Racconti molto sciolti

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Segena oppure le storie del futuro. prima parte

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PER INIZIARE

<<Diecimila lire, mi dice.>>                                         

Sulla sua faccia era stampato il sorriso più inquietante che un cliente potesse ricevere.

mi diceva < si, un pezzo di pane costa diecimila lire, tu hai fame e devi comprarlo, io ho

fame e devo vendertelo, è il mercato fratello, abbiamo bisogno entrambi.>

Forse era la mia fantasia.

Era il segno dei tempi. Di un tempo infame e pezzente, dove un pezzo di pane costa.

Costa diecimila lire, costa l’anima che hai reso in sessanta anni di sforzi per aggiungere un pezzo di mondo migliore.

Sperare in un mondo colorato e trovarti nel suo negativo. Tuo malgrado,

nonostante una figlia sparita, lasciandoti senza futuro, e una donna ormai lontana, riesci a

trovare un pezzo di pane per sfamarti. Anche a diecimila lire. Eppure ci furono altri tempi in cui c’erano le lire.

Tanto tempo fa. Poi c’è stato l’euro.

I tempi dell’euro, durati lo spazio di un’illusione: lo spazio d’unità, di crescita, di fratellanza.

Poi …. qualcosa, qualcuno, ha invaso questo spazio.

Poi l’euro non c’è l’ ha fatta più, la moneta non è più riuscita a tenere insieme una

fratellanza basata sulla speculazione e sul profitto. E’ crollata.

L’unione europea, in una plenaria definitiva, l’ultima, decise di sciogliersi.

Non serviva più, non era mai servita. E la moneta unica era abolita.

Ogni paese tornava alla propria. Da oggi ognuno si arrangia.

Da oggi, come una volta, ognuno ha il suo governo, il suo stile, il suo modo di vivere.

E la malasorte è dilagata, come una macchia d’olio, ungendo quel che resta di un paese stracciato.

E quel che resta di questo paese lo troverò fuori di qui, una volta uscito da questo negozio poco accogliente,opprimente.

<<Allora??.>>

Chiese la vecchina alle mie spalle, rispettosa della fila, paziente nell’aspettare il suo turno,

ma intollerante di uno spazio, per lei morto, nel quale tu hai già deciso, e preso il tuo pezzo di pane, non devi fare altro che andartene. Non puoi pensare. Non devi.

A cosa altro devi pensare in questi momenti? Hai il tuo pezzo di pane, hai guadagnato la

tua giornata, ed ora? Lascia spazio agli altri.

Spazio. Il tempo di prendere un pezzo di pane, e via, fuori, a non pensare più.

Perché questo è il segno dei tempi, non pensare.

Lascia stare, ci pensano gli altri.

Ci pensa il Premier, nel senso stretto: Lui pensa a noi.

Mi voltai, e vidi la fila: facce tristi, volti ordinati nell’attesa, e ognuno guardava da un’altra

parte, senza un movimento dell’anima, in un’attesa senza ritorno.

Il negozio non era male: banconi di legno e metallo, vetrine di plexiglas, e un’atmosfera

neutra: ognuno la interpretava come si sentiva all’ingresso. Solo il fornaio non lasciava spazio: strafottente, ricercato < io ho il pane, e te lo vendo al

prezzo che mi pare, tu sei il pezzente.>

Questo diceva la sua faccia, questo era il segno dei tempi.

Questo è l’esempio che deriva da chi governa.

< Tu hai bisogno di me, ora. Ed ora io ti mostro che senza di me non ce la fai.

< Io ho il pane, tu ne hai bisogno, quindi scegli: o muori di fame o compri.>

 

Ma la faccia del fornaio non capiva, era dentro un torchio che comprimeva la sua

coscienza, la stessa oppressione che ha trascinato tutti noi, facce grigie e ordinate, ma

tristi, nessuna attesa.

Bastava così, non era più un rifugio.

Pagando uscii, e fu un triste ritorno.

