importa, vero? Colgo al volo e protesto semiallarmato, ma che fai, che ti sbottoni, non é dignitoso; e lei, ma chi ci vede, siamo alla radio, c’é mio fratello, e comincia a far fruscii di stoffa davanti al microfono con la pezza per pulire i dischi. E Paolo: ma stai attenta, mi hai buttato il maglione in faccia, sei sempre la solita sciattona. E io, con interesse da stilista: ma che bella camicetta, cosa ci porti sotto, playtex o criss-cross, non si vede niente, fai vedere. E lei: no te sta’ a fa’ il mona, adesso te fasso veder. E avanti cosi in crescendo, la ragazza resta a torso nudo: aaaah, finalmente me sento ben.
Misi in pausa il registratore, e giù a ridere come tre pazzi!
Quella puntata fece veramente il giro di Milano, e ci diede una popolarità – clandestina, naturalmente – pari a quella di Boncompagni ed Arbore. Cominciammo a montarci un po’ la testa, e ad analizzare il nostro successo in paragone a quello della trasmissione RAI. Oltre a quanto già detto, ossia la maggiore libertà di costumi, noi uscivamo ogni quindici giorni, e lasciavamo cosi nell’attesa i nostri fans (ormai li si chiamava cosi); per di più iniziai a fare puntate a Lugano per trovare dischi ancora inediti in Italia e curare anche l’aspetto musicale. Ricordo che un amico mi portò da Londra il Led Zeppelin III ai primi di novembre, quando in Italia uscì sotto Natale.
Ci si può stancare di un’impresa del genere? Sì, quando inizia a diventare di routine. Dopo le vacanze di Natale ci ritrovammo per la prima puntata del 1971 e ci accorgemmo che l’atmosfera non era più la stessa. Paolo e Betta si erano messi insieme, e anch’io mi ero fatto una ragazza fuori del giro, a cui avevo raccontato la faccenda. Insomma, Alto Sgradimento aveva fatto il tempo suo, e decidemmo di incidere una puntata d’addio facendovi partecipare anche Rudy e Cristina. Facevano la parte dei genitori di Paolo e Betta, che si portavano via i figli per un mese bianco a St. Moritz lasciandomi solo nello studio, ed io mi suicidavo in diretta per il dispiacere. Come si vede, non ci eravamo nemmeno sforzati tanto.
Chi la prese male fu Rudy, che si era affezionato al suo ruolo di divulgatore; il pubblico invece dimenticò subito tutta la storia, o almeno cosi ci parve. Trasformammo la combriccola di A.S. in un bel tiro a quattro e passammo insieme inverno e primavera. Poi Cristina mi piantò, Paolo e Betta si persero di vista, e cominciammo a preoccuparci degli esami di maturità.
Ero a Punta Ala, quell’estate, insieme ad un giro di amici romani, quando uno di questi ci fece sentire una cassetta che aveva copiato a Milano e gelosamente conservato per tutto l’inverno, la fine del mondo: c’erano du’ froci de disc-jockey, e ‘na ragazza che se spojava in diretta. A’ France’, tu che sei di Milano, sta’ a senti’ che magari li conosci…
30 settembre 2010 alle 10:52
Gustosissimo, all’altezza del precedente
Grazie per avercelo fatto leggere!
A.
30 settembre 2010 alle 13:19
Caro Andrea,
grazie per il complimento… sono curioso di vedere se ti piaceranno anche lo stile ed il carattere di Paolo, prossimo “io narrante”…
Grazie comunque
Pietro