UN ASSASSINO
Pubblicato da silvia il 8 ottobre 2008
UN ASSASSINO
1. La confessione
Non rivelerò il suo nome: lui non lo avrebbe desiderato.
Lo chiamerò Tredakos, un appellativo di fantasia ottenuto da una combinazione di lettere che per lui avevano un certo significato, essendo le iniziali di nomi di persone che nella sua vita avevano avuto una certa rilevanza.
Più che un assassino, lui si considerava una sorta di giustiziere, e senza alcun dubbio lo era.
Ma non è mai consigliabile rispondere alla violenza con altra violenza; sarebbe come se si tentasse di spegnere un incendio con il fuoco: si rischia di peggiorare la situazione.
La sua carriera ebbe inizio quando molto tempo fa, in gioventù, subì dei gravissimi soprusi che con suo immenso sconcerto erano rimasti impuniti; decise dunque di vendicarsi personalmente dei suoi persecutori, e non gli fu difficile: li massacrò tutti, eccezion fatta per una donna, l’unica donna dello spietato gruppo, che si diceva fosse già morta per cause naturali. Questa circostanza lo rammaricò moltissimo, perché era proprio quella donna la principale artefice della sua infelicità, era soprattutto lei la persona di cui desiderava vendicarsi.
Da allora in poi uccidere per lui rappresentò il più sublime dei piaceri, ma unicamente perché tutte le sue vittime erano esseri crudeli, brutali con i deboli e con gli indifesi, coloro la cui scomparsa non sarebbe stata pianta da alcuno.
So che alla morte di alcuni di questi pessimi soggetti, diverse lettere anonime erano giunte presso le redazioni delle principali testate giornalistiche, alle quali si richiedeva di ringraziare pubblicamente il misterioso assassino.
Ormai tutti sapevano che si trattava di un serial killer, perché egli stesso firmava i suoi omicidi lasciando sul cadavere un serpente morto.
Ma neanche questa traccia consentì agli indagatori di risalire a Tredakos; i suoi delitti erano pressoché perfetti: il suo aspetto e la sua condotta erano irreprensibili durante la vita quotidiana, inoltre colpiva sempre in luoghi diversi in tutta la nazione, e due volte addirittura agì all’estero.
I suoi spostamenti erano anonimi, e se doveva allontanarsi a lungo dalla sua città per lavorare su una vittima che risiedeva altrove il cui omicidio richiedeva una certa preparazione, fingeva di dover partecipare ad un congresso o ad un evento qualsiasi che si tenesse nel luogo di destinazione e che fosse molto affollato.
Non aveva fretta, preparava i suoi colpi con cura, si procurava i serpenti in campagna e dopo averli soppressi li congelava fino al giorno del delitto.
So che alcune delle sue vittime lo conoscevano; lui aveva la sottigliezza rivelare la sua identità un attimo prima di sferrare il colpo fatale.
Una notte liberò il pianeta dall’abominevole presenza di un satanista particolarmente turpe.
Gli orrori che rinvenne nei lugubri sotterranei della sua magione sono irriferibili.Il losco figuro schiattò in modo orribile, subì tutto quello che aveva fatto patire alle povere vittime dei suoi nefandi festini.
Io lo so bene, perché ero tra i pochi prigionieri sopravvissuti. Ancora non avevo partecipato a quei ripugnanti saturnali perché la mia cattura risaliva a pochissimo tempo addietro, ma avevo già visto abbastanza.
E quando Tredakos venne a liberare me e i pochi superstiti, io decisi di rimanere al suo fianco a tutti i costi.
Egli inizialmente rifiutò, perché non voleva assolutamente avere complici: non aveva intenzione di mettere in pericolo un’altra persona per compiere le sue vendette, ma soprattutto temeva un possibile tradimento. Aveva sempre agito da solo, ed ogni volta era andato tutto bene.
Lo rassicurai che non lo avrei mai tradito: come avrei mai potuto denunciare la persona che mi ha salvato la vita?
Volevo solo aiutarlo, proteggerlo in caso avesse bisogno di un alibi, provvedere a ogni sua necessità. Gli avrei procurato i serpenti se ciò gli dava noia, avrei fatto qualsiasi cosa per lui.