Fuori. Era una giornata torbida, entrai in un’atmosfera di melassa; ma è sempre stato così, o almeno sempre così da quando è cambiato tutto.

Ora è il 2022, dieci anni fa l’unione Europea si scioglie definitivamente: i paesi più forti non riescono a reggere il declino degli altri paesi, l’euro si liquefa, ognuno ritorna al proprio posto con il suo fardello economico e politico, e chi non ce la fa………

Da noi è il segnale che fa aprire le cataratte. In rapida successione le rovine si rincorrono l’una causa della prossima; ritorna la lira che in un perverso meccanismo di cambi monetari e speculazioni rientra al doppio del valore precedente.

Un sistema assurdo che all’uomo comune non è dato capire, ma che l’uomo comune subisce.

Ciò che valeva un euro ora costa circa 3000 lire, fate voi i conti se potete.

Ancora.

Per secoli questo paese è stato diviso, squassato dalla separazione in campanili, comuni, razze in una stessa razza. Poco fa la bandiera era unica, i confini, gli stessi.

Ora no. Ora si va ancora più indietro.

Quella parte dei governanti poveri di stile, ma molto ricchi di zoticaggine e, purtroppo pesanti nell’esito decisivo, riescono a cambiare i confini. Interni. Anche quelli esterni, ma poco importa. Nascono nuovi stati a nord, al centro, al sud, all’estremo sud.

Muoiono secoli e persone che avevano costruito una nazione sola.

Qui, ora, siamo in quella parte che mantiene il vecchio nome, forse per mantenere una speranza che quel nome attraversi i nuovi confini.

Ma non basta. L’atmosfera grigia e sciropposa che mi accoglie uscendo, è stabile da quando, pochi anni fa, si è instaurata la dittatura, la monarchia senza re, il Conduttore

Massimo. Ed è nata così, senza riluttanza come un feto naturale si sviluppa da un rapporto incestuoso tra uno stupratore e il suo popolo. Suo in tutto e per tutto.

Da un governo democratico di questo millennio, spunta la figura autocratica dell’affabulatore, del coinvolgente. Il miliardario annoiato che entra in campo per salvare

la patria, per salvare la sua pelle. E da lì salva la sua progenie, instaurando la dittatura che a raccontarla è fantascienza.

Quando avevo 18 anni immaginavo l’anno 2000 come il futuro, un po’ come nei film, ma dopo trent’anni nessuno ha trasmesso quel film, non c’è futuro.

Più che immaginare speravo, e con le mie poche forze, cercavo un duemila migliore, rosso, verde, blu, ma anche arancione, giallo, viola e indaco.

I colori di una natura viva, LA NATURA, quella in cui viviamo. I colori di una società viva,

gente che si rispetta e che rispetta il proprio lavoro, che vive del proprio lavoro, non ci muore, che ha dignità e decide. Ma questo riguarda il colore rosso.

E questa è una storia finita.

Quel che non finirà è la dinastia che ha come capostipite un miliardario annoiato, che ha deciso di governarci ad libitum, in qualche modo essendo sempre uguale a se stesso, chissà come rinnovando la generazione presentando la stessa figura, come un clone, un

incubo che si ripresenta puntuale alla sua vittima.

Fuori è il solito, cemento e metallo e plexiglas.

 

 

 

Ed è tutto così ordinato, disgustosamente ordinato e triste, le strade strettissime sono preda degli automobilisti affamati, ansiosi di rinchiudersi in casa loro e, incuranti di se stessi, provano a prevaricare, ad essere primi. Ma poliziotti diligenti li ammoniscono, li indirizzano, li multano.

C’è molta polizia, uno ogni cento metri, e fanno multe con facilità: sono proibite tante cose.

Ma lo sconforto rimane, e le strade sono strette, solo per chi va e per chi viene, non c’è spazio per i sorpassi, anzi non c’è spazio.

Caos e cemento. Si prova a fare ordine ma il grigio rimane, eppure le strade sono pulitissime. Chi ci governa ha saputo risolvere il problema dell’immondizia, non provate a cercarla, non c’è, riesce a sparire.

