Bolle di sapone
Pubblicato da Alda il 12 giugno 2010
Sono nata a Firenze, molti anni fa, la mia famiglia era composta dal babbo, la mamma ed un fratello più grande di me.
Abitavamo in una piccola palazzina di pietra viva con un portone di legno scuro ornato di rostro e borchie in ferro battuto, le scale erano di pietra serena, quella bella pietra toscana che si sposa così bene con il cotto del pavimento. Ancora oggi si possono vedere girando per Firenze, palazzine simili, costruite probabilmente all’epoca di cui parlo.
Quegli anni della mia infanzia furono veramente felici, talmente felici che per lungo tempo, anche dopo il trasferimento della famiglia a Roma, ho continuato a credere che la felicità risiedesse solo lì, a Firenze.
Ero piccola, quattro o cinque anni forse, ma ricordo molto bene che un giorno, essendo particolarmente piagnucolosa a causa degli innocenti dispetti di mio fratello, cercavo insistentemente il conforto della mamma.
La santa donna indaffarata ad accudire alla casa, per farmi star buona, mi portò in giardino e mettendomi davanti una ciotola di saponata ed una cannuccia fatta con la carta spessa mi disse dolcemente: “ora ti insegno a fare le bolle di sapone, vedrai come sono belle!”.
Quelle bolle di sapone divennero uno dei miei primi amori; per me era come vivessero, nascevano dall’acqua saponata, crescevano con il soffio della mia cannuccia, fluttuavano nell’aria e poi morivano dissolvendosi in tanti minuscoli schizzi.
I miei occhi di bambina guardavano affascinati questo gioco d’acqua e d’aria. Ricordo la meraviglia e la soddisfazione che provavo tutte le volte che riuscivo a formare una bolla di sapone più grande del solito; ma l’aspetto più suggestivo di questo mio gioco era l’ammirare i magnifici e delicatissimi colori che assumeva la superficie di quelle impalpabili bolle, ma quando la mia gioia contemplativa era al massimo ecco che la bolla, in un attimo, svaniva lasciandomi con un pizzico di delusione.
In questa altalena di gioie e delusioni si svolgeva il mio gioco, anticipazione simbolica della vita.
Da allora molti anni sono passati ma il ricordo di quel gioco inmociente è ancora vivo in me.
Oggi mi chiedo: “possibile che la vita sia come una fragile bolla di sapone?”.
Tutto sembra durare così poco, tutto è un alternanza di gioie e dolori similmente ai colori meravigliosi e imprevedibili di quelle bolle.
Qual è allora la risposta alla domanda?
“che ancora mi piacciono tanto le bolle di sapone!”
21 giugno 2010 alle 09:28
Ciao Alda!
Leggerti è sempre un grandissimo piacere.
Questo tuo in particolare mi è pisciuto molto per il tema che hai scelto, e per il tono con cui l’hai svolto.
L’ho trovato forse un po’ corto, la descrizione della casa di Firenze lascia un po’ un’impressione di frettolosità.
A presto!
Andrea.
26 settembre 2010 alle 16:03
Ciao Andrea, grazie del tuo commento, apprezzo le tue indicazioni, proverò ad essere più meticolosa nelle descrizioni, non ho pretese di diventare come la “Fallaci” ma mi piace migliorare in questa avventura a me nuova!
Con affetto, Alda.
3 ottobre 2010 alle 15:13
Alda, una sola parola per questo tuo breve racconto: delizioso!!!! :o)
2 luglio 2021 alle 23:34
allina
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