Riuscii ben presto a convincerlo della mia assoluta devozione, e finalmente lui si risolse a rivelarmi i suoi segreti.
Da allora in poi partecipai attivamente a tutte le sue esecuzioni, anche se mai mi permise di sferrare il colpo fatale: doveva essere lui l’unico assassino.
Un giorno però, i giornali pubblicarono la notizia di un nuovo omicidio compiuto dal famoso giustiziere, firmato con la consueta vipera morta ed eseguito con le medesime modalità.
Ci preoccupammo moltissimo perché non era affatto opera di Tredakos, quindi ci prendemmo un periodo di vacanza. E indagammo.
Temevamo addirittura che si potesse trattare di una simulazione della polizia per incastrarci. Presto però scoprimmo che non erano stati gli indagatori, bensì due adolescenti vittime di soprusi che avevano deciso di emulare Tredakos.
Non fu difficile per noi attirarli in una trappola: i due erano inesperti e giovanissimi, e caddero subito nel nostro tranello. Non avevamo però previsto la loro reazione tutt’altro che spaventata nell’essere catturati da Tredakos: erano anzi emozionatissimi ed estremamente lieti di trovarsi al cospetto del loro idolo, che comunque non mostrò il suo volto.
Consigliammo loro di sospendere la pericolosa attività che avevano intrapreso: non ci si può improvvisare assassini come se niente fosse. Questa volta era andato tutto bene, ma erano davvero sicuri di non aver lasciato tracce? Noi li avevamo stanati quasi subito. I due giovani risposero che non aveva importanza, che avrebbero continuato ad agire anche contro la sua volontà, e che Tredakos non poteva impedirglielo se non uccidendoli. Sapevano benissimo che lui non lo avrebbe mai fatto, per questo osavano sfidarlo.
“Sta bene” sospirò infine Tredakos dietro la sua maschera “allora io mi ritiro e lascio a voi il lavoro. Del resto sono stanco, e ho già giustiziato molte vittime. Compirò l’ultima vendetta che stavo già preparando, poi toccherà a voi. Ora vi copriremo gli occhi e vi condurremo lontano di qui”.
“Perché vuoi ritirarti? Possiamo continuare insieme, potremmo fornirci alibi a vicenda!” esclamò enfaticamente uno dei novelli assassini.
“O farci arrestare tutti insieme.” Rispose flemmaticamente Tredakos. “No, assolutamente no. Non voglio denigrare il vostro modus operandi, ma se veniste scoperti chi mi assicura che non mi metterete in pericolo? Basta così, non voglio altre discussioni. E’ ora che vi leviate dai piedi perché abbiamo da fare. Lasciateci terminare il nostro lavoro, cercate di stare tranquilli per un mese e poi toccherà a voi”.
Stavamo preparando un piano per eliminare un ignobile sadico che da tanto tempo si dilettava nel torturare e uccidere animaletti indifesi. Non c’era modo di fermarlo: era già stato arrestato, ma le pene previste dalla legge per maltrattamento di animali sono molto miti. Non era nemmeno stato incarcerato! E noi sapevamo per certo che massacrava giornalmente una grande quantità di gatti, cani, roditori, innocue bestiole selvatiche e da cortile. Temevamo soprattutto che il malaugurato giorno in cui non si fosse più accontentato di seviziare animali avrebbe potuto rivolgere le sue malate attenzioni ai bambini. Purtroppo gli abitanti del nostro pianeta spesso sottovalutano con eccessiva leggerezza simili spregevoli devianze, e poi si interrogano sconcertati come siano mai potute accadere certe turpitudini nonostante la presenza di evidenti segnali nella condotta del colpevole a cui però prima di allora nessuno aveva dato grande importanza.
Ma non Tredakos: egli durante la sua lunga carriera di giustiziere aveva incontrato così tanti balordi da conoscere la crudeltà umana più di qualsiasi criminologo. Sì, quel ceffo doveva essere annientato prima che fosse troppo tardi.