Ci sono i semafori, anche per i pedoni, ogni cento metri.

Anche i pedoni sono incanalati. Ordine. Disciplina. Oppressione.

Ma è tutto grigio, da quando è cambiato tutto, solo nuvole, e non ci conforta avere tutt’intorno schermi giganti che trasmettono la tv ventiquattroresuventiquattro.

Si, schermi ovunque che trasmettono. Il Signore delle tivvu. Ed ogni mezz’ora……

Un poliziotto mi ferma, tutto si ferma, il traffico, le trasmissioni, tutto.

E’ l’ora, appare Lui su tutti gli schermi, raffigurato sotto le solite forme:

radi capelli tirati indietro, dicono trapiantati; faccia gonfia,

bozzolata, oltremodo curata sfacciatamente sorridente, sempre, dentatura esagerata, bianchissima, oltraggiosa.

Ammiccante, rassicurante.

Come la più intensiva delle cure, ogni sei ore lo schermo trasmette un Suo messaggio,mentre la tua vita in qualche modo scorre, e se provi a darle un flusso coerente, un immagine elettronica ti blocca, ti violenta, ti costringe ad ascoltarla, perché anche se non vuoi sentire, la sua voce è tonante ed amplificata fino a decibel inconsueti.

E’ la migliore forma di monocrazia: ovunque pannelli che inneggiano solo suoi prodotti, e gli schermi con solo notiziari che esaltano le sue gesta. Che strano, ogni ora fa qualcosa, ed ogni ora fa la cosa giusta, ma sempre per noi, gesti d’altruismo per il suo popolo, per se non chiede niente in cambio. Mai.

E quando appare al momento della somministrazione, non è mai la stessa medicina.

Opportuno come gli conviene, adesso è ritratto con la famiglia, la terza si dice, a tavola in attesa del pranzo, in atteggiamento casalingo, con un bimbo sulle ginocchia, come dovrebbe un nonno col nipotino. Ma quegli non è un suo nipotino, e quella non è casa mia, a me mancano i servitori, a tutti noi mancano. Ma sono le sue rassicuranti parole a mascherare le contraddizioni

<< Cari Italiani, buon pranzo a tutti, e al vostro desco prima di accingervi al giusto pranzo, porgete un pensiero a chi vi ama e vi segue, con tanto amore.>>

Fine della trasmissione.

Qualche tempo fa, per l’inizio delle ferie estive si presentò dal suo yacht, ed ebbe il buon gusto di non farlo pesare: immagine stretta su di lui, senza allargare il campo, solito

sorriso e buone vacanze a tutti.

Quali vacanze, e dove poi?

Il mare a due passi da qui è una fogna a cielo aperto,

tutt’intorno la natura ha ceduto ai maltrattamenti subiti per decenni, finendo soffocata da fiumi di cemento e nuove strade aperte da frane, crolli e sfinimenti vari.

Mentre la natura umana ha ceduto ai maltrattamenti economici subiti negli ultimi anni.

Eppoi non ho gran voglia di andare in qualche posto con la mia metà, no con lei proprio no.

Neanche al sud, dove sono nato, e dove, per tornarci, anche una volta sola, chiedono il passaporto.

 

 

 

 

NESSUN PAESE, TANTE NAZIONI

 

Ritorniamo al passato, un passato antico, finita la comunità di tante nazioni, finisce anche una nazione che non è mai stato un paese.

Quando ritornò la lira, quando ogni nazione si governò da se’, la follia accelerò il passo.

E successe.

Accadde in pochi mesi. Era molto influente la parte del governo razzista e secessionista, e il Massimo Governante volle convincerci che dividere il paese in diversi territori sarebbe servito: a migliorare l’economia, a superare le difficoltà, chiacchiere, ottima dialettica che ottenebrò le menti e le coscienze, e ci trovammo divisi in propria patria.

Ogni divisione ha un carattere comune, sarcastico ma micidiale.

