Quattro mani per un racconto

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In un mare di guai (1)

Pubblicato da quattromani il 18 giugno 2007

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In un mare di guai (1)

Aprì gli occhi con fatica mentre il mare se pur calmo
faceva oscillare con facilità la sua piccola zattera gonfiabile. Si affacciò
dall’apertura sulla copertura arancione, strizzò gli occhi per la troppa luce. Il
cielo era chiaro e privo di nuvole come non lo aveva mai visto, puntò lo
sguardo verso l’orizzonte che individuò con difficoltà tra l’azzurro del mare e
quello del cielo, della terra ferma nessuna traccia.
Matthew doveva essere in mare da almeno cinque giorni,
o forse anche di più, ma ormai il tempo nella sua mente scorreva disordinato
come in mille direzioni, il suo Omega era inservibile con il vetro rotto e le
lancette bloccate forse ad indicare proprio l’ora dell’incidente. Stanco ed
affamato non ricordava granché degli eventi che lo avevano portato a vagare
nell’oceano. Tornò con la testa all’interno dell’abitacolo.
Lui e sua moglie avevano ricercato qualcosa di
stravagante per il loro primo anniversario, e così avevano pensato di affittare
una barca con tanto di capitano che li avrebbe condotti in crociera per una
settimana, i soldi per loro non erano certo un problema. L’ultima cosa che
ricordava era la cena a lume di candela sul ponte insieme a sua moglie, il
brindisi e poi…il buio, non riusciva a ricordare altro. Si chiese dove fosse
Jennifer ma a quella domanda non poteva dare nessuna risposta, almeno sino a
che non fosse riuscito a ricordare.
Cercò intorno a lui la borraccia parte del kit si
sopravvivenza in dotazione, la raccolse, svitò il tappo e la portò sulle sue
labbra secche e screpolate ma non ne uscì neanche una goccia, aveva la bocca
arida come il deserto, la lingua gonfia e pulsante. Si sfogò con una risata nervosa
pensando all’ironia della situazione in cui si trovava, era assetato ma non
poteva placare in nessun modo la sua sete pur essendone circondato per chissà
quante miglia. Bere quell’acqua lo poteva condannare alla morte.
Oltre alla sete a fargli compagnia c’era anche la
fame, la fortuna sino a quel momento non lo aveva di certo assistito visto che
non era ancora riuscito a pescare nulla. Rovistò in una delle sacche laterali
alla ricerca delle lenze. Spostò la torcia elettrica, i fumogeni, la cassetta
di pronto soccorso e infine riuscì ad individuare il necessario per pescare. Scelse
un lenza tra quelle di dimensioni più piccole e una delle due esche
artificiali. Sporgendosi ancora dall’apertura lanciò l’esca in mare. Passò la
successiva ora fissando quel filo con la speranza che si muovesse, che vibrasse
almeno per un momento,  ma non accadde
nulla. Scoraggiato lo recuperò e si sdraiò con lo sguardo fisso sulla copertura
arancione. Dopo qualche istante quel colore acceso si dissolse lasciando lo
spazio a quelli offuscati dei ricordi e tornò con la mente ancora una volta a
quell’ultima sera passata a bordo della barca.

“Serata
stupenda, non trovi amore?” Disse Jennifer.
Era una cena importante quella per loro, il culmine
di un anno trascorso insieme. La splendida barca, la tavola impeccabilmente
preparata sul ponte, i loro abiti eleganti e la voce di Joe Cocker che
accompagnava le note di You Are So Beautiful,
ogni cosa in quella sera d’estate sembrava sfidare il concetto stesso di perfezione.
“Davvero stupenda… facciamo un brindisi?” Propose Matthew
alzando il calice ed invitando Jennifer a fare lo stesso. Il bicchiere di Matthew
fece vibrare quello di Jennifer poco sopra la bottiglia di vino bianco poggiato
sulla tavola, i due si scambiarono uno sguardo accennando un sorriso. Il
ragazzo in pantaloni neri e giacca bianca servì il primo con la massima
eleganza e cortesia poi lasciò soli Matthew e Jennifer mentre degustavano
l’ottimo vino…