Dopo poco tempo il piano era pronto, e partimmo nottetempo alla volta del tugurio ove conduceva la sua miserabile vita la nostra ultima vittima.
Ignoravamo però che il fratello di Tredakos, la persona che egli amava di più al mondo, da tempo si era insospettito notando le sue frequenti assenze, ed aveva deciso di pedinarlo.
Ci seguì fino allo stambugio solitario presso il fiume ove risiedeva l’indegno individuo, ci osservò ridurlo al silenzio mozzandogli la lingua e facendogli ingoiare uno straccio, guardò con quale ferocia lo uccidevamo, poi ci vide aprire delle piccole gabbie e liberare una gran quantità di cagnolini, di gatti e di uccelli. Non mosse un muscolo finché io scavai all’esterno una tomba per gli animaletti morti, né mentre Tredakos componeva il cadavere con estrema cura apponendo la consueta vipera sul petto.
Lo trovammo pietrificato dal terrore davanti ad una finestra attraverso la quale aveva visto tutto.
Tredakos non credeva ai suoi occhi… rimase immobile davanti al volto contratto del suo amato fratello. Dovetti raccogliere i guanti usati per non lasciare tracce che Tredakos si stava sfilando. Non sapevo cosa fare.
Il fratello iniziò a balbettare sconnessamente: “Non posso credere a quello che vedo… tu sei il serial killer che cercano da anni! Cosa pensi di aver risolto? Hai forse annientato la malvagità con i tuoi crimini? Per ogni balordo che hai ucciso ne sono nati altri cento…”
Le lacrime scendevano copiose dai suoi occhi.
“No, non è vero. Uccidendo quei farabutti ho salvato le loro vittime innocenti. Questa persona che è al mio fianco da anni può testimoniarlo…” rispose Tredakos con voce tremante.
Il fratello ci puntò contro la sua pistola. “Non farlo!” esclamai allora io “questa era l’ultima spedizione punitiva, non uccideremo mai più, te lo giuro”.
Il fratello non accennava ad abbassare la sua arma, anzi pareva sempre più deciso a spararci.
Allora Tredakos toccò la goccia di quarzo rosa che da sempre portava al collo appesa ad una catenina d’oro e disse mestamente: “doveva finire prima poi… probabilmente non doveva nemmeno mai iniziare. Non uccidermi tu però, non devi diventare un assassino per colpa mia. Risparmia questa persona, non ha mai sferrato il colpo fatale, sono sempre stato io a dare la morte.
Ora farò fuoriuscire da questa goccia una minuscola siringa che contiene un veleno rapidissimo. Non appena l’ago penetrerà nel mio collo io morirò subitaneamente senza neanche accorgermene. Addio.”
“NO! Non puoi fare una cosa simile!” urlai io e mi slanciai verso di lui per impedirgli di toccare la goccia.
Il fratello immediatamente riprese la sua lucidità, gettò a terra la pistola, corse dentro casa e strappò la catenina dal suo collo prima che lui potesse azionare il mortale dispositivo. Mentre io immobilizzavo Tredakos, egli depositò la goccia di quarzo sul cadavere e fece scattare la siringa che iniettò tutto il veleno proprio nel corpo freddo della vipera, dopodiché la gettò nel fiume.
Liberai Tredakos dalla mia stretta, ma egli non si mosse. Fissava teneramente suo fratello, e per la prima volta lo vidi piangere.
Stavolta era davvero tutto finito.
Mi allontanai silenziosamente, ritenevo che i due fratelli dovessero restare soli. Per capirsi, per spiegarsi.
Ma il giorno dopo il fratello si tolse la vita, impiccandosi. Tredakos non appena lo vide pendere dal soffitto mi chiamò disperato supplicandomi di raggiungerlo subito, ma quando giunsi era già troppo tardi: il mio amico aveva perso il senno.
Feci tutto quel che potevo per assisterlo, ma non ero in grado di fornirgli cure adeguate.
Decisi allora di ricoverarlo in una lussuosa clinica dove andarlo a trovare ogni giorno, sperando di vederlo guarire prima o poi.
2. Visioni
La solitudine… nessuno ascolterà quello che sto per dire, perché sono solo in questa triste stanza.
