Anima Mala
Pubblicato da poetto il 14 dicembre 2009
Con il termine anima mala, nella mia città, si indicano quelle persone che sono cattive d’animo, cattive dentro.
Pochi l’avrebbero detto di me ma io rientro, a pieno titolo, in questa categoria.
Tutto ebbe inizio una mattina piovosa di gennaio.
Avevo sgobbato tutto l’anno, ero convinto che il premio aziendale sarebbe spettato a me, invece, sorpresa delle sorprese, questo era andato al mio collega.
Rimasi di sasso nel vedere quel parassita intascarsi il viaggio per due, di una settimana, per Parigi.
A nulla servì la mia protesta.
Il gran capo aveva deciso, mi rispondevano i responsabili locali.
Non riuscivo a capire quale fosse il criterio della premiazione di Mario, non aveva raggiunto i miei stessi obiettivi; pur essendo un bravo venditore, non era al mio livello.
Le mie proteste arrivarono al gran capo che decise di ricevermi nel suo ufficio.
Una persona molto cortese.
Mi fece sedere, mi offrì un grosso sigaro, che rifiutai in quanto non fumo.
Fogli alla mano cercai di convincere il gran capo che il premio sarebbe dovuto spettare a me.
Lui, nonostante le mie prove, fu irremovibile, tirò fuori un mucchio di scuse che non reggevano in alcun modo.
Ottenni, comunque, il secondo premio, una pelliccia di visone, che avrei regalato alla mia ragazza.
Quello fu il punto di svolta della mia vita.
Trovavo estremamente ingiusto, dopo tutto quello che avevo fatto, essere stato trattato in quel modo.
Questa era la famosa goccia, ero stanco di anni di piccole e grandi sopraffazioni.
Nonostante l’evidenza, il premio fu, comunque, assegnato a chi non lo meritava.
Decisi quel giorno che avrei tolto di mezzo qualunque ostacolo che si opponesse alla mia carriera, era arrivato il mio momento di dire basta.
Maturò in me un disegno criminale.
Mi dovevo difendere da questa società malata che cercava, in ogni modo, di prevaricare i miei diritti, che tentava di togliermi quello che avevo faticosamente costruito.
Ritenni giusto dove usare delle “armi non convenzionali”, così denominai nella mia mente la violenza, per raggiungere un obbiettivo altrimenti irraggiungibile con i normali mezzi di convivenza civile.
Il primo obbiettivo fu Mario.
Non potevo accettare questa ingiustizia.
Mi organizzai una messa in scena, una trappola.
Feci sparire il portafoglio di Mario.
Riuscì a portarglielo via senza che lui si rendesse conto di nulla, difatti lo vidi uscire senza nessuna particolare preoccupazione, anzi era contento del viaggio e contento del fatto che io, almeno quella era la facciata che mostravo, avevo assorbito il colpo e non gli creavo particolari problemi.
12 gennaio 1986, con la scusa di aver trovato il portafoglio, telefono, da una cabina telefonica, cercando di farlo uscire da casa.
Lui non sospetta nulla, riesco a non farmi riconoscere telefonicamente.
Gli dico che sono impossibilitato a muovermi e che, se vuole indietro il portafoglio, deve venire lui a prenderlo, gli do un indirizzo appena fuori città… accetta.
Mario vive da solo da quando la moglie l’ha lasciato, ogni tanto viene qualche parente a trovarlo, questo, però, accade di rado.
Mi domando che ne fa di un viaggio per due, forse ha trovato qualche gentile presenza, la cosa, in ogni caso, non fa nessuna differenza.
Vedo il collega uscire da casa.
Faccio il conto che dovrei avere una buona mezz’ora per fare tutto.
A sua insaputa ho fatto un doppione delle chiavi.
Entro dentro la casa, nel tavolo di cucina trovo un bicchiere con un po’ d’acqua, un fatto perfetto per il mio piano, senza perdere ulteriore tempo, verso del veleno nel bicchiere.
Il portafoglio, maneggiato con i guanti, lo metto dentro un cassetto della cucina.
Esco con passo veloce, mi dirigo verso il parcheggio dove c’è la mia auto.
Ritengo di non essere stato visto da nessuno mentre io non ho visto alcuno nei paraggi.
Lunedì mattina, Mario non si presenta a lavoro.
Nessuno sa il motivo di questa assenza.
Inizialmente si pensa ad un problema di traffico, con il passare del tempo ci si rende conto che qualcosa di grosso deve averlo trattenuto.
Le telefonate vanno sempre a vuoto.
Penso che il mio piano abbia funzionato alla grande.
Mercoledì pomeriggio, il corpo di Mario viene ritrovato riverso per terra in cucina, non ci sono segni di scasso, né di violenza, tutto sembra essere al suo posto.
I vicini raccontano che lui era, da qualche giorno, un po’ strano.
La conclusione di tutto è che Mario, vinto da qualche problema, che neanche la vincita del viaggio sembra essere stato in grado di alleviare, abbia deciso di porre fine alla sua esistenza.
Il viaggio, in programma dal 27 gennaio al 2 febbraio, cambia beneficiario e va al suo legittimo vincitore.
Naturalmente fingo, in modo veramente subdolo, dispiacere per la fine del collega, mi intrufolo in discussioni interminabili, con gli altri colleghi, per cercare di capire cosa possa averlo spinto ad un gesto così estremo.
Nessuno sospetta minimamente di me, la cosa mi lusinga in quanto vuol dire che ho fatto un ottimo lavoro.
Ho ottenuto quello che mi spettava, inoltre ho tolto di mezzo un concorrente scorretto che, senza alcun dubbio, mi avrebbe procurato molti fastidi.
Chiara, la mia ragazza, è totalmente all’oscuro della mia azione.
Non avevo, e non ho, nessuna intenzione di coinvolgerla, inoltre temo che una scoperta del genere possa mettere a rischio la nostra relazione.
Lei sapeva solamente che mi ero arrabbiato per una questione di lavoro, poi, però, la cosa era passata, almeno l’apparenza era quella.
Non riesco ad andare al funerale di Mario, invento una scusa.
In casa, dentro un cassetto, tra i calzini, viene trovata una strana lettera.
La fortuna mi assiste, il caso viene classificato come suicidio, nessuno verrà a cercarmi, nessuno saprà che il povero Mario non aveva alcuna intenzione di farsi fuori.