Si svegliò ansimando da un sonno durato soltanto poche
ore, la luce del giorno era già svanita e la luna si specchiava sulle
superficie dell’oceano in compagnia delle stelle che sembravano luminose come
non mai. Tutte le notti continuava a rivivere quella scena ma ogni volta giunto
allo stesso punto il film dei suoi ricordi, come accadeva spesso per le
pellicole troppo vecchie, si interrompeva bruscamente.
Le probabilità di Matthew di sopravvivere a quel
naufragio andavano diminuendo di ora in ora, ormai la sua pelle iniziava a
mostrare gli inconfondibili segni della disidratazione e la mente iniziava a
vacillare pur tenendosi aggrappata a quell’unico pensiero che al momento
riusciva a tenerlo in vita,  Jennifer.

Copyright ©2006 Fabio Marchionni

2 Commenti a “In un mare di guai (1)”

  1. nihil dice:

    Mat iniziò a contemplare la sua possibile morte. Quanto si può resistere in mare senza bere e mangiare?
    “Pensa , Mat, pensa a qualcosa di intelligente, con tutti i libri che hai letto ti sarà rimasto pure in mente qualcosa di utile! Cosa fece Sandokan quando fu abbandonato in mezzo al Mar dei Carabi e non aveva neppure il kit per la sopravvivenza?”
    No, i pensieri non volevano saperne di stare in fila, di cercare una soluzione; forse troppo riscaldati dal sole stavano evaporando insieme alla sua voglia di vivere e di combattere. Ma Jennifer che sorte aveva avuto? Il dolore che rifletteva quella domanda si trasformava in un nocciolo duro alla bocca dello stomaco.
    “Pensare: bisogna che pensi, altrimenti il cervello si spegnerà ed io mi rassegnerò a diventare un nulla di cui mai nessuno saprà che destino ha avuto. Non mi devo arrendere…”
    Matt rivolse i suoi pensieri alla moglie, ripercorrendo le tappe della loro vita insieme, iniziando dal momento in cui l’aveva conosciuta. Se doveva morire, che almeno ciò avvenisse in compagnia del suo ricordo, la mente si sarebbe confusa a poco a poco, il corpo si sarebbe disidratato e lui sarebbe scivolato dall’amore nella morte.
    Jenny l’aveva addocchiata ad una festa; vestita di bianco risaltava come una dea in mezzo a tutte le splendide ragazze mezze nude che giravano con un bicchiere in mano, con l’atteggiamento predatorio di chi vuole acchiappare un barbagianni pieno di soldi.
    Lei stava vicino ad una finestra con lo sguardo perso nel vuoto, più che annoiata sembrava a disagio.
    “Ecco una persona che non fa parte di questa accozzaglia di divette e arrivisti” si era detto ed aveva preso a studiare il suo comportamento.
    Il vestito accollato era accompagnato da gioielli discreti , l’atteggiamento era signorile e distaccato. Quando conversava con qualcuno, lo faceva a voce bassa , gesticolando appena con una mano.
    Lui si era avvicinato e con scarsa originalità le aveva offerto una coppa di champagne.
    Lei fu quasi sorpresa e rifiutò dicendo che non bevevo nulla di alcolico perché strettamente astemia.
    Era cominciato tutto così, nel modo più banale possibile, ma in poche ore lui le aveva raccontato tutta la sua vita, come ad un confessore. Lei, sempre discreta, di sé aveva detto poco.
    Dopo tre mesi si erano sposati e l’ultimo ricordo era il brindisi che avevano fatto a lume di candela.
    Sì, era l’unico ricordo preciso, quello insieme allo strano sapore del vino ed allo sguardo di trionfo che lei si era lasciata sfuggire.
    Sguardo di trionfo. Già, ma perché? E poi lei non era strettamente astemia?
    Come mai aveva accettato il brindisi? Ma lei aveva bevuto o no?
    Matt si sforzava di ricordare altro, ma era come se si fosse improvvisamente addormentato ed avesse iniziato a sognare voci.
    Voci lontane che sussurravano…il mare prende tutto…vedrai che tutto andrà bene…sarò una vedova inconsolabile…lui era ubriaco…
    Sete, sete, sete. Questo era ora il solo eco della sua mente.
    …povero stupido…se fosse stato meno ricco…ti amo Roger….
    Roger? Il capitano Roger?
    Ora ricordava vagamente che il sogno sembrava reale e lui si era trascinato sino al canotto e tra un conato di vomito ed un altro era riuscito a calarlo in mare dopo essersi infilato dentro.
    Sete, sete, sete, il cervello iniziava a contrarsi per la disidratazione, ne sentiva quasi i lamenti.
    Non era stata una buona idea quella di infilarsi nel canotto, ma nello stato confusionale in cui si trovava non gli era venuto in mente nulla di meglio.
    Il fatto era che lui aveva paura del mare , la crociera l’aveva organizzata per compiacere Jennifer ed ora capiva il perché della sua insistenza ; il canotto di salvataggio era stato il suo pensiero fisso e lo aveva controllato di frequente, ovvio che fosse rimasto nel suo subcosciente.
    Ma come mai non l’avevano raggiunto? E che importanza aveva ora saperlo?
    Però oltre che mezzo morto, era incazzato intero.