Ancora non capisco perché mi ostino a vivere. Continuo a guardare le oscenità che mi si presentano davanti ogni giorno sempre più blasfeme e le meraviglie dorate che non riesco a raggiungere.
Adesso sto assistendo ad una scena infernale; è terribile, ma non è tra le peggiori che ho visto.
Diavoli pazzi spaventosi lottano tra loro gridando urli di morte. Sotto i loro piedi si agita un groviglio di esseri che si tormentano a vicenda in un lago di sangue; corpi umani si contorcono nel delirio della sofferenza eterna sospirando dolorosamente poiché non hanno più nemmeno la forza di gridare.
Un diavolo tremendo viene verso di me urlando con la sua voce distorta. No! Vattene! Non riesco a muovermi. Il diavolo mi sta sfiorando con viscido tentacolo uscito da chissà dove. Vuole baciarmi le labbra e mentre si avvicina posso sentire l’orrido fetore della sua bocca corrotta.
Su di me cammina un grosso verme marcio, si sta insinuando tra i miei vestiti, striscia sulla mia pelle. Lo lancio per terra con disgusto, ma ecco che prontamente il diavolo lo raccoglie e lo divora. Mentre mastica emette versi indicibili.
Il diavolo torna verso i suoi abominevoli compagni lasciando davanti a me un tappeto di vermi e prosegue la sua lotta.
Cosa vedo sotto i suoi piedi? Dal lago dei corpi tormentati calpestati dai demoni emerge per un attimo una parodia di me stesso. Quel volto sfigurato si contrae in un’espressione di dolore intenso e dalle sue labbra esce uno dei suoni più tristi che si possano udire. Non resisto più, non posso credere che finirò così.
Le lacrime escono copiose dai miei occhi, cancellando la spaventosa visione.
Non so chi mi abbia lanciato questo maleficio, non so il mio nome, non conosco la mia famiglia né la mia età… non so nulla del mio passato.
Forse ho dormito per molto tempo. Forse ho dormito da quando sono nato.
Poi, quando il sonno stava trasformandosi in morte, mi sono svegliato.
Ecco perché non voglio dormire più: ogni volta che prendo sonno ho paura di morire.
Guardo in terra, vedo che i vermi stanno sparendo a poco a poco e dove prima era il lago di sangue c’è la solita moquette verde.
Vorrei riposare perché sono molto stanco, ma dopo queste visioni demoniache non ho il coraggio di chiudere gli occhi.
Spero che tra poco mi sia concesso di assistere ad una di quelle meraviglie trasparenti che vorrei tanto raggiungere, ma che fuggono via nell’istante stesso in cui tento di avvicinarmi.
Non ricordo niente, assolutamente niente della mia vita passata, ma se qualcosa c’è stata, non credo di essere mai stato felice.
Una nebbia si sta alzando, sento un magico concerto di lire celesti e avverto profumi evanescenti di non so quali fiori sublimi.
Piccole creature dalle ali d’oro stanno suonando e cantando presso un dolcissimo lago sovrastato da pini verdi secolari.
L’acqua è chiara, posso vedere il fondo cosparso di sassolini bianchi e i piccoli pesci azzurri che sorridono.
Seduto sulla sponda c’è un giovane bellissimo, dai capelli lunghi e biondi e dagli occhi argentati. Indossa una tunica bianca e non sorride perché è intento a godere le intense sensazioni di questo meraviglioso momento senza tempo.
Non attende niente e nessuno, non è tormentato da alcuna ansia, è sereno e felice. Beve un po’ d’acqua del lago, un pesciolino lucente gli si avvicina per farsi accarezzare.
Ora tra i rami degli alberi sta filtrando una luce indescrivibile. Il lago e suoi frequentatori divengono quasi invisibili in quei raggi bianchi, e stanno scomparendo anche gli alberi. Odo dolci voci divine che mi invitano a visitare il Paradiso. A fatica mi alzo da questa poltrona di tormento, e in un primo momento sembra che le gambe non reggano, ma poi riesco a camminare lentamente.