Ora mi ritrovo, insieme a migliaia, in questo territorio intrappolato. Andare al sud non costa solo la vergogna di farsi controllare per entrare nel tuo paese, ma l’angoscia di superare un confine che nasconde insidie, le stesse che trovo andando al nord, col passaporto e con la morte nel cuore.

E nessuno si oppose.

Di là del Po, e per un pezzo di ciò che era la Liguria, la Libera Repubblica del Nord, e per entrarci il passaporto.

Qui, verso il basso confini un po’ vaghi, dove la lingua s’imbastardisce col dialetto, e l’antica culla dei padri del rinascimento stermina, nacque ma morì subito l’indecisione:

< chiamiamola Regno delle due Sicilie come una volta.>

< e perché non chiamarla: Regno libero delle due Sicilie?>

E cosi fu.

Quella parte che si chiamava Roma divenne del Vaticano. Il resto fu Nuova Italia Libera.

Ognuno con la propria moneta, le proprie leggi, ognuno libero nella propria oppressione.

E nessuno si oppose.

E qui, nella Nuova Italia Libera un poliziotto mi ferma. Ma l’avrebbe fatto il poliziotto cento metri più in La. Non lo fa con coscienza, non ha sentimenti, è freddo, cibernetico,

robotico.<< Documenti prego.>>

Provo a ragionarci << Ma li ho fatti vedere al suo collega, poco fa.>>

So che non è vero, ma lui non lo sa, ed io sono stufo.

<<documenti prego.>> non fa una piega, in tutta la sua persona non una piega, un

movimento, un tratto umano.

Allora mi piego io e mostro i documenti.

Tempi lunghi per la verifica, mi chiede banalità:

<< E’ lei tal dei tali. Si. È nato a …. si. Abita in….. si.>>

Poi diventa gentile << prego, vada pure, buona giornata.>>

<<Ah si si grazie.>> stentai a rispondere.

<<un momento prego >> mi bloccò. Un sapore metallico in bocca, cosa aveva scoperto? <<la busta, prego, mi faccia controllare.>>

Già il pane, chiuso in una busta di carta, un pacco ignoto, un pericolo incombente.

 

<<Prego.>> tagliai corto e gli porsi la busta della spesa.

Verificò, e ciò mi diede fastidio: quel poco che era mia ora non lo era più. << può andare.>>

Certo, è solo un pezzo di pane, ma quel che è nascosto vi fa paura.

Non a tutti Voi, mio povero poliziotto, costretto per campare a terrorizzare cristi vaganti come noi, magari ci credi, ma forse non credi che deve essere cosi.

Un giorno me lo dirai, povero, ma ora devo affrontare un tuo fratello cento metri più in là.

Avanzai appena cento metri, sarebbe bastato un cenno da lontano, dal precedente a

questo sbirro, una chiamata via radio. Cristo, siamo o no nell’era della comunicazione

ipertecnologica?!? No;

La scena si ripete, non sto ad annoiarvi con immagini già dette.

Ma intanto penso: è paura. Una catena di paura innescata dal Grande Capo e giù giù via sempre più in basso come una valanga di neve si autoalimenta e schiacciando carica il sottoposto prossimo venturo e, quando trova l’ultimo della fila, l’autorità deborda, si sfoga col povero cristo con la busta della spesa.

Nei miei anni di vita ho visto manifestarsi ancora la paura;alcuni anni li chiamarono di piombo e il cappio si strinse un po’ di più del normale, e non è mai stato allentato.

Poi vi furono gli anni della seconda repubblica, e la paura si espanse come la peggiore della gramigna, le sue sorelle si propagarono sottilmente, prepotentemente.

Diffidenza, egoismo, ansia, sconforto, ognuno non sentiva più l’altro, come fratello, figli della stessa radice, come se stesso, matrice e stampo che rinnova se stesso ma ha

dimenticato di rinnovare la promessa fatta alla Madre Unica, generatrice di diversità che

riproduce la stessa sostanza in cui scorre lo stesso fluido che la Madre dona e poi riprende in quell’atto di generosità unica che rende la vita vero tesoro.