    Sete, sete, sete, i pensieri iniziavano a scricchiolare come le sue labbra ormai spaccate dalla salsedine.
    Si era davvero fatto incastrare come gli ultimi degli imbecilli.
    Molto incazzato.
    Sandokan.
    Sandokan non si sarebbe arreso.
    A fatica si alzò, riprese la lenza e sistemò sull’amo come esca un pezzetto della camicia bianca.
    Si legò il filo all’alluce e si ridistese sul fondo dell’imbarcazione. Inutile stare a guardare se il pesce avrebbe abboccato, si sarebbe limitato a sentire con il piede tirare la lenza, mentre la rabbia lentamente stava ricaricandogli le batterie.
    Dopo un’ora o due un pesce suicida abboccò e lui molto schifato ma al limite delle forze, si costrinse a mangiarlo dopo averlo spellato. Chissà cos’era, magari era velenoso, ma il fatto non avrebbe creato certo ulteriori problemi.
    Il pesce conteneva acqua e questo era l’importante.
    Fu fortunato, nei successivi due giorni prese altri tre pesci, piccoli, ma gli bastò per sopravvivere.
    Si fece mentalmente la cartina della costa lungo la quale stavano navigando e sapeva che la corrente lo avrebbe portato dapprima al largo poi a sud e se era fortunato sarebbe arrivato in vista delle isole Paradigma e se fosse stato ancora fortunato qualche pescatore lo avrebbe avvistato.
    Doveva resistere almeno ancora tre giorni.
    Cercava di ripercorrere l’anno trascorso con la mogliettina e ricercava tutte le incongruenze e gli atteggiamenti strani che aveva rilevato in lei, ma che l’amore gli aveva fatto perdonare.
    Perché non aveva capito prima? Perché era stato così ingenuo? Non sapeva che essere miliardario era una cosa pericolosissima?
    Perché non era andato in montagna?
    Magari una montagna come quella che aveva davanti, un poco strana , così tutta bianca e a punta.
    Sembrava quasi una vela.
    Un urlo gli ghiacciò quel poco di coscienza che gli rimaneva:”L’abbiamo trovato!”
    Si senti sballottare mentre davanti ai suoi occhi passavano inquadrature di canotto, di albero maestro, di oblò, di Jennifer, mentre due marinai si impadronivano del suo corpo.
    Fu portato nella sua cabina ed adagiato sul letto; con fatica riusciva a comprendere di essere stato salvato ma anziché sentirsi al sicuro, si domandava quale metodo avrebbero scelto per eliminarlo in modo definitivo. Era talmente stravolto e consumato dal mare che non aveva nemmeno paura.
    Esiste dunque un punto massimo di terrore della morte, oltre il quale tutto si trasforma in rassegnazione e passività?
    Sinceramente non gli importava più nulla.
    Spuntando tra le palpebre gonfie e tumefatte dal sole, lo sguardo riuscì a visualizzare il televisore, posto sulla parete proprio davanti al letto. Sembrava che lo guardasse come un enorme occhio pieno di rimprovero.
    Assurdamente pensò a cosa avesse visto l’ultima volta in tv e a poco a poco gli tornò in mente che si trattava di un film, dove la moglie ammazzava il marito per fuggire con l’amante, un certo Roger; chissà come era andato a finire, lui si era messo a tirare coca , poi aveva iniziato a sentirsi male e si era risvegliato sul canotto.
    Mentre scivolava nel torpore di un corpo quasi morto, riuscì a pensare che se mai fosse stato ancora vivo l’anno prossimo, l’anniversario l’avrebbe festeggiato al massimo in metropolitana.
    Ricordava benissimo però che anche il suo Capitano si chiamava Roger!