Sto per raggiungere la luce, ma questa si affievolisce sempre di più. Sta sparendo! La luce si trasforma in nebbia luminosa, e posso vedere che oltre questa non c’è il Paradiso, ma il mio volto distrutto riflesso dallo specchio appeso alla parete.
Guardo in alto, scorgo splendide figure danzanti, e quel ragazzo biondo che corre felice su diafane nubi.
E’ la prima volta che ai miei occhi si presenta una scena tanto sublime, raggiunge davvero le vette della perfezione perché mi sembra così familiare! Quel bellissimo giovane, io non so chi sia, ma la sensazione di conoscerlo è così viva! E quelle voci… stavano davvero chiamando me, che non so neanche il mio nome?
Ma… che accade allo specchio? Invece della mia immagine sconvolta è apparso il volto del giovane biondo, più bello che mai. E se quel ritratto di perfezione rappresentasse quello che un tempo fui? E allora perché, perché la mia mente ha cancellato tutto?
Sono disperato, desidero più di ogni altra cosa se realmente abbia vissuto o se non sono mai esistito.
Ho deciso: ora che ho avuto il coraggio di sfogarmi e sono stato ascoltato da un mondo inesistente, ho capito che non ne posso più.
Sono veramente tanto stanco, ho bisogno di dormire; se davvero sono stato un eterno dormiente e mi sono destato prima di morire, adesso riprenderò il sonno interrotto e spero di non svegliarmi mai più.
Non chiedo altro che raggiungere la dimensione dell’inesistenza e di sparire per sempre.
Ce la sto facendo, mi sento così soavemente tranquillo!
Ma chi c’è accanto a me? Il giovane biondo? No, è un’altra persona. Ha un aspetto conosciuto. Perché avete aperto la porta? Andate via per favore, lasciate che io non esista più. Sento parlare, ma non capisco. Sto per scivolare via. Perché non vuoi che io sparisca? Basta taci! No, non dire il mio nome!
Me ne vado, ora so chi sono, e non vado via felice. Io esistevo.
3. Sensazioni inesistenti
Tredakos fissava il vuoto.
Nella sua mente persistevano immagini di sangue e di odio. Pur potendo vantare una mente superiore, ciò che gli era accaduto in gioventù lo considerava talmente folle e ingiusto che non riusciva nemmeno a comprendere perché fosse successo.
Ma quel che è peggio, è che sapeva che non c’era soluzione. Aveva sofferto così tanto che il ricordo delle sue sciagure non smetteva di tormentarlo un solo istante. Anzi, più il tempo passava, più lui soffriva, sebbene quegli avvenimenti fossero ormai lontani.
Ecco perché aveva trascorso tutta la vita a fuggire. E finalmente era giunto al termine della sua fuga: aveva raggiunto il Vuoto. Lì non esisteva più nulla: né tempo, né spazio, né gioia, né dolore, anche se le immagini di odio ancora indugiavano a lasciarlo. Ma anche quelle ben presto sarebbero scomparse.
Tredakos aveva finito di soffrire, perché nel Nulla non esisteva più neanche lui.
Tuttavia, era triste che una mente eccelsa come la sua, dotata di così grandi capacità nei campi più svariati scegliesse di rimanere nascosta nel Nulla.
Gli altri inesistenti che si trovavano lì con lui, che erano fuggiti in quanto durante la loro triste vita non erano stati che esseri infimi, non volevano che Tredakos gettasse nel nulla il suo genio. Gli dissero che il vuoto aveva già ospitato in passato altre grandi menti per periodi di riflessione, che poi però erano presto tornate alle loro vite. Perché lui invece non voleva più andarsene?
Il vuoto per intelligenze eminenti come la sua non doveva essere una dimora definitiva; poteva fungere da rifugio, da purgatorio, ma non da casa.
Tredakos non avrebbe più voluto muoversi di lì, non desiderava affatto ricominciare ad esistere, ma gli esseri inesistenti non lo lasciarono tranquillo finché lui non fu costretto a rendersi conto che era inutile possedere un cervello
superiore se fosse rimasto in un non-luogo dove niente esisteva o aveva un senso, dove non c’era nulla che potesse servire a qualcosa.
