Il treno per Mares – parte quarta
Pubblicato da poetto il 8 febbraio 2009
Non avrei mai pensato, mai e poi mai, che Paola fosse stufa di me, della vita che conduceva, della nostra routine.
Sono passati sei giorni, ora è dalla madre, non era caduta, si era lanciata da un ponte poco distante da dove è stata trovata.
Aveva camminato per un po’ all’interno del paese, poi vide quel ponte le sembrava sufficientemente alto per quello che si era prefissata di fare.
Non vista scavalcò il parapetto, aspettò forse qualche secondo, poi il lancio.
La caduta fu attenuata dai rami di un albero presente lì sotto, non era riuscita nell’intento.
Dopo un po’ riuscì ad alzarsi e fare qualche passo finché non fu vista.
Pian piano, passato lo shock, riprese la parola.
Il giorno dopo di quello che io consideravo un terribile anche se, fino ad allora, inspiegabile incidente, in ospedale, la guardavo, contento del fatto di averla di nuovo con me, di essere riuscito a trovarla, di ricominciare.
Erano le due del pomeriggio, l’anziana madre, la signora Chiara, accompagnata da un parente, entrava nella stanza, camminata lenta e fazzoletto in mano, piangeva, solo allora Paola aveva avuto un momento di vera ripresa, si era girata verso la madre facendole il segno di avvicinarsi.
Come uno schiaffo dato quando non te lo aspetti, quando non hai motivo di aspettartelo, lei mi disse il perché del gesto, la presenza della madre le diede la forza.
Ascoltavo quelle parole senza capire, senza riuscire a valutare la loro forza distruttiva, non mi sembrava vero che la mia Paola mi stesse dicendo quelle cose.
La stanza dell’ospedale era di due posti letto, occupata, però, solamente da Paola, un televisore alla parete, un’asta per la flebo in un angolo, l’altro letto disfatto da me che mi sedevo sopra.
La madre mi guardava, ero io la causa di tutto, il suo sguardo era eloquente, non aveva bisogno di spiegazioni.
Mi ripresi, cercai spiegazioni per una accusa di cui non mi sentivo portatore.
Volevo sapere il perché, per quale motivo venivo incolpato di un fatto talmente terribile, non ci stavo ad essere io il punto cardine della vicenda, proprio io che l’ho amata e l’amo come me stesso.
Iniziamo con la madre uno scambio di accuse, la mia voce, prima flebile ed incerta, si fece man mano forte ed irritante, nei fatti stavamo gridando.
Un infermiere entrò nella stanza, vide me in piedi davanti alla madre, rosso in viso, che gridavo cose decisamente antipatiche, sgradevoli, il giovane mi fece cenno di uscire dalla stanza, rifiutai, lui insistete, ad un certo punto, vidi che mi teneva un braccio, quello sinistro, lo spinsi verso la porta lui cadde.
Paola, con una voce flebile, cercò di urlarmi di uscire, era stufa di me, del mio carattere, della mia presenza.
Fuori di qui, dicevano in coro le due donne, intanto l’infermiere, rialzatosi, uscì dalla stanza.
Non passò molto, un signore della sicurezza dell’ospedale si presentò davanti a me.
Uscii dalla stanza assieme al vigilante.
Tutto era perso, la mia vita era distrutta, finita in un cupo giorno di gennaio.
A differenza di Paola, non ho genitori, nel senso che i miei furono vittime, assieme a mia sorella, di un terribile incidente stradale, volarono dopo una curva, mio padre correva, lo schianto fu terribile.
I miei nonni, allora sessantenni, mi allevarono cercarono di non farmi mancare nulla e di farmi condurre una vita normale, ora anche loro non ci sono più, il tempo li ha portati via.
Francesco, un mio amico psicologo, mi ha detto che gli aspiranti suicidi sono di due tipi, quelli che usano il suicidio come messa in scena di uno spettacolo fatto per attirare l’attenzione su se e su propri problemi e che la morte è, in questi casi, è un evento non voluto dello spettacolo, ossia questo va oltre le intenzioni, per gli altri il suicidio è la ponderata scelta di terminare la propria esistenza per i motivi più svariati, in questi casi chi lo mette in pratica cerca di assicurarsi la sua riuscita possibilmente senza causare sofferenze.
Ora Paola è tornata dalla madre, non mi vuole più vedere, non vuole neanche più nulla di quello che c’è in casa.
Non capisco perché siamo arrivati a questo punto, perché?! Le spiegazioni datemi non mi bastavano, non potevano essere sufficienti, troppo grande era l’accaduto per poter essere liquidato in poche e mal comprese frasi, volevo, ora a freddo, intavolare una discussione per capire le radici di quel gesto, capire se veramente si fosse svolto come dettomi, capire…capire…capire!
Mi sono presentato, il giorno in cui è stata dimessa, a casa della madre, dove è andata alla dimissione, il cugino, un tipo alto, grosso si è avvicinato e con tono minaccioso dicendomi di allontanarmi in quanto non gradito.
La storia del volo dal ponte ha delle lacune che la mia mente non riesce a colmare, siamo certi che le cose si siano realmente svolte così? Oramai tutto è in frantumi
Sono nato a Torino, una città lontana da qui, solo la presenza di Paola mi teneva legato a questa cittadina, penso che ritornerò alla mia città d’origine, lascerò questo posto, non ho più la forza di stare in questa casa, penso che domani presenterò le dimissioni, non ho la forza né, tanto meno, la voglia di continuare il tram tram in questa cittadina.
Ho qualche soldo da parte, venderò la casa, cercherò un nuovo lavoro e ritornerò a Torino.
8 febbraio 2009 alle 21:11
fine di un amore.
peccato.
la sofferenza e’ indescrivibile.
9 febbraio 2009 alle 14:13
davvero tremendo…già la fine di un amore è brutta di per sè ma giungere fino a questo punto…