  2. Andrea dice:

    Doveva essersi addormentato. Si sentiva confuso, stordito. Tutto attorno a lui era così luminoso… non riusciva a tenere gli occhi aperti. Sotto di lui
    il canotto ondeggiava, seguendo docile il ritmo delle onde.
    Con uno sforzo sovrumano riuscì a mettersi a sedere, e finalmente si guardò attorno.
    Niente.
    Non c’era nulla.
    A parte il mare, ovviamente. Di quello ce n’era un bel po’.
    Ma come era finito lì? L’ultima cosa che ricordava era la cena con Jennifer.
    Jennifer, sì.
    L’aveva smascherata, alla fine.
    Ci aveva messo quasi un anno, ma alla fine aveva capito tutto di lei, di cosa volesse veramente da lui.
    Certo, Loro gli avevano dato una mano. Se non fosse stato per Loro, a quest’ora lui sarebbe stato ancora il maritino innamorato in balia di quella strega senza scrupoli. Gli avevano impiantato una minuscola microtrasmittente dentro l’orecchio, così gli avevano detto. Non sapeva bene chi fossero… forse qualcuno del Governo. Ad ogni modo una mattina si era svegliato, e Loro avevano iniziato a parlargli.
    Gli dicevano cose incredibili. All’inizio si rifiutava di crederci. Come quando iniziarono a dirgli che la coppia di loro vicini, Simon e Iolanda, erano in realtà delle spie inviate in avanscoperta da una spietata specie aliena che da Marte aveva deciso di trasferirsi in massa sulla Terra. Certo che era assurdo… già l’idea di una specie marziana senza scrupoli gli risultava abbastanza difficile da credere; per non parlare del fatto che come spie potessero scegliere proprio Simon e Iolanda! Per qualche giorno aveva perfino iniziato a pensare che forse Loro fossero solo un parto della sua mente. Che forse non c’era nessuna microtrasmittente: li sentiva solo lui perché era pazzo, e basta.
    Eppure pian piano le loro argomentazioni diventarono sempre più convincenti. Tanti piccoli dettagli della vita di Simon e Iolanda proprio non tornavano. Le buste dell’immondizia ad esempio. Le loro erano diverse da quelle di tutto il vicinato. Erano di un colore mai visto, un arancione un po’ sbiadito. Iniziò a cercare un po’ in giro, ma nessun supermercato della zona sembrava vendere buste come quelle. Furono Loro a dargli la spiegazione. Quello era il modo in cui contattavano il loro quartier generale in orbita attorno alla luna. Mettevano nelle buste il messaggio da far arrivare, e un loro contatto alla discarica si occupava di recuperarlo e farlo recapitare. A Matthew questa procedura era sembrata un po’ troppo laboriosa, a dire il vero. Soprattutto per una specie aliena presumibilmente abbastanza progredita da aver accesso a mezzi di comunicazione più evoluti di un piccione viaggiatore. Loro erano scoppiati a ridere. Matthew era proprio un ingenuo! Forse avrebbero dovuto cercare un altro collaboratore…
    “No vi prego! Aspettate! D’accordo vi credo!”
    Loro allora gli spiegarono che lui era solo l’ultimo di una lunga serie di agenti, e che negli ultimi anni il cerchio si era andato stringendo attorno ai due infiltrati marziani. Per questo non osavano più sfruttare la loro tecnologia avanzata, ben sapendo che sarebbero stati smascherati immediatamente.
    Invece si affidavano a mezzi meno efficaci certamente, ma anche meno sospetti. A Loro ci era voluto un bel po’ di tempo prima di capire il trucco dei sacchi dell’immondizia.

    Dopo alcuni mesi di appostamenti e osservazioni, Matthew era ormai assolutamente convinto della malafede dei suoi vicini.
    Una mattina arrivò l’ordine. Dovevano essere eliminati al più presto. Ne andava della salvezza della Terra.