Da quei tempi abbiamo perso, neanche più l’idea, il senso di appartenenza, la coscienza di camminare sulla nostra Madre che non fa differenze, e ci siamo presi l’arroganza di piantare, noi, le differenze.

Il mondo a colori non è questo che sognavo, questi colori alzano barriere, alimentano la paura. Bianco, nero, meno bianco, meno nero.

No, non e quello che sognava la Madre Terra quando ha pensato di generare l’uomo per perfezionare il suo progetto evolutivo, ed ora la Terra si rivolta, ci lancia dei segnali, contrae i suoi muscoli in un gesto di impazienza e di stizza.

Ma noi siamo sordi per la paura, martellati dal basso e dall’alto, ci avvitiamo nel nostro senso di angoscia, e restiamo chini.

La nostra radice sta marcendo, la terra sotto non è più fertile, smotta, cede.

Urla soccorso, cerca qualcuno che le lanci un appiglio, uno dei suoi figli che indichi la strada. Getta una luce in questo buio poi guardati intorno per capire dove, per chiedere chi, raduna questa gente, fatti consigliare, e poi in viaggio per ritornare alla terra.

Vinci la paura.

La leggo negli occhi di quest’ennesimo poliziotto.

Dopo la perquisizione di rito diventa gentile << dove va di bello?>> mi chiede.

Ma anche questo è controllo << vado a casa, mio caro, ho una certa età.>> mi lascia passare.

Ma non vado a casa, ho mentito, un peccato veniale che mi costerebbe una multa se fossi scoperto. Perché anche questo è controllo, non puoi mentire, ciò che

dichiari deve essere mantenuto, anche le minuzie.

Vado in ciò che una volta era un bar, un rifugio per anziani, uno spazio sacro violato da telecamere e microfoni, ma noi non ci notiamo.

Entro, saluto tutti con un cenno poi mi siedo al solito tavolaccio, e mi rilasso un po’.

<< Non cambia niente>>dissi ai soliti tre amici ritrovati, e una telecamera ronzò dirigendosi su di me.

<< Già, le solite mogli>> mi giustificò l’amico seduto di fronte.

<< Giochiamo >> la telecamera tornò al suo posto.

<< Facciamo la solita partita>> chiese l’amico seduto a destra.

<< Va bene.>> rispondemmo noi altri.

Ed era la solita partita di un gioco inventato da noi per poterci esprimere tranquillamente, senza parole, avevamo creato un codice con una serie di combinazioni delle carte, per poter parlare saltando i controlli. Solo noi sapevamo il codice, con tutti gli altri compagni di questo circolo di vecchi che stanziavano tra bicchieri di vino e nuvole di fumo. Innocui, in attesa di morire, e lì ci facevano fumare.

Innocui, parlavamo tra di noi con le carte, ma nessun dialogo era banale, nessuna era

chiacchiera da osteria. Le nostre carte parlavano di resistenza.

2 Commenti

  1. andrea

    Ciao Luigi!
    Prima di tutto benvenuto sul sito.
    Un bel pugno nello stomaco questo tuo testo, devo dire.
    Dal punto di vista della forma, il tuo stile mi piace. Si lascia leggere piacevolmente, nonostante il contenuto tuttosommato angosciante. Due piccole perle:
    1) “Fuori è il solito, cemento e metallo e plexiglas.” molto evocativa, con la “e” ridondante che scandisce il tempo, quasi fosse un verso
    2) il poliziotto che cambia atteggiamento dopo l’intervista, che lascia intravedere uno sprazzo di umanita’, e lascia al lettore la speranza che forse non tutto e’ andato in malora ancora.

    Corro a leggere la seconda parte!

    Andrea.

  2. Fabio

    Ciao Luigi,
    leggendo questo tuo racconto ho provato, in alcuni passaggi, la stessa angoscia che ho provato nel leggere “Il grande fratello”

    Complimeni,
    Fabio

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