Non doveva continuare a nascondersi dal dolore di ciò che aveva subito tanti anni prima, e nemmeno dal rimorso di ciò che aveva fatto poi, nel vano tentativo di dimenticare. Eppure ancora non si risolveva a riprendere la sua esistenza interrotta. Trascorse moltissimo tempo nel vuoto, nonostante le ostinate insistenze delle creature inesistenti che lo attorniavano.
Ora non soffriva, non provava dolore, né tristezza, né rimorsi; se fosse tornato quali altre sciagure gli sarebbero capitate, quanti altri terribili errori avrebbe commesso? Aveva troppa paura della vita e non riusciva a decidersi, quando finalmente giunse nel vuoto un’altra mente eccelsa in cerca di rifugio.
Questa nuova mente nella vita reale era stata una creatura omicida come lui, ma i suoi delitti avevano tutt’altro movente.
Era una persona sola, non aveva amici,e la sfortuna la aveva sempre presa di mira. Uccideva tutti gli esseri umani che la rifiutavano, finché non incontrò
una donna che a sua volta voleva ucciderla.
Era casualmente entrata nel suo negozio di vestiti, quel giorno completamente deserto a causa dell’ora tarda. La negoziante le andò dietro con un pugnale e le toccò una spalla. Lei si voltò meravigliata e spaventata, ma al vedere quel volto sorprendentemente identico al suo ogni timore passò.
La negoziante lasciò cadere il pugnale a terra, abbracciò la sua sosia e la invitò nel retro.
Lì conservava gli abiti delle persone che aveva assassinato con il suo pugnale che nascondeva tra i folti capelli lunghi come fosse un fermaglio, esattamente come faceva la sosia, e decise di donarglieli perché improvvisamente non sentiva più il bisogno di uccidere. La sosia la ringraziò calorosamente e decise anche lei avrebbe sospeso la sua opera perché ora che si erano incontrate non si sentiva più sola.
Stabilirono di bruciare quei miseri resti che troppo ricordavano le vittime, e andarono a casa della negoziante.
Mentre quest’ultima accendeva il camino, la sosia rinvenne nel mucchio di vestiti un abito elegante che era stato di sua madre, scomparsa nel nulla moltissimo tempo prima. Fissò la negoziante con disperazione estrema e fu rapidissima ad estrarre il suo pugnale dai capelli e a conficcarlo nel suo cuore.
Rimase immobile stringendo il vestito di sua madre ad attendere la fine.
Fu salvata dalle forze dell’ordine chiamate a domare l’incendio e venne subito imprigionata per l’omicidio della negoziante.
Ma lei non se ne accorse nemmeno: la sua mente era già nel vuoto.
Se non fosse stata così triste e sola non sarebbe mai divenuta un’assassina, e la sua intelligenza superiore sarebbe servita per ben più nobili scopi.
Tredakos capì che aveva soggiornato abbastanza a lungo nel Nulla, era tempo di lasciare posto a chi ne aveva più bisogno di lui. Chissà,forse tornando ad esistere avrebbe potuto essere felice.
E Tredakos tornò.
4. L’odio
Tredakos nella prima parte della sua esistenza condusse una vita triste, ma durante la sua permanenza nel vuoto aveva cancellato quasi tutti i suoi terribili ricordi.
Ora era sereno, aveva diversi amici, qualche volta riusciva anche a divertirsi, e finalmente poteva affermare di amare la vita. Ogni tanto però lo assaliva il dubbio che qualcosa fosse rimasto in sospeso, che la sua vita non sarebbe stata completa se non avesse portato a termine qualcosa che non era finito.
Una notte improvvisamente rivide in sogno un volto femminile conosciuto in gioventù. Era il volto della sua aguzzina, della donna che non aveva potuto uccidere perché già morta, che con la sua crudeltà aveva provocato quella lunghissima catena di efferati delitti di cui ora Tredakos ricordava di essersi macchiato.
Sentiva di dover fare qualcosa, ma come? Lei marciva nella tomba da infiniti anni, ed egli non ne rammentava nemmeno il nome.