    Liquidare Simon e Iolanda non fu facile né piacevole, ma Matthew se la cavò egregiamente. Tutto faceva pensare ad un incidente domestico: una piccola fuga di gas durante la notte, e l’esplosione la mattina. Loro si congratularono con Matthew per come aveva gestito la cosa, e gli concessero alcune settimane di licenza premio.

    Furono tre settimane, in tutto. Tre settimane di silenzio, che Matthew assaporò come un assetato assapora l’acqua più fresca. Jennifer era rimasta molto sconvolta dalla morte di Simon e Iolanda, e Matthew si era quasi deciso a dirle tutto quello che sapeva di loro, che erano spie, che volevano conquistare a Terra e ridurre gli umani, compresi loro due, in schiavitù. Improvvisamente come se ne erano andati, però, Loro tornarono.

    E questa volta avevano un nuovo bersaglio.

    La prima reazione di Matthew fu una furia incontrollata. Non Jennifer! Loro gli spiegarono che durante quella conferenza alla quale lei era andata da sola, gli alieni l’avevano rapita e sostituita con un clone programmato appositamente per spiare. Fortunatamente Loro avevano avuto una soffiata da uno dei loro informatori, e avevano informato subito Matthew. La vera Jennifer non era ancora perduta, ma la spia doveva essere smascherata.
    Fortunatamente era ormai vicino il loro primo anniversario. L’idea della gita in barca capitò proprio a fagiolo. Sarebbe stato perfetto. Peccato che servisse un capitano. Lo lasciò scegliere a lei, e Loro gli confermarono, come previsto, che si trattava di un agente nemico.

    Ora invece si trovava qui su questo canotto, e non aveva idea di come ci fosse arrivato. La cena con Jennifer era andata come previsto. Dopo l’ultimo brindisi, lui era andato in cucina con una scusa, e con un taglio netto alla gola si era sbarazzato del complice. Ora restavano solo lui e lei. Decise di non tirarla troppo per le lunghe, e la affrontò. Le disse tutto quello che sapeva di lei e di Simon e di Iolanda, le disse che ormai era tutto finito, che l’avevano smascherata, che non doveva più mentire.
    Lei era proprio brava, non c’è che dire. Recitò la sua parte alla perfezione, urla, pianti, suppliche, disperazione. Lui ricordava che alla fine si era stancato e aveva deciso di sgozzare anche lei. Stava per librare il colpo, quando tutto si spense.
    Non ricordava più nulla, si era svegliato su quel canotto.
    Meglio rimettersi a pescare. Doveva mantenersi in forze fino a quando qualcuno lo avesse recuperato. Il futuro della Terra dipendeva da lui.

    Si svegliò con un mal di testa terribile. Ancora non ricordava niente di come fosse arrivato lì. Il sogno della cena con la sua amata Jennifer lo perseguitava ancora, e si interrompeva sempre allo stesso punto. Fu solo allora che si accorse del coltello. Uno dei coltelli da cucina in dotazione alla barca che avevano noleggiato. Cosa ci faceva lì sul canotto? Lo prese per guardarlo meglio, e rimase paralizzato dall’orrore. Il coltello era sporco di sangue. Non fu comunque il sangue a paralizzarlo, ma l’ondata immensa che lo travolse. Niente acqua, solo ricordi. Un anno di ricordi che aveva cancellato. Lui che perlustrava i supermercati del quartiere alla ricerca di sacchi di plastica arancione, lui che spiava i vicini, lui che si intrufolava nella loro cucina e manometteva l’impianto a gas. Lui al loro funerale, col suo dolore finto.
    Poi il capitano, che non ebbe nemmeno il tempo di capire il perché della sua morte.
    Poi Jennifer. La sua Jennifer. Che lo chiamava, che gli chiedeva cosa avesse, perché si comportasse così. Che lo implorava di fermarsi. Lui che si avventa su di lei per poi fermarsi all’ultimo momento, colto da un raptus di sanità mentale. Lui che corre nel canotto e si spinge via, lontano da lei, per salvarla da se stesso.
    Si guardò attorno. C’era una sola cosa da fare, finché gli restava un po’ di lucidità.
    Prese le lenze, la torcia, i razzi di segnalazione, la borraccia, e gettò tutto in mare. Poi si sdraiò attendendo con ansia la morte liberatrice.

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