Le storie macabre di Silvia

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FUSIONE DI SOGNI

Pubblicato da silvia il 8 ottobre 2008

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FUSIONE DI SOGNI

Ho conosciuto un anziano ispettore di polizia molto tempo fa.
Era un uomo dotato di un’intelligenza e di una sensibilità superiori alla norma. Rimasto solo, dedicava quasi tutto il suo tempo libero allo sviluppo delle proprie facoltà mentali.
Erano eccezionali i suoi discorsi, l’ho ascoltato per ore ed ore mentre mi parlava dei suoi studi, mi spiegava le sue teorie, mi narrava le sue esperienze.
Credeva fermamente nella forza del pensiero, e lo scopo della sua vita solitaria consisteva nell’esplorazione delle zone sconosciute del cervello.
Quando egli ritenne che la nostra amicizia fosse ormai consolidata, decise di rivelarmi il suo più grande desiderio; si trattava di un progetto al quale lavorava da molti anni, ed era quasi giunto alla sua realizzazione: era sicuro di aver scoperto in quale luogo della mente umana nasce ed opera il male, e da anni stava febbrilmente studiando un modo per estirparlo. Finalmente sapeva come fare, ed aveva bisogno di qualcuno che lo aiutasse.
Aveva già da tempo annientato il male in se stesso, e desiderava più di ogni altra cosa aiutare l’umanità a liberarsi.
Mi spiegò che il male esiste da sempre in una dimensione parallela alla nostra, e che riesce a contaminare le menti umane proprio quando queste sono senza difese, durante l’incoscienza onirica. Era perciò necessario adoperare i sogni, ma avendo egli ormai chiuso in sé tutti i varchi che consentivano all’odio di contaminarlo, aveva bisogno di entrare nella mente di un altro essere umano con il quale incontrarsi nel sogno; insieme avrebbero poi raggiunto il terribile luogo dove il male pulsa da sempre per distruggerlo una volta per tutte.
Io gli credei subito, nemmeno per un attimo pensai che fosse un pazzo, e ben volentieri acconsentii ad utilizzare la mia mente per realizzare quello che l’universo intero sogna da sempre.