Lei sapeva di essere odiata, e sapeva che Tredakos in passato l’avrebbe cercata anche all’inferno per vendicarsi. Aveva seguito silenziosamente tutte le sue peripezie, e una volta saputolo rinchiuso in una clinica per malattie mentali aveva tirato un respiro di sollievo.
Non era affatto deceduta per cause naturali, ma grazie alle sue elevate amicizie era riuscita a far perdere le sue tracce fuggendo all’estero e mutando identità.
Erano ormai trascorsi così tanti anni che non pensava più a Tredakos e alle sue vendette, anche perché una volta al sicuro aveva iniziato una vita dissoluta che a lungo andare l’aveva ridotta ad una disgustosa e malata forma umana, quasi irriconoscibile.
Una notte, dopo qualche ora allegra trascorsa con i suoi amici in un ristorante, Tredakos tornava a piedi alla discreta villetta acquistata nel nuovo paese in cui si era trasferito in compagnia della persona che durante la sua vita passata aveva a tutti i costi voluto assisterlo e che non lo aveva abbandonato durante i suoi lunghi anni di follia.
Iniziò a piovere a dirotto, e lui si affrettò verso casa, quando la sua attenzione venne attirata da quel che sembrava un enorme animale peloso che si rotolava nella fanghiglia della strada.
Udì dei lamenti che parevano vagamente umani, e si avvicinò a quella strana creatura. Si trattava in realtà di una vecchia mendicante tutta avvoltolata in quella che doveva essere stata una lussuosa pelliccia, e che probabilmente lei conservava come unico ricordo di un opulento passato.
Si rigirava sofferente sotto la pioggia, ed esalava un odore nauseabondo.
Lui la toccò su una spalla e nell’offrirle il suo aiuto lei sussultò, vomitando un’indicibile melma giallastra, disgustosa testimonianza di tutti i suoi stravizi.
La donna tentò di sollevarsi, ma stramazzò di nuovo a terra, e lui le fu subito vicino, preoccupato.
La voltò su un fianco, le sollevò il viso, e ciò che vide fu veramente osceno: il volto della vecchia era orribilmente sfigurato da stomachevoli pustole e squarci infetti.
Grassi vermi si contorcevano sulle sue labbra, dalle quali scendeva lento un rivoletto di sangue misto a quell’assurda materia che aveva poc’anzi espulso dal suo stomaco.
Guardandole gli occhi acquosi improvvisamente Tredakos la riconobbe.
Era colei che aveva cercato per tanto tempo, era la causa di tutte le sue sciagure e di tutto il suo dolore, era la donna abominevole che lo aveva fatto diventare un assassino.
Anche lei lo riconobbe, lo afferrò con straordinaria forza per un braccio e sussurrò debolmente: “aiutami ti prego”.
Tredakos si liberò con repulsione dalla stretta della terribile vecchia e la respinse disgustato. Sferrò un violento calcio sul fianco di quella vomitevole creatura ma non proferì verbo.
La detestata donna gemette, e mentre Tredakos si allontanava nella notte abbandonandola al destino che meritava, lei allo stremo delle forze sommessamente bisbigliò come se lui fosse ancora lì: “Ascoltami, è molto importante. Voglio solo chiederti di fare ciò che desideri da sempre, una cosa che avresti fatto con immenso piacere…Soffro da tantissimo tempo, non posso guarire e non riesco a morire. Voglio solo chiederti… di uccidermi”.
Silvia Salvador
9 ottobre 2008 alle 11:07
Ciao Silvia!
Prima di tutto, benvenuta tra noi
Vedo che hai gia’ pubblicato un sacco di roba: mi tocchera’ fare gli straordinari per leggere tutto in un tempo ragionevole…
Ho iniziato con questo, e devo dirti che mi e’ piaciuto molto. La narrazione scorre che e’ un piacere, e anche la scena della “follia” col sogno, nella seconda parte, l’hai resa con molta efficacia.
C’e’ qualche angolo nel linguaggio che si potrebbe smussare (penso agli “infiniti anni” che sembrano decisamente esagerati) ma per il resto e’ un lavoro di prim’ordine.
Grazie per avercelo fatto leggere