L’ispettore stava preparando i suoi strani armamentari, e io attendevo che mi dicesse di prepararmi all’ipnosi necessaria ad addormentarmi, per consentirgli di entrare nel mio sogno.
Non avevo paura, mi fidavo ciecamente, non ho mai conosciuto un’altra persona al mondo che meritasse tanta fiducia.
Mentre aspettavo che il mio amico fosse pronto a partire, ricordo di aver pensato con sincera speranza che dopo aver estirpato l’odio dalla mente umana, finalmente avrei conosciuto la felicità pura.
Caddi in un profondo sonno ipnotico. Non appena iniziò l’attività onirica, mi ritrovai in una grande e caotica metropoli, buia e sinistra, immersa in un’atmosfera densa di odio e di disperazione.
L’ispettore era accanto a me e con un cenno mi invitò a seguirlo. “Ti disturba questa città, vero?” mi domandò mentre percorrevamo una vasta strada buia e maleodorante. “Anche a me. Eppure nel mondo reale le città non sono diverse da questa. Ci viviamo da sempre. Qui però, nel mondo onirico, riusciamo a percepire veramente quanto dolore alberga nell’essere umano. Nelle città è ancora più intenso.”
Continuando a camminare raggiungemmo un grosso casolare abbandonato che sorgeva alla periferia della metropoli; qui l’ispettore si arrestò e in risposta alla mia espressione interrogativa mi spiegò che ci eravamo fermati in attesa di un’immagine del sogno che ci avrebbe validamente aiutati a portare a termine la nostra pericolosa missione.
Questo personaggio non si fece attendere molto; io non lo vidi mai, ma sapevo che c’era, sentivo accanto a me la sua presenza rassicurante, e ciò mi rincuorava.
L’ispettore riprese a camminare, avvicinandosi sempre di più alla casa. Quando era ormai davanti al portone, ci guardò e ci raccomandò di fare molta intenzione da quel momento in poi, perché il male era da qualche parte lì dentro.
Mentre parlava vidi i suoi occhi tremare, e mi resi conto che malgrado il suo aspetto tranquillo e deciso, stava provando una paura immensa.
Il cielo era nero, non scorgevo né stelle né luna. Mi investì un vento gelido, e cercai la mano dell’essere che avevo appena conosciuto, ma mi accorsi che era incorporeo.
Mossi qualche passo verso il portone, ma improvvisamente l’ispettore gridò e
ci intimò di fuggire. Ci allontanammo di corsa dal casolare e dopo un bel po’ fummo costretti a sostare per riprendere fiato.
“Non possiamo entrare” disse sconsolato l’ispettore, “ci sono… anime. Esseri malvagi che ci sbarrano la strada. Hanno tentato di catturarmi! E’ tutto inutile…”
“No” ribatté con sicurezza l’incorporeo “le anime possono essere spente. Questo è il mio mondo e so cosa bisogna fare. Venite con me.”
Non so per quanto tempo seguimmo quella presenza invisibile. Ad un certo punto iniziai a fremere, e immediatamente compresi che qualcosa di maligno stava tentando di farmi uscire dal sogno. I miei amici mi esortarono a lottare contro il risveglio, e grazie alla loro potenza mentale quella orribile sensazione scomparve in breve tempo. Provai una certa spossatezza, ma mi sentivo meglio.
Dopo qualche altro minuto di cammino, l’incorporeo indicando una piccola costruzione in cemento a forma di cubo ci disse: “è da qui che quelle anime ricevono energia”.
Apparentemente era impossibile penetrarvi, ma l’incorporeo ci fece notare una fessura in alto, dalla quale ci si poteva affacciare verso l’interno.
Salii sulle spalle dell’ispettore e scrutai attraverso l’angusta apertura. La presenza invisibile mi sussurrò di non avere paura e di mantenere la calma a tutti i costi, ma era davvero difficile. L’ambiente che mi trovavo ad osservare era talmente squallido e triste che suscitava in me insopportabili sensazioni di solitudine e di dolore. Mai in tutta la mia vita ho provato una simile angoscia.
Sul pavimento si andavano liquefacendo infinite candele di fattura vagamente umana; erano sporche e deformi, e bruciando esalavano un intenso odore di follia. Le loro fiamme tremavano, ma continuavano a brillare sinistre e cattive, e in tutta la stanza ,grave e opprimente, aleggiava la densa atmosfera d’odio che ormai ben conoscevo.
“Non perdere il controllo di te. Spegni quelle maledette candele!”
Il grido dell’incorporeo mi scosse dall’avvilimento in cui stavo precipitando; con tutto il fiato che avevo soffiai in quella dimora di dolore, e le fiammelle perirono ad una ad una.
Sentii gridare tutti i demoni dell’inferno, ma stavolta riuscii a mantenere saldi i miei nervi, almeno finché tutte le candele non si fossero spente. Udii terribili lamenti, singhiozzi al limite del dolore, sospiri sempre più deboli. Poi più niente. Silenzio assoluto.
Scesi dalle spalle dell’ispettore, mi sedetti a terra con la testa tra le mani e rimasi così per non so quanto tempo. I miei amici non dissero una parola, ma sentii l’incorporeo piangere sommessamente.
Guardai l’ispettore, egli mi sorrise e mi tese la mano. L’incorporeo aveva smesso di piangere, ma a lungo dalle sue labbra invisibili non uscì verbo. L’ispettore mi si avvicinò e prendendomi per mano mi sussurrò che poi avrei capito.
L’incorporeo cominciò a camminare veloce tenendosi un bel po’ distante da noi; io faticavo a stargli dietro.
Dopo un lungo cammino nelle tenebre ci trovammo di nuovo di fronte al casolare. L’incorporeo era già davanti al portone ad attenderci; io non so come fosse possibile per me dire che egli era lì, che per tutto quel tragitto mi aveva preceduto senza che io lo avessi mai visto, eppure percepivo la sua forte presenza.
Io e l’ispettore lo raggiungemmo ansimando, e finalmente l’incorporeo parlò di nuovo. La sua voce era bassa, spenta, senza alcuna emozione.
“Adesso non ci sono più le anime, sono scomparse. Le abbiamo sentite morire, quindi potete stare sicuri che nessuno vi ostacolerà”. Si allontanò, lo sentii camminare via. Se ne stava andando. Rivolsi uno sguardo stupito all’ispettore, ma lui fissava il suolo, immobile.
“Ma che fai? Non puoi lasciarci così!” gridai allora “Torna qui da noi. Che cosa ti succede?”
L’incorporeo si fermò, come se stesse riflettendo, mi guardò con i suoi occhi invisibili e dopo un po’ rispose con voce rassegnata: “hai ragione: quello che sto facendo non è giusto. Sai, questa era la mia dimora e le anime che abbiamo spento erano coloro che avevo amato e che erano stati catturati dal male. Speravo di poterli liberare partecipando al progetto dell’ispettore, invece ho dovuto farli morire. Ma ormai non ha più importanza: ora questa casa ha da perdere solo la sua storia.”

L’ispettore spinse il pesante portone di legno, e questo si aprì con una docilità insperata, senza scricchiolare, né opporre alcuna resistenza. Dentro la casa regnava una greve atmosfera di solitudine, ma non si vedeva assolutamente nulla. L’incorporeo si allontanò nel buio pesto; lo sentii camminare per un bel po’ e mi chiesi quanto fosse vasta quella stanza. Poi i suoi passi terminarono, udii un sospiro e lo scatto di un interruttore. La fioca luce pioveva da un polveroso lampadario color rosso vino appeso al centro del soffitto. La stanza era enorme, e quel lume non riusciva a raggiungere gli angoli più lontani. L’arredamento era cupo, lugubre, e affascinante allo stesso tempo: ovunque vi erano divani neri di tessuto impalpabile, armadi, comò, tavoli e sedie in mogano che parevano antichissimi, tappeti scuri e cuscini dappertutto. E quella luce… che inquietante quella luce color sangue!
“Per di qua” disse l’incorporeo “seguitemi”.
Attraversammo l’enorme sala guidati da quel corpo trasparente e raggiungemmo una piccola porta che era rimasta in ombra a causa dell’illuminazione insufficiente.
“Fai molta attenzione ora” mi avvertì l’ispettore “ci stiamo avvicinando alla fine del nostro viaggio”.
Girò la maniglia e lentamente aprì la porta. Involontariamente serrai gli occhi, e quando li riaprii dopo qualche lunghissimo istante mi ritrovai davanti ad un corridoio stretto e buio. Mi guardai intorno, ma non riuscii a vedere nessuno. Azzardai qualche passo all’interno del cunicolo, allungai una mano verso destra e tastai qualcosa di disgustosamente umido e scivoloso. Gridai con tutte le mie forze, ma subito sentii una morbida e affettuosa carezza sul mio braccio: era il mio amico invisibile che per un attimo si era reso corporeo per rassicurarmi.
“Non preoccuparti, siamo qui” mi disse.
Eravamo in fila in quel budello nero: l’ispettore davanti, io nel mezzo e l’incorporeo dietro. Io avevo bisogno di maggior protezione, e loro lo sapevano.
Procedemmo nell’oscurità per parecchio tempo fino ad imbatterci in una serie
di anguste scale. Per circa un’ora salimmo e scendemmo, io non ne potevo più. Cercai ancora una volta la mano dell’incorporeo, ma non riuscii a toccarlo.
“Fermatevi!” sibilò all’improvviso l’ispettore ”Ci siamo!”. Sentii che apriva una porta, e un orrendo miasma di vecchiaia e di sporcizia ci investì. L’incorporeo gridò, e quando guardai, anche io finalmente capii. Ci trovavamo in una piccola stanza appena rischiarata dalla luce di una candela bianca che ardeva su un tavolo in ebano intarsiato con figure che non oso descrivere; in un angolo vi era un armadio a vetri, ma non so dire cosa vi fosse dentro. Qualcosa che strisciava e crepitava.
L’incorporeo sedette accanto al tavolo e fissò la fiammella. “Qui è custodita la mia anima. Questa è l’ultima candela. Solo io ho resistito al male quando si è stabilito nella nostra casa, solo io sono rimasto”.
L’ispettore non rispose, ma si diresse verso delle scalette che precipitavano nel buio.
“Vieni” mi disse “manca poco ormai”. Guardai l’incorporeo senza vederlo, ma lui non si mosse. La fiamma della candela tremò, e per un attimo ebbi il timore che si spegnesse.
“ Spero di rivederti quando sarà tutto finito” mi disse l’incorporeo salutandomi.
L’ispettore stava già scendendo le scale, e io mi affrettai dietro di lui. Improvvisamente un vento glaciale ci aggredì, e ci spinse violentemente in un locale tanto vasto quanto desolante. Le immense pareti emanavano una luce accecante, e da ogni parte si udivano suoni spettrali che mi gelarono il sangue. Sentii l’ispettore gridare, e mi voltai in tempo per vederlo annegare in una viscida gelatina di un colore indefinibile.
“Non ce l’ho fatta!” urlò “Mi ha preceduto, mi stava aspettando! Vai via, svegliati immediatamente!”
Mi precipitai verso di lui nel disperato tentativo di trarlo in salvo da quelle demoniache profondità, mentre la mia già precaria sanità mentale andava in mille pezzi.
“Svegliati! Svegliati!” mi sentii tirare via da una forza incredibile, mi voltai e vidi per una frazione di secondo il volto dell’incorporeo.
“Non possiamo permettere che finisca così, dobbiamo salvarlo!” gridai “Non preoccuparti, penserò io a lui! Spegnerò la mia candela, lo porterò via con me. Ma tu devi andartene!”
Io allora capii, e mentre l’anima dell’incorporeo volava via dalla fiammella spenta verso l’ispettore, mi concentrai sul risveglio, sull’apparecchio ipnotico che aveva indotto il mio sonno. Aprii gli occhi nel laboratorio del mio amico, nulla era cambiato. Ma la sua poltrona era vuota.

Il progetto dell’ispettore era impossibile: noi siamo su questa terra per combattere il male, ma non possiamo annientarlo. Però il suo sacrificio non è stato vano: anche in me ora l’odio non esiste più.
Uscii dalla sua casa lentamente, chiudendo la porta.

Silvia Salvador

Un commento a “FUSIONE DI SOGNI”

  1. andrea dice:

    Ciao Silvia,
    mannaggia queste tue storie mi erano sfuggite, scusami! Piano piano recupererero’.
    Il paesaggio onirico lo descrivi bene, ma mi pare un po’ poco solida (o forse semplicemente non abbastanza ben resa) l’idea di base.
    Per ilr esto niente da eccepire, la storia scorre, tieni bene alta la tensione, si legge che e’ un piacere :)

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